Carissime lettrici e carissimi lettori,
fino a prova contraria. Un concetto base della Giustizia. E’ anche il titolo, lo ricorderete, di un indimenticabile film (True Crime) del 1999 diretto da Clint Eastwood e tratto dal romanzo, questo forse è meno risaputo, intitolato Prima di mezzanotte e scritto da Andrew Klavan.
Fino a prova contraria vuol dire che si è innocenti fino a che le prove aggiunte non dimostrino palesemente la colpa di chi subisce l’accusa. Proprio come nel film citato dove l’accusato risulta innocente. Lo spettatore se ne accorgerà alla fine dall’incontro del giornalista Everett mentre, con la carriera ormai sacrificata, saluta all’uscita di un negozio di giocattoli Frank Beechum salvato, proprio dalle indagini approfondite del giornalista, da un’accusa sbagliata e dalla sedia elettrica.
Dimostra anche che riguardo agli eventi della vita, soprattutto quelli che coinvolgono il sociale, deve esserci una morale, ma bisogna fare attenzione a non cadere nel moralismo che è sempre giudicante, che punta il dito e che può incidere fortemente sul privato della persona indicata.
Veniamo al fatto. Se noi separiamo la parte giudiziaria da quella umana, che riguarda il rispetto della persona, allora dobbiamo ragionare stando sempre su binari paralleli che, come detta la geometria, viaggiano sempre separati e non si incontrano mai. A questa storia e a questa divisione netta e non incontrabile tra il concetto morale e il giudizio moralistico (la prima comunque tutta da verificare, secondo l’adagio citato) racconta la storia di questi giorni che riguarda Liliane Murekatete, la chiacchieratissima moglie dell’’altrettanto chiacchierato onorevole Aboubakar Soumahoro, oggi autosospeso dal suo ruolo politico, pur non essendo direttamente coinvolto nel caso giudiziario.
Le vicende, sottolineiamo il plurale, che riguardano la figlia della signora Marie Therese Mukamatsindo, nonché la socia della cooperativa sociale Kalibu (sotto inchiesta), viaggiano su binari paralleli, proprio come abbiamo appena descritto.
La giovane scrittrice Djarah Kan parla con orrore del servizio mandato da Striscia la notiziacon le fotografie, peraltro risalenti a dieci anni fa, fatte da Murekatete e riprese ora, senza permesso della stessa protagonista, da Dagospia. Insomma scorrettezza su scorrettezza aggravata dall’aggiunta di stickers di volti di uomini noti sul seno e sul pube della donna. Il problema secondo Djarah Kan riguardo a Liliane Murekatete è l’essere donna e nera: «Ho immaginato Liliane Murekatete – scrive sconsolata Kan sulla sua pagina social – che accende il televisore e si ritrova nuda, con la faccia di Diego Bianchi e Marco Damilano sulle tette, e sono morta dentro. Per lei e per tutte le donne che vengono trattate con una tale crudeltà. Era come se ci fossi stata io su quello schermo, esposta contro la mia volontà e il mio consenso ad un branco di uomini senza scrupoli che mi fanno diventare un oggetto di poco valore, su cui sono attaccati, emblematicamente, gli stickers dei volti di uomini di sinistra.
Perché si, alla fine noi neri siamo sempre proprietà di qualcuno e mai soggetti vivi e pensanti che appartengono solo ed esclusivamente a sé stessi – e continua, con tutto il nostro accordo – Una donna bianca con una borsa Gucci, è soltanto una donna bianca con una brutta borsa costosa. Una donna nera con una borsa Gucci acquistata parecchi anni prima di cominciare il suo lavoro con le cooperative, è Lady Gucci, la Cooperadiva, la nera intrigante di cui i giornali si chiedono in maniera pruriginosa, se, data la sua avvenenza, durante i suoi anni di lavoro a Palazzo Chigi abbia frequentato o meno la residenza privata di Berlusconi ad Arcore. E se questo modo di indagare, insinuare e svilire una donna non è sessismo condito da una doppia dose di razzismo, allora io sono un calesse. Si. Un calesse della Gucci – poi conclude -. Festeggeremo tutti la fine del Patriarcato quando le donne verranno chiamate a rispondere nel merito esclusivo delle loro azioni. Questo è il futuro che mi aspetto. Ma che fatica continuare a immaginarlo, mentre fuori c’è il deserto».
La polemica maggiore sulle foto e sull’atteggiamento dei media riguardo al modo di porsi della signora Murekatete (che non riguarda, ripetiamolo, l’eventuale sua partecipazione ai fatti della cooperativa materna) è partita da un articolo scritto su un quotidiano a firma di Concita De Gregorio in difesa del privato e delle scelte personali sul proprio corpo (femminile aggiungiamo) fatte da Liliane Murekatete. Le polemiche sono centrate soprattutto dall’accostamento a più o meno note influencers, figure oggi palesemente diventate di riferimento sociale. «Il metro del successo sono i soldi, naturalmente: è un criterio mercantile – scrive De Gregorio – (Chiara Ferragni, ndr) la cercano Liliana Segre e gli Uffizi: una sua foto al museo della Shoah o davanti a un Botticelli vale oro. Dunque: un modello virtuoso. Non vedo perché una giovane donna arrivata in questo paese dal Ruanda non debba prendere appunti e provare a imitarla. Chiedo. Se il gioco è questo, è così che si fa. Ho sentito due giorni fa Azar Nafisi, scrittrice iraniana, dire che per le ragazze di Teheran mettere il rossetto significa fare la rivoluzione. Certo, perché in Iran è proibito. Ma se vivi in un paese dove il rossetto glitterato Ferragni te lo regalano a tredici anni per Natale che rivoluzione è?». Si è scatenato il putiferio partendo dallo stesso giornale su cui aveva scritto Concita De Gregorio.
