Scoprire l’arte di star bene. Oltre la malattia 

Sono una bella coppia, Michela e Jay, di quelle che la curiosità e la gioia della scoperta ce le hanno negli occhi. Lui, sguardo intenso e carnagione ambrata, scende con l’eleganza sicura dell’ingegnere aerospaziale dalla sua auto nera; lei, bionda e sorridente, impeccabile in un cappotto chiaro, sgambetta con garbo verso di me, preoccupandosi di avere le scarpe adatte all’impresa. È una tiepida mattina di sole, per fortuna, nonostante la neve caduta appena due giorni fa. Guardando in basso, verso valle, tra Morbegno e Berbenno, balza subito all’occhio che lì i raggi non sono ancora giunti. Sembra di affacciarsi sul regno del ghiaccio, quello della maledizione che colpisce Arendelle nella splendida fiaba animata Disney di Frozen
L’amore scioglierà… sì, va bé, intanto che Anna salva Elsa dal perfido Hans, noi ce ne stiamo ben volentieri sulla sponda soliva a godere un tepore tardo autunnale che laggiù se lo sognano. Siamo qui, questa coppia di sconosciuti e la mia famiglia, sulla costiera retica della bassa Valtellina, per vedere una casa. O almeno pensiamo che sia quello lo scopo, fino a quando viene fuori che Michela è una “scrittrice per caso” (come lei stessa si definisce). Potete ben immaginare come la piega del nostro incontro abbia poi preso strade molto lontane da quelle immobiliari. 
Nel 2019 è uscito per Mind Edizioni il suo riuscitissimo Sto bene, grazie, una sorta di diario epistolare sulla sua vita e gli anni della malattia. Giuro che non avrei mai pensato, vedendola oggi, che avesse passato l’inferno. Invece Michela D’Adamo è una delle molte donne che hanno dovuto fare i conti con il cancro. Anzi, con i cancri, perché, come scrive, è una che le cose ama farle in grande. Mica ci si può accontentare di uno squallido tumorino isolato e solitario, dico. Almeno due, e che diamine, annidati nei punti cardine della femminilità, giusto per farsi e farci compagnia, li vorremo ben scoprire! Così, per non annoiarci troppo. 
Le lettere di Michela all’amica Patrizia accompagnano il lettore e la lettrice in un viaggio tra riflessioni profonde, coraggio, traslochi, pause forzate, piccoli episodi capaci di accendere un sorriso in una giornata grigia, dolori, attese, speranze e incontri. Sono due gli elementi costanti del testo: lo spirito combattivo e al contempo leggero, positivo, ottimista con cui Michela affronta ogni prova che la vita le pone davanti e la presenza silenziosa, mai invasiva ma solida, intensa di Jay, il suo unico e grande amore (così citato nelle dediche). 
Non pensi però la lettrice o il lettore di trovarsi di fronte al solito libro autobiografico sulla malattia e la guarigione di una donna coraggiosa. Questo bel testo di Michela D’Adamo si distingue decisamente per stile e contenuti dal topos classico. Anzitutto vi è una ricerca di risposte che va molto oltre la medicina tradizionale. Tra una pagina e l’altra ci sono consigli estremamente concreti, fondati sia su un solido sapere scientifico, che su ricerche personali serie e approfondite, per affrontare il dolore fisico e psicologico. Sono messe bene a fuoco, per esempio, le tecniche dell’ancoraggio (proprie delle neuroscienze, ma anche della psicologia), la teoria dell’alimentazione legata ai gruppi sanguigni o la mindfulness. Importanti sono i passaggi intimistici, in cui affiora l’idea di benessere globale di cui l’autrice è portatrice e che è diversa per ciascuno (pur essendone universale il presupposto: la centralità della persona, non del/la paziente), così come colpiscono alcune definizioni personalissime, ma decisamente efficaci, con cui l’autrice arricchisce il testo. Nella lettera del 6 febbraio 2012, per esempio, si trova scritto: «L’inconscio comprende solo il linguaggio del cuore. Per lui il corpo fisico è una romantica frase musicale sulla quale si premura di evidenziare improvvise dissonanze». Magnifico, no? Per non parlare del viaggio attorno al mondo nel quale il testo catapulta l’avventato lettore o la sprovveduta lettrice, che probabilmente si sarebbero aspettati un racconto fatto di ospedali, camici, ciabatte, riabilitazioni. Non scherza affatto, Michela D’Adamo quando dice che le cose ama farle in grande. Le sue lettere ci accompagnano da un continente all’altro, da una città all’altra, tra periodi di convalescenza e intense progettualità. Seguendone la successione, si scoprono le descrizioni, a tratti poetiche, di piccoli angoli di mondo pressoché sconosciuti come il paesino di Le Castéra, in Francia, o il più noto Rocamadour, secondo villaggio più visitato della nazione. Canada, Stati Uniti, Texas (dove vive il papà di Jay), Francia, Italia (dove vive la famiglia di Michela, più volte citata come presenza costante, seppur spesso lontana), non manca nulla in questo viaggio per il mondo, che diventa però anche un viaggio interiore e al contempo un cammino di scoperta di ciò che il sapere umano – quello vero, che unisce il cuore al cervello, che coglie nelle coincidenze apparentemente inspiegabili i segni di un perché nascosto – mette sul piatto per chi desidera avere con la vita e con la malattia un rapporto informato e, se non completo, almeno il più pieno possibile. Non per nulla Massimo Citro, medico chirurgo e psicoterapeuta, autore della prefazione al testo, scrive: «Michela sa vivere l’attimo fuggente, da fare invidia a Mefistofele, ed è questo il suo grande insegnamento». 

Michela D’Adamo
Sto bene, grazie
Mind Edizioni, Milano, 2019
pp. 176

***

Articolo di Chiara Baldini

BALDINI-PRIMO PIANO.jpg

Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.

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