Le grandi assenti. Barbara Longhi

Sono diverse le storie di giovani figlie di artisti che, nonostante la grande possibilità di fare pratica presso la bottega del padre, non ottennero la gloria dei loro familiari. Avevano scarse possibilità di movimento poiché il loro onore era considerato più importante dell’abilità pittorica, vivevano all’interno dello studio, non partecipavano mai, nel caso il padre o i fratelli lavorassero anche nell’ambito della pittura murale, a cantieri.

La più fortunata fu Artemisia Gentileschi, anche se passò inosservata per molto tempo agli occhi degli storici, i quali si interessarono più alle sue vicende biografiche: primogenita del pittore toscano Orazio Gentileschi, esponente di primo piano del caravaggismo romano, fu iniziata all’arte dal padre. Ma tante ancora meriterebbero di essere ricordate. Antonia Uccello, figlia del pittore Paolo Uccello, è citata ne “La vita dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” dal Vasari, che, quando racconta la biografia del padre, scrive «ha lasciato una figlia che sapeva disegnare». Alla sua morte è stata registrata come pittoressa. Lavinia Fontana, figlia del pittore manierista Prospero Fontana, nei suoi ritratti cercava di sondare la psicologia dei personaggi. Si cimentò anche in pale d’altare e soggetti mitologici. Marietta Robusti, figlia del noto Jacopo Robusti detto il Tintoretto, per questo nota come la Tintoretta, da bambina frequentava la bottega del padre, vestita da maschio. Divenne una valente ritrattista, morì giovane, a trent’anni. Fede Galizia, figlia di un pittore di miniature, Nunzio, fu soprattutto considerata per il genere della natura morta.

Certamente l’ingresso di una figlia nel mondo dell’arte è favorito dall’attività paterna, ma non è un dato scontato in un contesto in cui prevale l’idea che quello riservato alle donne sia l’orizzonte domestico. Barbara Longhi, figlia del pittore manierista Luca Longhi, nacque a Ravenna nel 1552, dove trascorse tutta la sua esistenza. Apprese le tecniche pittoriche all’interno della bottega paterna, nella quale operava anche il fratello maggiore Francesco, e crebbe tra le attenzioni del padre e del fratello. La giovane mostrò sin dall’infanzia una precoce inclinazione per il disegno e per la pittura, tanto che il padre le concesse di affiancarlo nel lavoro, con il compito di realizzare opere devozionali di piccolo formato, su committenza dell’aristocrazia romagnola. Barbara condivide il percorso della maggior parte delle artiste sue contemporanee: riconoscendo le loro doti precoci, i padri le ammettono in bottega e si giovano della loro collaborazione. Barbara manifestò presto anche una sorprendente indipendenza dalle opere del padre e del fratello, rispetto alle quali le sue opere evidenziano una maggiore partecipazione emotiva. Il Vasari, che aveva conosciuto Barbara di persona, avendo soggiornato un paio di mesi a Ravenna, dice di lei: «Sappiate che in Ravenna è hoggi una fanciulla di età di diciotto anni figliola di Messer Luca Longhi eccellentissimo pittore, la quale in questa arte è sì meravigliosa, che il padre stesso comincia a meravigliarsi di lei, e massime nella parte de’ ritratti ch’ella a pena darà una occhiata a una persona, che meglio la finge di chiunque altro più che mediocremente esercitato. havendola tuttavia dinanzi non farebbe: il suo nome è Barbara.» E ancora «disegna molto bene; ed ha cominciato a colorire alcuna cosa con assai buona grazia e maniera».

Si sa poco della sua vita e s’ignora se si sia mai sposata. Anche su diverse opere, prive di firma o recanti solo una sigla, la critica pone dubbi di attribuzione. La scarsità di notizie non consente di ricostruire l’intero suo percorso artistico che comunque è legato a commissioni di bottega del Longhi. Nelle Nozze di Cana, opera di Luca Longhi del 1579-1580, poi ultimata da suo figlio Francesco, la donna in primo piano, rivolta verso lo spettatore, sarebbe un ritratto di Barbara, o addirittura un autoritratto. Nell’affresco, che occupa una parete del refettorio di quello ch’era un tempo il convento dei monaci camaldolesi di Ravenna, oggi sede della Biblioteca Classense, seduta alla tavola, sul lato opposto rispetto a quello dove siede Cristo, una giovane, bellissima, dai lineamenti delicati, i capelli biondi raccolti sotto il velo, rivolge all’osservatore uno sguardo sorpreso e innocente.

Nozze di Cana, Luca Longhi
Nozze di Cana, Luca Longhi particolare con ritratto della figlia Barbara

I temi dei suoi dipinti sono in genere religiosi, spesso ha trattato il motivo della Vergine con Bambino, resa sempre con umana delicatezza.

