Censura sì e censura no. Nella scuola è pregiudizio

Non si intende entrare nel merito dell’opera La traviata di Giuseppe Verdi, ma ci si vuole soffermare su un particolare degno di nota. Violetta, già Signora delle camelie in Dumas figlio, è donna di mondo, cortigiana. La prima fu rappresentata nel 1853 alla Fenice di Venezia e fu un clamoroso insuccesso dovuto, a distanza di tempo è ormai opinione acclamata che sia così, non tanto alla professione della donna quanto al fatto che sia proprio lei a dimostrarsi più degna delle persone perbene; è dotata di ragione, non agisce mossa solo da istinti passionali.

Come è noto l’opera ha goduto e gode di straordinaria fortuna e innumerevoli nel tempo sono state le sue rivisitazioni, fino ad arrivare all’ultima, per la regia di Luca Baracchini che, attualizzando il soggetto, si è ispirato alle stesse indicazioni di Verdi che intendeva spingersi ai limiti della morale corrente del tempo, fare della Traviata un’opera attuale proprio nel momento in cui lo spettatore vi assiste. Ecco allora che per Baracchini Violetta non è più una cortigiana, ma una transgender. Ecco che la rappresentazione, già in calendario per questo mese e programmata fin dallo scorso giugno per le scuole di Ascoli Piceno e Fermo, viene all’ultimo momento dai rispettivi sindaci e dalle loro amministrazioni comunali impedita, censurata.

Il che, nella morale spicciola, equivale a dire che oggi, nel febbraio 2023, parlare di una mantenuta, in posizione assolutamente subalterna all’uomo-amante, nelle scuole è accettato, ma non lo è il parlare di identità sessuale. È inutile persino commentare. Viene solamente da sorridere pensando che Ascoli Piceno aveva proposto la propria candidatura a Capitale italiana della cultura 2024! I sindaci hanno, a loro giustificazione, paventato un possibile disorientamento dei giovani di fronte a un tema imbarazzante, ma molto probabilmente, impedendo loro la visione, consentita solo nella versione strumentale, non si sono dimostrati che colmi di pregiudizi e non all’altezza del ruolo che ricoprono. 

Baracchini sostiene di avere trattato Violetta con occhio tragico e delicato, di avere avuto l’obiettivo di far sedere le persone con un possibile pregiudizio e farle alzare avendo fatto esperienza di un altro percorso di vita, diverso. Ritiene che Violetta sia un personaggio sbagliato ma che parla anche di noi quando ci guardiamo allo specchio e non ci sentiamo adeguati alle richieste del mondo: riflessioni insomma, utili a mio avviso alla crescita delle persone in età scolare che si accingono a diventare cittadini e cittadine. Riflessioni precluse da un atto illecito in ambito culturale: la censura.

Mi trovo spesso a pensare che la censura in sé non sia male. Non lo è, quando impedisce la volgarità, e non lo fa abbastanza; quando evita l’istigazione alla violenza, e non lo fa abbastanza: il 31 gennaio, ad esempio, su Rai 1, in attesa della mezzanotte, tra le canzoni trasmesse, c’è stata Ti pretendo, di Raf. Se nel 1989, anno di uscita della canzone, di parole come: «Io non ti voglio, ti pretendo/È inutile che dici no», o: «Sei L’unico diritto che ho» poteva non esserci consapevolezza, ritengo che oggi debbano invece essere fermate e non addirittura ridivulgate e che dovere della Rai sarebbe stato, per l’appunto, censurarle. C’è una censura meccanica e non intelligente, quella del social che blocca il panino alla finocchiona, scambiando l’insaccato toscano per una parolaccia, e poi non può nulla contro la bufala che fa danni anche perché nella rete, direbbe Umberto Eco, l’opinione del Nobel ha lo stesso peso di quella espressa dall’imbecille.

Non faccio riferimenti al passato, dal momento che sull’argomento già tanto è stato scritto (e sempre di Eco basterebbe citare Il nome della rosa e la censura a leggere del riso per riempire pagine e pagine) ma mi fa piacere ricordare che Monaldo Leopardi nella sua Biblioteca aveva, e c’è ancora, uno scaffale chiuso a chiave con i libri all’indice, e che si era fatto rilasciare l’autorizzazione per farli leggere al giovane Giacomo.
Che dunque i libri non vadano proibiti e che l’informazione debba essere libera è il pensiero dello stesso Presidente Mattarella che in occasione dei 60 anni dell’Ordine dei giornalisti, lo scorso 3 febbraio, ha ricordato l’articolo 21 della Costituzione: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Il discorso del Presidente non ha potuto naturalmente omettere l’appello alla responsabilità di chi è chiamato a rendicontare seguendo la realtà fattuale, la «verità sostanziale dei fatti».

In nome della libertà esiste la censura da contrastare con ogni mezzo, quando governi, come quello iraniano, bloccano le piattaforme di comunicazione. Ma sempre in nome della libertà è a gran voce che dobbiamo difendere l’idea che la scuola non può negarsi al compito di essere veicolo di civiltà. Lo sostengo col supporto di una sentenza emessa il 23 gennaio dalla Corte europea dei diritti umani che, riguardo ai libri per bambini e bambine, nega che testi che trattino temi di omosessualità possano compromettere il benessere e lo sviluppo delle/dei piccoli, garantendo ad autori e autrici la piena libertà di espressione. Omosessualità e quanto ne segue e consegue, se ne deduce, naturalmente.

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Articolo di Norma Stramucci

Laureata in Lettere con Perfezionamento in Scienze e Storia della Letteratura e Dottorato in Filologia, è stata docente di Letteratura e Storia fino al settembre 2019, occupandosi anche di formazione docenti. Ha al suo attivo, oltre a un sito personale, numerosi articoli, recensioni e pubblicazioni, tra cui Lettera da una professoressaSe mi lasci ti uccido, Soli 3 + (quell’altro).

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