Lingua italiana: nella teoria, un sistema esteso e complesso, basato su regole ben precise di comunicazione; nella pratica, uno strumento per esprimere il punto di vista di chi parla o scrive, il suo sguardo sulla costante e sempre più rapida trasformazione del mondo – la sua interpretazione personale di questo continuo cambiamento.
Questo complesso insieme di segni comunicativi coinvolge chi insegna e chi apprende in un percorso che assomiglia a un viaggio, non solo nello spazio ma anche nel tempo. Muoversi nello spazio comporta la scelta di un itinerario più o meno prefissato, che ciascuna/o restringe in base al proprio posizionamento, concreto – la polvere e i sassi della strada, l’orizzonte, il finestrino del bus, l’oblò della nave o dell’aereo – e astratto: ciò che si insegue partendo da letture, informazioni virtuali, narrazioni di chi ci ha precedute/i. Muoversi nel tempo ugualmente prevede un percorso informativo prestabilito, fatto di date e di eventi, ma consente riflessioni, riletture, confronti e può invitare a deviazioni impreviste, fino a condurre a interpretazioni del passato differenti.
Allo stesso modo l’avventura attraverso una lingua sviluppa prospettive diverse, crea espressioni alternative, può proporre o perfino imporre mutamenti di rotta inattesi e imprevedibili. Così l’italiano si avvale di una struttura fissa, di regole concordate, di un’architettura progettata in altri tempi, quando era indispensabile provvedere a un’identità univoca, fornire stabilità, esprimere chiarezza, costruire schemi per uniformare la comunicazione fra il maggior numero possibile di persone. Il mondo contemporaneo richiede invece che questa intelaiatura sappia conciliare la rigidità con la flessibilità sia dell’espressione individuale sia delle diverse situazioni comunicative.
Perciò anche nell’ambito dell’insegnamento/apprendimento a studenti di altre nazionalità il sistema-lingua è oggetto di continui, necessari adattamenti sia da parte di chi lo insegna, sia da parte di chi vi si affaccia nel vortice della globalizzazione, dove la lingua è modellata dalle necessità più disparate.
Nel corso della mia vita professionale mi sono trovata in situazioni molto diverse: le prime occasioni si sono presentate nella scuola italiana, che ormai da molti anni accoglie studenti di altre nazionalità, sia in programmi di scambio culturale, per un periodo fra i tre mesi e l’anno scolastico, sia come inserimenti di nuovi residenti, generalmente figlie e figli di famiglie immigrate; in queste situazioni, come insegnante di lingue straniere ero spesso la figura più adatta (talvolta l’unica) a comunicare con loro.
Successivamente sono stata docente di lingua e cultura italiana in diverse università straniere in Europa, Asia, Africa; con un certo stupore ho constatato che anche in Paesi lontani, non solo geograficamente ma culturalmente, l’Italia gode di fama e prestigio, grazie al ruolo che ha rivestito durante i secoli nella storia europea. Attualmente sono impegnata come volontaria in corsi di prima alfabetizzazione rivolti a immigrate e immigrati, dove si affacciano persone dalle esigenze più eterogenee rispetto all’apprendimento della lingua. Chi usufruisce di queste opportunità, del tutto gratuite ma purtroppo non riconosciute dalle istituzioni, proviene dalle esperienze più varie: minori non accompagnati, che arrivano al confine via terra o hanno attraversato fortunosamente il Mediterraneo e sono poi redistribuite/i sul territorio nazionale; studenti universitari/e che frequentano corsi annuali o semestrali, per i quali non sempre è previsto l’insegnamento dell’italiano; residenti di lunga data, che lavorano nel nostro Paese da tempo ma non hanno mai avuto l’opportunità di apprendere la lingua, per finire con ragazze e ragazzi adolescenti che, pur essendo nati qui, sono stati trasferiti nel Paese di origine della famiglia e successivamente riportati in Italia, affrontando così percorsi di apprendimento diversi e lacunosi.
Negli articoli che seguiranno, perciò, l’italiano è considerato sia come L2, cioè lingua appresa in Italia da parlanti di altra lingua madre, che come LS, lingua straniera appresa nel Paese d’origine di chi studia; il mio sguardo di insegnante italiana (ma vorrei dire europea, occidentale, per sottolinearne la soggettività) che agisce in un arco di tempo e di spazio limitato, rappresenta un punto di incontro temporaneo fra percorsi tanto diversi, destinati a riprendere il loro cammino ciascuno verso destinazioni distinte, possibilmente arricchito di qualche utile strumento.
Ogni mese ci attenderà un breve itinerario in una direzione particolare: saremo all’estero, dove l’italiano gode di un alto prestigio culturale, e in Italia, dove rappresenta uno strumento essenziale di sopravvivenza, insieme con apprendenti e docenti i cui ruoli spesso si confondono e si stemperano l’uno nell’altro.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.