Tra i più equilibrati, Michele Serra scrive: «Il discorso sul corpo di Liliane Murekatete non dovrebbe esistere. Né per chi la accusa né per chi la difende e non sarà argomento di queste righe perché col proprio corpo e del proprio corpo ognuno fa ciò che vuole fino a che questa libertà non limita fisicamente la libertà degli altri. Il discorso sulla rappresentazione scelta da Murekatete è invece l’occasione che ci consente di dire quanto Liliane Murekatete siamo noi. E siamo noi perché l’immagine di una democrazia la stabiliamo tutti insieme. Che la proprietà privata non sia mera sussistenza ma identifichi una classe sociale e che la ricchezza non sia solo una faccenda di accumulazione (come per Paperone) ma pure di ostentazione (come Gatsby) lo ha scritto Thorstein Veblen ne La teoria della classe agiata (1999, Einaudi, a cura di F. L. Viano), testo nel quale si legge che il valore estetico ed economico di un oggetto non sono distanti. Vale per Liliane Murekatete ciò che vale per i videogiochi, le raccolte punti e Bel-Ami, protagonista dell’omonimo romanzo di Maupassant: si arriva da un mondo a un altro e, per essere accettati nel nuovo, ci si innamora, si briga, si tradisce e ci si ravvede, ma soprattutto ci si circonda di certi oggetti. Desumiamo così dalla rappresentazione che Liliane Murekatete ha dato di sé stessa il mondo al quale ha scelto di appartenere, e osserviamo che questo mondo rappresentato, pur antipodale al mondo nel quale lavora, è una aspirazione. Un passo indietro, alla prima premessa, al tempo e alla Storia e alla politica degli oggetti».
Il corpo delle donne. Il corpo diverso. Ma anche la posizione delle donne nella società. Per la prima volta la presenza delle donne in parlamento oggi è decisamente diminuita: sono solo una su quattro le donne all’interno degli uffici di presidenza, sia per quanto riguarda la Camera che il Senato. Poche le donne anche tra i capigruppo (il 38,9%) e su 24 commissioni permanenti solo due sono presiedute da donne. Le vicepresidenti sono venti su 48 incarichi. Parlando di governo, di istituzioni e di persone delle istituzioni è difficile passare oltre e non ricordare anche qui ciò che, miseramente, è successo durante quella che doveva essere una semplice cena per lo scambio degli auguri di Natale tra i giocatori di una squadra del nord e il proprietario che è stato il nostro presidente del consiglio per quasi un ventennio ed è attualmente senatore della Repubblica italiana. Silvio Berlusconi non ha evidentemente perso il suo vizio sessista e ha detto noncurante ai suoi ospiti (tra cui c’erano anche delle donne): «Se battete la Juve e il Milan vi mando in regalo un pullman pieno di troie». La frase si commenta da sola nella sua miseria, così come lo scroscio di risate con cui la gretta proposta è stata accolta. Un mondo così non lo vogliamo. Le donne e gli uomini di giudizio e di intelligenza lo rifiutano, decisamente.
Una bella iniziativa è arrivata da parte di un’associazione (Il Guscio) che si interessa da sempre del femminile. Invece del solito calendario dell’Avvento al posto delle finestrelle da aprire con dolci soprese di zucchero, si aprono 25 quadrati a scacchi bianchi e verdi come una vecchia tovaglia di un’altra epoca. Su ogni quadrato l’associazione percorre come un tragitto didattico contro la violenza verso le donne, e proprio a uso esclusivo dei maschilisti, non degli uomini, perché non tutti lo sono. Così dalla raccomandazione di non urlare del primo giorno, si passa a quella di non offendere del secondo fino al decimo che avverte di non picchiarla o all’undicesimo che raccomanda di non colpirla fino al venticinquesimo quadrato che dopo un complimentati annuncia e consola con un AMALA scritto così tutto in maiuscolo! Un buon augurio davvero, che consola.
