Editoriale. Una domenica bestiale

Carissime lettrici e carissimi lettori,

noi ci siamo vergognate/i, molto. Loro non si sono neppure scusati, anzi hanno accusato le vittime stesse di poca capacità di gestire i figli, di maleducazione civile e di noncuranza. Né hanno pensato di dimettersi, come, in effetti, di caso in caso, è stato chiesto loro. 
Da una parte la minaccia di provvedimenti, dall’altra, ed è l’aspetto più grave, il goffo quanto terribile tentativo di ritrattare, a cui purtroppo la politica ci ha abituati/e da tempo. Correggere il significato del discorso, soprattutto se pubblico, non basta. Di fronte alla violenza e, soprattutto, davanti alla morte. Non c’è spazio per ritrattare e neppure per il silenzio che sarebbe più consono. Ma urgono soluzioni e, prima di tutto responsabilizzazioni.  

La morte è sempre ultima e tragica. Ma può essere ancora più tragica quando è disumana. Oltre c’è la sofferenza e l’innaturalità di quando la vita si lascia fuori dal proprio tempo naturale, quando si è ancora giovane, con la speranza e il sogno di un futuro migliore, quando si è appena arrivati/e al mondo. Allora l’umanità nostra deve intervenire e ce lo detta anche un articolo della Costituzione italiana, ancora giovanissima, ma già in più punti smentita. Detta l’articolo 10: «L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici». Protezione, dunque, e ancora con più forza, aiuto, salvataggio per poi valutare. Secondo la legge.

Invece sono morti e morte in troppi/e. Quasi cento su una barca, che forse ne conteneva duecento, letteralmente spezzata dalla forza del mare d’inverno. È successo domenica scorsa, all’alba, ad appena 150 metri dalla spiaggia di Cutro, una piccola località della costa calabrese nel territorio di Crotone. Terre ricche di storia. Cutro, infatti, è diventata città nel 1575 per volere di un re che veniva anche lui da un altrove (Filippo II di Spagna) che l’ha fregiata di questo titolo perché un suo concittadino era diventato il primo campione di scacchi d’Europa e del Nuovo Mondo. Poi l’antica Crotone che aveva ospitato un profugo illustre, Pitagora, che lì fondò la scuola di pensiero intitolata a suo nome, uomo di pace tanto da essere, con tutti i suoi adepti, anche vegetariano.  Una tragedia che si ripete, è vero, perché le morti in mare sono state tante, si dice, più di 20.000: un vero cimitero nell’acqua. Ma sembra che ogni volta lo spavento delle reazioni sia maggiore. Questa volta il Ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, arrivato sulle spiagge davanti al mare della tragedia ha decretato punizioni al demerito per chi era partito, senza scelta. Colpevoli secondo il ministro, questi morti e queste morte, con tanti bambini e bambine ai cui è stato decretato stesso destino capitato a loro, padri e madri naturali e putative/i. Ma il ministro bacchetta ancora, anche tornando a Roma. «Non bisognava partire con un mare così», «Un genitore non può esporre un figlio, una figlia a un tale pericolo». Come se fosse una crociera da poter rimandare, da cancellare in agenzia, con il rimborso del viaggio e l’assicurazione compresa. Ha tentato Piantedosi di rimediare, di correggere di momento in momento l’assurda gravità delle sue espressioni, ha cercato di difendersi maldestramente dalle accuse di brutalità e disumanità. Ma non si è dimesso, fiero, anche delle sue origini lavorative. Se andassimo a vedere le radici linguistiche la parola ministro/a è legata al termine latino Minister che il vocabolario traduce come servitoreaiutante. In più derivato di «minorminore, meno, secondo il modello di magister, maestro, sentito in rapporto con magis più. In genere, chi è al servizio di una persona, di un’autorità, di un’amministrazione, con funzioni esecutive di assistenza, di collaborazione o anche con mansioni più propriamente servili. Nell’antica Roma, furono così chiamati i littori e subalterni degli imperatori, e gli impiegati della casa imperiale: generalmente di condizione servile, esercitavano svariate incombenze alle dipendenze dei capi della cancelleria e dell’amministrazione imperiale. Con lo stesso nome si designarono anche gli inservienti di un tempio o dei riti, specificatamente di quelli sacrificali» (Treccani). Chiaramente nella lingua italiana la parola ha «accezioni proprie» e non bisogna auspicare situazioni umilianti e servili per adempiere, in politica, al proprio compito di essere a capo di un Ministero. Basterebbero parole e azioni responsabili.

Dell’altro ministro, Giuseppe Valditara, a capo del Dicastero dell’Istruzione e del Merito (della cui nuova denominazione rimango sempre perplessa) abbiamo già accennato nello scorso editoriale. Anche da parte sua non ci sono state ritrattazioni e tantomeno dimissioni. Eppure sono stati davvero fuori posto il suo intervento e il suo richiamo punitivo (eccolo di nuovo il de-merito!), l’inappropriata, se non scandalosa, reazione alla lettera molto educativa rivolta agli alunni e alle alunne dalla dirigente scolastica del liceo Leonardo da Vinci di Firenze dopo i pestaggi avvenuti proprio davanti al Liceo Michelangiolo.

