Ci sono delle parole che saltano più di altre. In generale, si potrebbe dire che alcune rimbalzano di voce in voce, altre da foglio a foglio. Altre ancora, con lunghi balzi, viaggiano di secolo in secolo. Ci sono quelle, poi, che vanno da lingua a lingua. Altre si perdono, alcune si abbandonano. Altre vagano da un significato a un altro. In alcune parole le tipologie di salti si combinano, in modo che voci, lingue, fogli, luoghi, secoli e significati ne intersechino le traiettorie e agiscano su di esse. Ricercando l’origine di alcune parole, può capitare di accorgersi che slanci apparenti siano invece scivolate, oppure delle spinte in una particolare direzione. Talvolta raccontare una di queste virate appare necessario.
La storia della parola “gossip”, balzata fino al presente da un lontano passato, è emblematica. A tracciarne il filo è Silvia Federici, in particolare nel suo libro Caccia alle streghe, guerra alle donne, edito da Nero Edizioni, ma anche in Calibano e la strega, edito da Mimesis.
Puntando la luce sulla china che compone le lettere del termine “gossip” appaiono, tra le sue venature, le tracce di un attacco alle donne che ha segnato la nascita dell’Inghilterra moderna. Largamente in uso in italiano per indicare il pettegolezzo, la parola “gossip” trae origine dalle anglosassoni “god” e “sibb” (affine). Come spiega Federici, il suo significato era in principio quello del legame spirituale espresso dalle figure del padrino o della madrina (“god-parent”), poi utilizzato per indicare le persone presenti al momento del parto, e da qui il rapporto di amicizia tra donne.
Specchio rovesciato di quest’ultimo uso sono i mystery play, dove la comunanza tra donne viene raccontata deridendone – e condannandone – i comportamenti. Così nel Chester Cycle una moglie appare in una taverna con le sue “gossips” (amiche), restia alle richieste del marito (Noè), che al termine della scena viene picchiato dalla donna. Federici spiega come le rappresentazioni satiriche, ad esempio la “battaglia per i calzoni”, fossero l’espressione di un sentimento misogino mirato all’esclusione delle donne dallo spazio pubblico. Questa letteratura, d’altra parte, si colloca in un momento storico in cui le donne possedevano ancora una certa autonomia, sebbene il loro potere sociale fosse sempre più inviso al sistema economico in via di affermazione, che le arti, finanziando anche le rappresentazioni teatrali, contribuivano a sedimentare. Le donne, minacciate nella loro indipendenza, apparivano come minacciose; mogli facinorose e aggressive.
Ma dalla satira misogina non tarda ad arrivare l’urto che colpisce la parola “gossip”, deviandone il percorso. Il mutamento nell’uso del termine è ravvisabile intorno al XVI secolo, quando la condizione femminile iniziava a peggiorare e si inasprivano le accuse di stregoneria, oltre agli attacchi alle mogli “bisbetiche”. In quel periodo Federici ravvisa quella che chiama una vera e propria guerra alle donne.
Il cambiamento dell’uso della parola “gossip” si colloca sullo sfondo di una società in cui era in corso il processo delle enclosures; in cui le donne perdevano l’accesso alle fonti di sostentamento e in cui, allo stesso tempo, il loro potere sociale era minacciato dal rafforzamento dell’autorità patriarcale nella famiglia e dalla loro crescente esclusione dalle corporazioni. Non sorprende, dunque, che un termine impiegato per designare i legami femminili approdasse verso un uso che sviliva le amicizie tra donne e i discorsi che ne derivavano.
A testimonianza di questo fatto Federici ci ricorda che uno strumento di tortura chiamato “mordacchia” o “briglia della comare” era detto anche “gossip bridle”. Questa sorta di maschera di ferro impediva alle donne – di classe inferiore, ribelli o sotto accusa per stregoneria – di parlare, causando loro dolore e lacerazioni. Le donne venivano messe a tacere e i loro discorsi tacciati come di poco valore. Il gossip diventa in questo modo una chiacchiera divisiva, piuttosto che un’attestazione di solidarietà. La guerra alle donne era combattuta con le parole e con la tortura. I processi alle streghe, costringendo le donne a denunciarsi tra di loro, ne spezzavano definitivamente i legami. In questo contesto l’attacco, d’altra parte, colpiva tanto le amicizie femminili, quanto il loro sapere. Con la parola “gossip” la conoscenza delle donne veniva declassata a discorsi futili o maligni, la cui pratica era vista come tipicamente femminile. Significativo il fatto che lo stereotipo della donna invidiosa e malvagia fosse centrale nelle opere dei demonologi.
Nella trasformazione della parola “gossip”, come spiega Federici, il senso perduto non è più recuperabile. Anche quando successivamente, alla fine del XVI secolo, veniva usata per designare un gruppo di donne che si mobilitavano per difendere la morale, il significato di quella cooperazione era ormai cambiato, in quanto nasceva in difesa dell’ordine sociale costituito. Oggi il termine porta su di sé il marchio di quel mutamento. La traccia della spinta che ne ha deviato il percorso. Federici, raccontandolo, mostra i meccanismi innescati dall’oppressione di genere, e come si riproduca attraverso di essi. Talvolta soffermarsi su una parola, per raccontarne la storia, appare necessario.

Silvia Federici
Caccia alle streghe, guerra alle donne
Nero Edizioni, Roma, 2020
pp. 169
In copertina: Donna con una mordacchia, Wellcome Collection.
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Articolo di Nicole Kheiraoui

Ama scrivere, insegnare e si interessa di studi di genere. Conclude il percorso di studi filosofici con una laurea in Storia della filosofia francese contemporanea all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Ha lavorato per diversi anni nell’ambito della comunicazione e dei media. Attualmente frequenta il Master Studi e Politiche di Genere presso l’Università degli Studi Roma Tre.