In un mondo delle apparenze, l’amore e l’inclusione, soprattutto delle diversità, devono diventare punti di riferimento. Per questo mi è venuto in mente di proporvi una canzone, tra quelle che amo di più, piena d’amore e di grande umanità: La donna cannone cantata, ma lo sapete già, dal grande Francesco De Gregori
Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno
Giuro che lo farò
E oltre l’azzurro della tenda, nell’azzurro io volerò
Quando la donna cannone d’oro e d’argento diventerà
Senza passare per la stazione l’ultimo treno prenderà
E in faccia ai maligni e ai superbi il mio nome scintillerà
E dalle porte della notte il giorno si bloccherà
Un applauso del pubblico pagante lo sottolineerà
E dalla bocca del cannone una canzone suonerà
E con le mani amore, per le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò
E non avrò paura se non sarò come bella come vuoi tu
Ma voleremo in cielo in carne e ossa, non torneremo più
E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via
Così la donna cannone, quell’enorme mistero, volò
E tutta sola verso un cielo nero nero s’incamminò
Tutti chiusero gli occhi nell’attimo esatto in cui sparì
Altri giurarono e spergiurarono che non erano mai stati lì
E con le mani amore, per le mani ti prenderò
E senza dire parole nel mio cuore ti porterò
E non avrò paura se non sarò come bella come vuoi tu
Ma voleremo in cielo in carne e ossa, non torneremo più
E senza fame e senza sete
E senza ali e senza rete voleremo via
Buona lettura a tutte e a tutti.
Presentiamo gli articoli di questo numero, cominciando dalla Giornata Internazionale per i diritti delle persone migranti, che si celebrerà domani, ricordando che la nostra associazione ha curato una mostra virtuale su questo tema, che ne affronta un aspetto poco indagato, quello della Migrazioni femminili, reperibile qui. Un’altra ricorrenza ricordata oggi è la Giornata nazionale dello Spazio, illustrata in Spazio, nuova frontiera per cibo e salute.
Fare emergere dall’oblio le tante figure femminili che hanno dato il loro contributo agli Obiettivi dell’Agenda 2030 è la mission che Toponomastica femminile persegue anche con Calendaria. Questa settimana è la volta di Lucía Sánchez Saornil, giornalista e militante anarchica, figura fondamentale recentemente riscoperta, la cui vicenda biografica rispecchia momenti ed esperienze cruciali del Novecento e delle donne che lo hanno attraversato. Mentre sta per concludersi la serie Viaggiatrici del Grande Nord accompagniamo la sua autrice nelle profonde riflessioni di Dopo il viaggio. Continua l’excursus Da Cuoche a Chef, con l’articolo Le stelle della ristorazione internazionale. Parte prima, in cui incontriamo le donne che sono state premiate dalla famosissima Guida Michelin. Una serie che difficilmente dimenticheremo è stata ricordata in Femminile plurale. Il nostro Premio Italia, l’articolo che, in occasione della premiazione di un concorso che si è svolta il 10 dicembre a Catania, ci riporta alla science fiction, alle sue scrittrici e al bellissimo racconto che in questi anni ce ne ha fatto l’autrice, a sua volta premiata. Come fili di un tessuto: eco-teologia, femminismo e politica è il resoconto dell’ottava lezione del corso di eco-teologia del Cti che come sempre ci riserva molte sorprese, mentre un altro appuntamento con le donne che hanno raggiunto primati nello sport è Le indimenticabili della ginnastica artistica, che parte col ritratto di Nadia Comaneci.
Un articolo che è sia la recensione di un libro che l’intervista alla donna che lo ha scritto, Donne e Caporali, affronta la piaga del caporalato nel brindisino. La mostra allestita nel Museo Cervi, all’interno della casa colonica della famiglia Cervi e realizzata da Clelia Mori, sulla madre dei sette fratelli Cervi uccisi per rappresaglia dai fascisti nel dicembre del 1943, è recensita, nell’articolo Genoeffa Cocconi Cervi: l’Ottava Vittima, arricchita per noi dalle profonde riflessioni dell’artista. Di un’altra Mostra, ospitata in un Castello, che affronta le tematiche a noi care, tratta Itinerario siciliano: Noto e Siracusa, città delle donne, che prosegue nella descrizione iniziata nello scorso numero della nostra rivista, con un excursus sulle figure femminili. Di Sicilia e di Palermo in particolare si parla nella recensione del libro Il cortile delle fate di Nadia Terranova, «una favola che ha il sapore della storia della Sicilia, terra di veggenti, maghe e Sibille, di donne padrone del mondo sovrannaturale dove gli uomini non riescono a entrare e non hanno alcun potere. Un mondo irrazionale che li estromette dalla Conoscenza trasmessa in via matrilineare».
Avviciniamoci alla scuola e alla grande creatività che i giovani e le giovani sanno esprimere quando si sentono protagoniste: nella sezione Juvenilia Una donna unica come tante descrive un bellissimo percorso, articolato e foriero di nuove attività, che ha vinto il Primo Premio nella Sezione A-Scuola secondaria di primo grado del Concorso Sulle vie della parità, oltre al Premio Percorsi di cittadinanza attiva del Concorso Regionale delle Marche. Chiudiamo con un altro racconto sul pane, Il pane senegalese, l’occasione per conoscere, insieme alla ricetta di questo alimento prezioso, la storia di una grande donna a cui fu negato anche il diritto di vedersi riconosciuto il nome e che l’autrice della serie, «in direzione ostinata e contraria», ha fatto uscire dall’oblio.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.