Il tempo della luna. L’Apocalisse 

La decima lezione del corso di eco-teologia delle donne del Cti è presentata dalla professoressa Antonietta Potente, teologa presso l’Università cattolica di Cochabamba e collaboratrice dell’Istituto ecumenico di teologia andina di La Paz. Questo ultimo incontro è dedicato a una analisi del testo dell’Apocalisse di Giovanni, ultimo libro del canone biblico cristiano e uno dei più enigmatici e affascinanti. Un libro all’apparenza ermetico ma che ci invita a riflettere e a guardare la realtà come essa è, senza alcun velo di retorica o propaganda; l’esegesi dell’Apocalisse (parola di origine greca che vuol dire “svelamento”) si fa finestra aperta sul nostro mondo e ci permette di rileggerlo in modo nuovo recuperando una tradizione sapienziale e credente, pronta a illuminare tutte quelle persone che sanno guardare con amore e intensità particolari.  

San Giovanni evangelista a Patmos scrive l’Apocalisse

«Mi trovavo nell’isola di Patmos» è il versetto che apre il testo, un luogo di esilio esattamente come lo è il suo misterioso autore – tradizionalmente identificato in Giovanni apostolo di Gesù o una persona della sua cerchia ristretta di allievi/e o conoscenti, al tempo di un significativo aumento delle persecuzioni verso il Cristianesimo che tuttavia non ne arresta l’espansione. L’isola, un pezzo di terra circondato dal mare dove più di ogni altro posto si fa sentire la solitudine, è proprio per questo il luogo più favorevole a una Rivelazione proveniente dal di dentro – del resto, nella tradizione ebrea e cristiana la presenza divina si è sempre rivelata in località isolate come i deserti, a persone in cerca di qualcosa e disposte a guardare la realtà in modo nuovo.

Anche il nostro tempo è fatto di solitudine, ognuno/a di noi è un’isola sperduta in un mare di illusioni, di comunicazioni istantanee e di accesso infinito al sapere. È questa comune sensazione di solitudine che permette all’Apocalisse, testo scritto più di un millennio fa, di dirci ancora tanto anche oggi che il concetto di Rivelazione pare legato a un passato irripetibile. L’autore scrive all’aperto, non dentro la sinagoga o la chiesa, edificio sacro ma chiuso; è solo nella Natura che la condizione di esilio può essere sentita in tutto il suo dolore e precarietà, e proprio per questo essa diventa preziosa compagna che permette riflessioni interiori che portano allo svelamento. 

Sono molti i personaggi che popolano l’Apocalisse, da esseri umani ad animali, dagli angeli alle bestie demoniache, e ognuno di loro è simbolo di un accadimento del tempo del suo autore, interpretabile solo a chi cerca Dio e risposte attraverso di lui. Non solo la storia dell’umanità, dunque, ma la storia di tutti gli esseri viventi, visibili e invisibili, che abitano il mondo e condividono il nostro stesso destino anche quando non ce ne accorgiamo; è allora possibile comprendere che la nostra isola non è poi così solitaria, e la realtà si svela tramite un risveglio di tutti i nostri sensi permettendoci di cogliere la divina presenza, trama principale del libro e della nostra vita: shekhinah la chiama il popolo ebreo, traslitterazione del sostantivo femminile singolare שְׁכִינָה‎, una parola connessa al verbo “dimostrare” e che può assumere il significato di “dimora” o “abitazione”, e da esso usato in riferimento al tempio di Gerusalemme o durante le manifestazioni di Dio alle creature a lui fedeli.  

L’Apocalisse è un modo per leggere il nostro tempo, non inteso in senso cronologico e calcolabile: è il presente che porta lo svelamento, espresso dal continuo uso dei verbi “vedere” e “ascoltare” ed espressioni come “ascoltare per poter vedere”; “stavo guardando e ascoltai” apre tutti i capitoli, spesso seguito da “dietro di me”. La nostra osservazione della realtà è condotta in solitudine, il risveglio dei sensi è conseguenza della nostra sensibilità interiore che fuoriesce dal di dentro e ci permette di dare un senso a quello che accade attraverso i nostri occhi e le nostre orecchie. Una forza esperienziale evidente, che ci mostra il mondo non come un dualismo in contrasto, una lotta perpetua fra esseri benevoli ed esseri malvagi, tra avvenimenti positivi e avvenimenti negativi; la realtà non è nitida, divisa in due colori netti e in contrasto come il bianco e il nero, ma un caleidoscopio in cui sono l’Apocalisse e il suo messaggio che ci educano a trovarne un senso: come in un acquerello, dove non c’è separazione fra un colore e l’altro e tuttavia possiamo distinguere gli elementi della composizione, lo svelamento della divina presenza ci mostra la continuità tra un accadimento e l’altro.

