Il 15 e 16 dicembre 2022 presso la Fondazione Marco Besso si è tenuto il convegno Ego-storiche, organizzato dalla Società italiana delle storiche (Sis) avente come obiettivo quello di raccontare il contributo delle donne che hanno fatto della storia la propria professione, non solo per le loro ricerche ma anche attraverso i loro diari e la loro corrispondenza. L’ego-storia, infatti, si compone di autobiografie delle stesse studiose e degli studiosi, redatte secondo i criteri della storiografia con riferimenti a dati oggettivi e impersonali. Come risultato di questo processo emergono punti di vista unici sui grandi accadimenti della storia, e l’impatto che questi hanno avuto sulla vita quotidiana di persone in grado di coglierne i segnali ed intuirne le conseguenze di breve e lungo periodo. Tra i grandi storici che hanno redatto le proprie autobiografie ci sono nomi importanti come Marc Bloch, Pierre Nova e Jacques Le Goff, e la Sis si è posta l’obiettivo di far conoscere anche le tante donne che hanno fatto lo stesso tipo di lavoro e che per troppo tempo sono state ignorate: molte infatti hanno prodotto biografie e hanno parlato di sé e dei loro studi ma, come spesso accade, le loro voci sono state ignorate, sminuite e nei casi più drammatici soffocate dalla censura e dalla repressione. La Sis ha parecchio a cuore il recupero di queste storie, il convegno dunque si prefissa di condividere e diffondere le ricerche fatte in tal senso.
Le donne iniziano ad essere accettate nelle università a cavallo fra Otto e Novecento, e quelle che scelgono come ambito la storia si trovano in una situazione unica: oltre all’ostracismo dei loro colleghi – diffuso in ogni disciplina – e a tutto quello che comporta l’essere le prime della loro categoria – emerge dai loro diari e dalla corrispondenza una forte sindrome dell’impostore, un continuo chiedersi se si meritino di essere lì, in quelle accademie a imparare e a insegnare il sapere – loro più di tutte e tutti hanno ben chiaro quanto le loro vicende personali e familiari siano riflesso della società. La storia non parla di donne: parla di grandi battaglie e strategie, di economia, di politica, dei condottieri e dei dittatori ma mai di donne; parla di loro quando si parla di società, ma solo in relazione ad altri uomini e alla sfera riproduttiva.

Scriveva sotto lo psudonimo di Vernon Lee,
nome con cui è più conosciuta
Se non sei una santa la storiografia difficilmente parla di te e, se lo fa, ciò avviene in termini assai poco lusinghieri, come le opinioni contrastanti su figure quali Eleonora d’Aquitania e le donne Tudor dimostrano.
Alcune di queste prime storiche sono accademiche di professione, altre sono ricercatrici indipendenti; Violet Pagel cade in quest’ultima categoria: femminista e pacifista vissuta a cavallo fra Otto e Novecento, esperta di storia e letteratura italiana, una delle figure di riferimento della comunità inglese a Firenze, Pagel è da sempre critica verso il mondo accademico e il suo elitarismo, che sminuisce le studiose fino a farle desistere dal coltivare questa professione per poi far finta di sorprendersi che siano poche quelle che intraprendono la via della ricerca universitaria.
Come un dito che affonda in una ferita aperta, a rendere il tutto più doloroso c’è la tendenza a non conservare o a ignorare gli studi delle prime storiche, col risultato che solo di recente abbiamo scoperto come la disciplina di Storia delle donne e di genere trovi le sue radici in queste ricercatrici che a cavallo fra i due secoli, appassionate di un ramo del sapere dove non c’era quasi traccia di loro, cominciarono a riflettere su sé stesse e sulla loro condizione nel proprio contesto storico. I risultati di tale processo sono poi confluiti nel primo movimento femminista e hanno offerto le basi per la ricerca durante il primo dopoguerra. Sotto il fascismo, molte di loro hanno dovuto scegliere se piegarsi alla dittatura o rischiare la propria incolumità; un destino certo simile a quello dei loro colleghi, ma con l’aggiunta dei rischi che comportava essere donne in un regime che vedeva un valore solo nel loro ventre fertile. Per salvarsi dall’oblio o dalla repressione, molte storiche preferirono fare ricerca su temi ausiliari alla storia contemporanea e moderna, o su temi patriottici come il Risorgimento – “femminilizzando” alcune tematiche senza volerlo, le quali vennero quindi relegate a importanza secondaria.
