Le parole non sono neutre

Che cosa hanno in comune le parole presidentegenitore e bastardo? Semanticamente nulla, grammaticalmente poco: sono tutti nomi comuni singolari e i primi due si riferiscono a esseri viventi; l’ultimo può essere riferito a una persona, ma non solo. Che cosa hanno dunque in comune? Negli ultimi tempi sono state tutte e tre, per ragioni diverse, al centro della cronaca italiana e hanno alimentato diverse discussioni. 

Partiamo da presidente. Dal 22 ottobre 2022 la funzione politica di capo del governo è ricoperta, per la prima volta nella storia italiana, da una donna. Questa carica si chiama ‘Presidente del consiglio dei ministri della Repubblica italiana’. Per la grammatica presidente è analogo a cantante, insegnante, badante, vigile, comandante, giudice (e mi fermo qua, ma la lista è molto lunga) e sono ambigui dal punto di vista del genere grammaticale perché il genere non è segnalato nella parola stessa. Ma ciò non vuol dire che non esista: emerge, infatti, dal rapporto con altre parole, in particolare l’articolo o altri elementi di una frase come l’aggettivo o il participio. I sostantivi ambigenere che si riferiscono a una donna devono dunque essere accordati con l’articolo, gli aggettivi e i participi per far sì che una frase sia grammaticalmente corretta: la cantante è famosa, la giudice è nuova. La regola grammaticale è tutta qua. Da molti anni, tuttavia, parte della comunità linguistica non riconosce questa regola e preferisce usare l’articolo al maschile per motivi ideologici, politici, sociali (il classico “il maschile ha maggior prestigio”) e anche “estetici” (la parola è brutta). Ma il resto della frase? A volte lo si scorda, ma le parole vanno considerate nel loro contesto d’uso e nel loro inserimento in un discorso. È proprio qui che sorgono i problemi linguistici maggiori: se uso il presidente, antepongo signore o signora? Come devo formulare una frase se devo accordare un participio passato come tornato? Devo dire il presidente è tornato, con accordo grammaticale, o il presidente è tornata, ricorrendo a un accordo ad sensum – che viene spiegato dall’enciclopedia Treccani come «Anomalia sintattica che consiste in un allontanamento dalle norme della concordanza, quando due elementi di una frase si accordano non secondo la forma grammaticale, ma secondo il senso generico delle parole»? E quali pronomi uso? Se nella lingua parlata, meno sorvegliata, l’accordo ad sensum non sempre crea forti disagi, nella lingua scritta, che rimane fissata nel tempo (e infatti… scripta manent) e per la quale la coerenza linguistica di un testo è un fattore importante per la sua comprensione, il problema dell’accordo non va sottovalutato, perché può creare ambiguità e incomprensioni nella trasmissione del messaggio. 
I discorsi attorno a il o la presidente hanno però messo in luce anche un altro aspetto importante: non importa soltanto cosa dici, ma anche come lo dici; non importa solo quello che fai, ma anche come lo spieghi.

Riflettere sulle parole non è di conseguenza un’attività frivola, banale e irrilevante e lo dimostra anche la seconda parola: genitore, da preferire, per evitare discriminazioni, a padre e madre, nei documenti ufficiali. Questo è quanto ha stabilito il Tribunale di Roma lo scorso 16 novembre 2022. Dunque genitore viene considerata una forma per così dire neutra, che non specifica il sesso del referente, e adottabile indifferentemente per mamme e papà. A me, personalmente, è però sorto un dubbio: si tratta davvero della parola migliore e più inclusiva da usare in quel contesto? Genitore non è neutro dal punto di vista del genere grammaticale: il neutro, in italiano, non esiste e questo è un sostantivo maschile che indica «colui che genera» (come riporta il vocabolario Treccani online). Come tutti i sostantivi in –tore, anche genitore ha un femminile in –tricegenitrice (analogamente a ambasciatore/ambasciatrice, attore/attrice, direttore/direttrice – e dunque anche direttrice d’orchestra –, debitore/debitrice, giocatore/giocatrice, peccatore/peccatrice, sciatore/sciatrice, scrittore/scrittrice, e così via). Sarà poco usato, sarà brutto, sarà antiquato, ma esiste, e fa parte del vocabolario della lingua italiana. Anche la parola genitore, come padre, è dunque grammaticalmente per un referente di sesso maschile. C’è anche un altro aspetto che va qui sottolineato: il significato di genitore/genitrice è appunto «colui o colei che genera» e, anche se nell’uso di oggi il campo semantico di genitore si è allargato a tutti coloro che esercitano il ruolo genitoriale, questa parola alla fine può risultare poco inclusiva. Ecco, forse per ovviare a problemi legati al genere o a una semantica non inclusiva, dobbiamo usare la fantasia e la creatività e ricorrere a formulazioni diverse. Invece di pensare alla figura in sé potremmo indicare il ruolo: perché dunque non adottare ad esempio autorità o ruolo parentale? La lingua è creativa, ma deve esserlo anche chi la usa.

bastardo cosa c’entra? Si tratta di una parola che, a dipendenza del contesto, può essere ingiuriosa, un insulto, e l’ho inclusa in queste riflessioni per un unico motivo: se una parola ti porta in tribunale perché ti senti offeso, ferito, leso, vuol dire che le parole contano, eccome, altro che formalismo banale. 

(PS: anche le fantaparole come capatrena possono offendere e ferire perché vanno a ridicolizzare le idee altrui).

***

Articolo di Lorenza Pescia De Lellis

Nata e cresciuta nel Canton ticino, sono stata assistente al Romanisches Seminar di Zurigo e ho collaborato all’edizione degli Scritti linguistici di Carlo Salvioni. Attualmente vivo negli Stati Uniti e sono visiting scholar all’Institute for Advanced Study di Princeton. Tra i miei interessi di ricerca ci sono il linguaggio di genere, il multilinguismo e la politica linguistica, l’analisi del discorso, la storia della linguistica.

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