Morte del Sole, della Luna, e caduta delle stelle,
Cristoforo de Predis, XV secolo

Non c’è separazione fra giorno e notte: il blu del cielo notturno si mescola a quello giallo e arancione dell’alba fino a transitare nell’azzurro del mattino, che si confonderà poi con i colori del tramonto fino a diventare di nuovo sera. Ogni momento porta qualcosa di quello che lo ha preceduto, non ci sono contorni nitidi. È qui importante non cadere in fondamentalismi o lasciarsi andare alla disperazione: la consapevolezza della non nitidezza del mondo può far certo crollare le nostre convinzioni e potrebbe portarci ad accusare la realtà, a vedere in essa solo un dolore da cui non è possibile fuggire se non tramite la morte o cedendo alla seduzione di false credenze. Ma è proprio qui che si apre il cammino della sapienza, e l’Apocalisse è pieno di afflizioni da cui però non si nasconde, anzi: come dal dolore del parto e di una madre nasce una nuova vita, tutto quello che patiamo nella realtà ci permetterà di rinascere, ed è con la speranza del rinnovamento, che va cercato e non aspettato passivamente, che il testo si chiude.  

Nel linguaggio e nell’immaginario comune le tenebre sono simbolo del dolore e del male, ma nella mistica sono il simbolo e la realtà del risveglio dei sensi. La notte non è antagonista del giorno, tempo del sole e della grande nitidezza, è ad esso complementare. Sotto la luce del mattino vediamo e udiamo costantemente il dolore: nel libro del Qohelet viene esplicitato che sotto il sole dominano ingiustizia e iniquità, si consuma l’oppressione e nessuna consolazione è data agli esseri oppressi. Il nostro tempo è tempo del sole, e lo viviamo come se non ci fosse alcun diritto in grado di proteggerci. Il capitolo 13 è forse quello che più risuona a noi: si parla di un mercato in cui chi è marchiato è costretto a vendere e a comprare in continuazione. Il verbo della postmodernità capitalista, della globalizzazione, ha fatto e continua a fare danni irreparabili all’umanità e al Creato, vittima di questo sistema di compravendita irrefrenabile i cui misfatti si consumano alla luce del sole.  

La Donna vestita di sole e la Santa Corona,
dipinto del pittore ungherese Szoldatits Ferenc

Affrontando questo libro viene da chiederci cosa potremmo fare, in una realtà abitata dall’indefinibile, un mostro senza forma perché inimmaginabile è il danno che compie. Questo abitare sotto il sole deve trovare una risposta, identificabile dalla professoressa Potente nell’Apocalisse stessa: abitare il tempo della notte, della Luna; il tempo delle donne, del femminile, in cui sembra che ci sia solo oscurità ma è proprio qui che il seme, la vita interiore, rinasce. È il tempo della trasformazione e della fecondità, che ci accompagna nei mutamenti con i tempi lenti del ciclo lunare. Ed è questo che dobbiamo imparare: non basta vivere sotto il sole, dove c’è molta violenza, dobbiamo trovare un’altra posizione nella notte, dove è dato di avere la visione della realtà attraverso il sogno o rimanendo svegli e in veglia. Sotto la luna si può vegliare, e le donne sono soggetto privilegiato: nell’inno pasquale Victimae Paschali laudes è a una donna che viene mostrato il miracolo di Gesù risorto ed è lei che diffonde la buona notizia. Similmente, nel capitolo 12 una donna appare vestita della Creazione, e il suo corpo gravido e in travaglio segue il ritmo lento della natura, del seme che diventa pianta e poi appassisce per fare da nutrimento ad altri semi e quindi alla vita. 

A noi è chiesto di trovare la posizione nella notte, e le visioni profetiche dell’Apocalisse si muovono attorno a questa consapevolezza: siamo fatte/i per trasformarci, come la Creazione; disconosciamo i tempi rapidi di cambiamento che la stanno uccidendo, usciamo dall’economia mistica. Stiamo cercando i passi dove si svela questa shekhinah, divina presenza, anche lei femminile, che ci insegna i ritmi dei cicli vitali dell’umanità e di ogni essere vivente, che dobbiamo tornare a riconoscere non perché non esistenti ma perché nascosti. La realtà deve essere guardata, non offuscata: nell’Apocalisse tutto serve per decifrare questo mistero, tutto è simbolico, ogni figura evoca una possibilità diversa di vita. Noi dobbiamo imparare di nuovo a vivere, non solo sotto la luce del mattino ma anche nel buio della notte. «La Luna partorisce il sole», dice Cristina Campo in una sua poesia. La professoressa Potente ci invita a trovare il nostro posto nella notte e da qui, da questa virgola nel cielo, trovare la possibilità di trasformarci, seguire la vita e alimentare anche la nostra fede. Non c’è un luogo sacro a cui fare riferimento, alla fine dei tempi non ci sarà tempio perché nel centro c’è la divina presenza, l’agnello: il mistero convoca l’umanità, moltitudine di popoli e persone e lingue e culture, e tutte e tutti assisteranno allo svelamento.  

Tutto ciò è l’Apocalisse, e nostri sono i tempi delle apocalissi, non da intendere come catastrofe ma come rivelazione. Un testo pieno di speranza, dove tutta la vita deve partecipare: non possiamo pensare di redimere l’universo solo con gli esseri umani; tutti gli esseri viventi, visibili e invisibili, devono essere coinvolti. Leggiamo questo libro per amare la natura e l’umanità, e cercare ancora e trovare quelle sfumature che ci fanno camminare sotto un sole che brucia e che rende difficile la vita, ma anche sotto la luce della luna e nel tempo delle donne.  

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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