Madonna che allatta (sx) – Vergine con bambino che incorona una santa (dx)-Barbara Longhi
Madonna che legge con Bambino (sx) – Madonna che adora il Bambino (dx), Museo di BaltimoraBarbara Longhi
Madonna con Bambino (sx) – Madonna con Bambino e S. Giovannino (dx), Barbara Longhi

Fu anche stimata ritrattista, ma della sua produzione ritrattistica ci è pervenuto solo il Ritratto di un Monaco Camaldolese, uno dei pochi che include una data, anche se l’ultima cifra non è del tutto leggibile (1570 o 1573?), e unico raffigurante un soggetto maschile adulto. Lo ha ritratto nel suo studio, vestito del saio bianco camaldolese, tra i suoi libri aperti e scritti a mano. Questo dipinto si conserva oggi al Museo d’arte della città di Ravenna. Barbara collaborò anche alla realizzazione di pale d’altare, entrando così in contatto con il processo di commercializzazione, che allora si svolgeva attraverso mecenati.

Ritratto di Monaco Camaldolese, Barbara Longhi
Santa Caterina, Museo d’arte della città di Ravenna (sx) – S. Caterina-Bologna, Pinacoteca Nazionale (dx), Barbara Longhi

La Santa Caterina d’Alessandria, oggi al Museo d’arte della città di Ravenna, proviene dal monastero di Classe in Ravenna. Nell’opera sotto la santa si cela l’autoritratto dell’autrice. La scelta di rappresentarsi nelle vesti della santa, giovane nobile, nota per la bellezza, la cultura e la dirittura morale, è dettata dalla volontà da parte dell’artista di confermare il proprio status di donna virtuosa, sul modello femminile descritto da Baldassare Castiglione nel celebre testo “Il Cortegiano” (1528).

L’altra Santa Caterina, oggi alla Pinacoteca di Bologna, ha il volto nobile e aggraziato, l’atteggiamento raffinato e aristocratico, è girata di profilo, e si volta di tre quarti per incrociare lo sguardo dell’osservatore. I capelli biondi, come nelle Nozze di Cana, sono adornati con fili di perle e raccolti in un velo, fissato sulla spalla con un fermaglio d’oro, decorato con gemme. I colori cangianti della veste, dalle tenui tonalità di verde e rosa, spiccano sul fondo scuro. La mano destra è rivolta verso l’alto a tenere il velo, l’altra invece, stesa, s’appoggia sulla ruota dentata, e regge la palma del martirio, un ramoscello che a malapena s’intravede.

Di questa santa Caterina si conoscono altre tre versioni: una è ancora al Museo d’Arte della Città di Ravenna, un’altra è in una collezione privata, la terza è al Museo Nazionale di Bucarest: in tutto sono cinque.

Nel 1580 il padre Luca muore e alla guida della bottega subentra il primogenito Francesco, il quale acquisisce anche la tutela della sorella Barbara. In questo periodo l’artista dipinge uno dei temi biblici più ricorrenti nella storia dell’arte: Giuditta e Oloferne, conservato ancora al Museo d’Arte della Città di Ravenna.

Giuditta e Oloferne – Barbara Longhi

Anche altre donne pittrici di epoca barocca si sono cimentate su questo episodio biblico, Fede Galizia, Artemisia Gentileschi, Elisabetta Sirani che, rispetto alla Longhi, scelgono di rappresentare l’atto della decapitazione della testa di Oloferne in maniera più violenta. L’attenzione di Barbara si focalizza invece non sul momento tragico dell’uccisione, ma sull’attimo dopo, quando l’eroina, tenendo la testa di Oloferne per i capelli, alza languidamente gli occhi al cielo quasi per chiedere perdono e comprensione, con un’espressione più intima e privata. Sulla base del confronto con questa Giuditta, si è giunti all’attribuzione a Barbara Longhi di una Sacra famiglia con san Giovannino e santa Elisabetta, rintracciata in un’asta in Germania e acquistata dal MAR, Museo d’Arte della Città di Ravenna.

L’opera è stata attribuita alla pittrice ravennate perché la testa della Madonna nella Sacra famiglia richiama quella dell’eroina biblica. Si tratta di un’opera dalla quale emerge il suo stile delicato e morbido, tipico della sua pittura devozionale. Va ad arricchire la collezione del museo che conserva anche altre opere di Luca e Francesco Longhi, artisti che insieme a Barbara rappresentano un punto di riferimento dell’arte ravennate e italiana del XVI secolo.

Sacra famiglia con san Giovannino e santa Elisabetta, Barbara Longhi

Nel 1638 Barbara muore, all’età di ottantasei anni. Le sue opere, oltre che a Ravenna e altre città italiane (Bologna, Pinacoteca Nazionale; Milano, Pinacoteca di Brera; Verona, Museo Canonicale del Duomo), si trovano in altri importanti musei del mondo, tra cui il Walters Art Museum di Baltimora, l’Indianapolis Museum of Art e il Museo del Louvre a Parigi.

Artista talentuosa, ma sconosciuta, intanto per i limiti della bottega paterna (Luca Longhi non uscì mai da Ravenna, né si aggiornò), gli stessi limiti che hanno influenzato negativamente la carriera della figlia, poi perché la sua attività fu strettamente legata a quella della famiglia, rimanendo nell’orbita della bottega paterna. Ma la sua storia, per il poco che sappiamo, appare simile a quella di tante altre artiste che, per i forti limiti imposti dalla loro epoca, non poterono andare al di là di piccoli traguardi raggiunti.

In copertina: S. Caterina d’Alessandria (particolare), Barbara Longhi.

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Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

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