Nel secondo dopoguerra le basi per l’avvento della seconda ondata femminista vengono poste anche da storiche che riflettono sulla loro vita dal 1939 al 1945 e sull’immane distruzione che ha caratterizzato questi sei anni, cercando di elaborare il trauma da esso derivato. Diventa adesso molto chiara l’importanza di creare una autobiografia, da usare sia come fonte per le proprie ricerche sia come lascito per i ricercatori e le ricercatrici che verranno.


di ristampa recente
Franca Pieroni Bortolotti e Michelle Perrot sono due figure centrali del femminismo dei loro rispettivi Paesi, Italia e Francia, le loro ricerche fondamentali per la disciplina di Storia delle donne: entrambe ferventi comuniste (Perrot avrà ripensamenti a seguito dell’invasione dell’Ungheria e della guerra d’Algeria), entrambe seguite da grandi colleghi – Gaetano Salvemini per Bortolotti, Ernest Labrousse per Perrot – queste due storiche osservano l’evoluzione della loro società e guidano una nuova generazione di studiose e studiosi verso l’istituzionalizzazione della Storia delle donne e di genere e un modo nuovo di fare ricerca. Storia delle donne in Occidente di Perrot e La donna, la pace, l’Europa di Bortolotti sono tuttora capisaldi della storiografia europea, e dal confronto di queste due figure emerge tutta la difficoltà dell’essere storica in una disciplina dove gli uomini cercano di relegare le ricerche delle donne a campi considerati di poco conto, o ad abbandonarne uno quando questo diventa di dominio femminile – come è accaduto talvolta con il Risorgimento; emerge però anche l’amore per il sapere, la coscienza del proprio ruolo come insegnante, e la consapevolezza che la propria produzione sarà utilizzata da chi verrà dopo per scrivere di storia. Per esempio, è così che sappiamo di come Anna Rossi-Doria, storica contemporaneista del dopoguerra specializzata in Storia dei movimenti politici, fosse assillata dalle domande etiche sorte a seguito della persecuzione del popolo ebraico prima e dopo la Shoah: nonostante non abbia mai scritto una autobiografia possiamo leggere nel suo carteggio e nei suoi diari quanto gli eventi della Seconda guerra mondiale l’avessero sconvolta, condizionando fortemente la sua ricerca. Edith Saurer, storica austriaca fra le più preminenti dell’area germanofona, si interessò all’analisi dei bisogni individuali e collettivi e di come questi impattassero la relazione tra società e individuo, tema di ricerca legato alla sua vita privata. Rossi-Doria e Saurer, così come molte altre, faranno dunque della propria storia personale e del periodo storico in cui sono vissute oggetto di ricerca.
Storiche di ieri e oggi, due volumi curati da Ilaria Porciani e Maura Palazzi, offrono una attenta ricostruzione della metodologia dell’ego-storia femminile, dalle difficoltà culturali a quelle più oggettive come il problema della soggettività e della memoria, alla produzione storiografica delle prime riviste di settore curate da donne, come Pénélope e Clio, che portarono una ventata di novità necessaria allo svecchiamento della disciplina storica, grazie all’introduzione di nuovi temi di ricerca e all’inclusione di nuove prospettive. Reshaping Women’s History. Voices of Nontraditional Women historians è una raccolta di saggi curata da Julia E. Gallagher e Barbara Winslow a cui hanno dato il loro contributo storiche di diverse generazioni e diversi contesti sociali di provenienza, unite dal desiderio di costruire un nuovo futuro in cui la ricerca storica non sia più intralciata dalle differenze di classe o etnia. La Sis stessa si è posta come oggetto di ricerca, per commemorare i trent’anni di attività, creando un corpus di interviste alle fondatrici e alle socie di lunga data che fornisce nuovi spunti di riflessione e nuove possibili traiettorie da seguire, anche alla luce dell’avvento di giovani ricercatrici con un bagaglio esperienziale completamente diverso da chi la seconda ondata femminista l’ha vissuta e a volte guidata.
Ed è proprio sulla questione generazionale che si chiude il convegno, su quel passaggio di testimone che viene affrontato con nuova coscienza: la propria storia e la scrittura di storia lasciata in eredità ai ricercatori e alle ricercatrici che verranno. L’ego-storia è farsi oggetto di studio, la dichiarazione ultima d’amore per il sapere con la cieca fiducia che chi avrà in mano quella storia saprà farne buon uso.
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.