Nessuna dimissione, dunque, dei ministri in questione. Neppure del ministro delle Infrastrutture verso cui si guarda per le palesi responsabilità in cui è coinvolto rispetto alle possibilità di attuazione dei soccorsi nel triste naufragio di domenica davanti alle coste calabre. Perché Frontex ormai lo ha detto chiaramente: aveva avvertito della presenza dell’imbarcazione. Una curiosità: a dimettersi in questi ultimi giorni sono stati altri, i portavoce di questo governo, di questi ministri. «Fuggono – si è scritto – a ritmo anche di due al giorno». Ha cominciato proprio Giovanni Sallusti, 40 anni, che ha lasciato questa settimana dopo che il ministro Valditara, di cui era portavoce, è finito sotto accusa per l’annunciata punizione della preside fiorentina. Sallusti si è dimesso “per motivi personali e familiari”, si legge nella motivazione ufficiale.  Ha lasciato anche Marina Nalesso, la portavoce del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, preferendo, evidentemente, ritornare alla Rai, al Tg2, la testata diretta da ministro prima della sua attuale nomina. Nelle scorse settimane se ne erano andati il portavoce di Adolfo Urso, Gerardo Pelosi, e il capo di gabinetto della ministra delle Riforme, Maria Elisabetta Casellati, Alfonso Celotto, pure lui “per ragioni personali”. 

Se l’ultima domenica di febbraio si è aperta con una tragedia che lascia nei nostri occhi e sulle nostre coscienze quasi 70 morti affogati, tra cui tantissimi bambini e bambine per i quali, al contrario di quanto detto dal ministro degli Interni, i genitori avevano progettato una vita migliore e più felice, la stessa giornata si è chiusa con una piccola (o grande, ma questo si vedrà con il tempo) rivoluzione politica. 
Si può dire che Elena Ethel Schlein, detta Elly, svizzera per nascita (a Lugano), classe 1985, domenica sia stata eletta a furor di popolo. Era stata data per sconfitta dal voto interno alle sezioni del suo partito, ma la cosiddetta “base”, le persone che sono andate a scegliere la/il presidente del partito ai gazebo disseminati per le piazze e le strade d’Italia, l’hanno preferita di gran lunga al suo concorrente. A prediligerla come nuova Segretaria sono stati/e soprattutto le e i giovani che, così, sono tornati/e a votare, ad interessarsi di nuovo alla politica. Cosa questa non da poco, visto il manifestarsi, sempre più imperioso nelle ultime elezioni, del cosiddetto Partito dell’astensionismo, risultato praticamente il più consistente. 
Così questo risultato, arrivato domenica notte, diventa ancora più significativo. Importante di più, o almeno quanto quello di avere in un partito, e tra quelli più maschilisti, una direzione al femminile. La nuova Segretaria potrebbe dare, già facendosi chiamare come tale, un deciso segno alla politica italiana, al di là della propria posizione parlamentare. E seppure l’elezione di Schlein può servire a un bilanciamento con la leadership dell’attuale parlamento, non si dovrebbe secondo noi parlare, come purtroppo si è fatto, di Eva contro Eva o di uno scontro tra persone dello stesso genere. Ci piace, invece, soffermarci sulla diversitàUn’occasione per lo stacco importante, e per più versi, rispetto alla Storia passata della politica. Ci vediamo la possibilità, fermo restando che sarà solo il tempo a dimostrarlo, di un’apertura di vedute su argomenti fondamentali della vita sociale, partendo proprio dalla disparità di genere, che tra l’altro vede il nostro Paese come fanalino di coda in Europa, o i diritti LGBT+. Altra occasione sono le periferie cittadine, uno sguardo ultimamente assente o dato distrattamente, e probabilmente alla base del disinteresse partecipativo. Peccato che purtroppo sono arrivati gli insulti, che poco hanno a che fare con il dibattito e la critica democratica. Demoralizzano i richiami alle origini ebraiche di Elly Schlein (da parte paterna), di un’appartenenza o protezione lobbistica o i post sessisti del sindaco di Grosseto Colonna Vivarelli, davvero poco edificanti!

Se il ministro degli Interni Piantedosi si destreggia, direi malamente, tra ipotesi di buone partenze, contrapponendo questo suo modo di gestire il mondo e l’altra ipotesi, sempre personalissima, di una presa in carico di chi fugge dal proprio paese essendo impossibilitato a rimanerci, per fuggire, per non essere…trovato/a, allora deve dirci come evitare, portare via, per esempio, tutte quelle ragazzine date alla morte, avvelenate, gasate nelle scuole dell’Iran perché non ci sia più nessun luogo in cui una giovane donna possa studiare. Così come in Afghanistan da cui, non a caso, provenivamo tanti dei profughi e profughe di Crotone. Stessa sorte sotto il regime degli Ayatollah come dei Talebani. Il ministro ci deve indicare in che modo chiedere agli aguzzini del mondo, siano essi paladini di regimi religiosi o simili, di consegnarci, per salvarle, le loro vittime. L’articolo 10 della Costituzione italiana lo dice e lo abbiamo visto: «Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici». Dunque per saperlo dobbiamo aiutarli/e ad arrivare e, semmai, dare vita ai loro sogni che potrebbero essere collocati (come era la speranza di tanti di questi morti) anche oltre il nostro territorio. E poi mi è venuto anche un altro pensiero preoccupante: si è detto che è stata mandata in un primo momento una pattuglia della finanza pensando che la barca fosse occupata da contrabbandieri. Ma la legge di tutti i mari e di tutte le terre non dice di uccidere, semmai di arrestare e processare. Non si sfugge: è dovere salvare!

Le avrete forse già lette, ma mi hanno commossa e come inchiodata idealmente davanti a quel mare, al venire a riva di quei pezzi di legno, a quelle settanta bare, alcune bianche, con una sigla di riconoscimento. Per le più piccole un peluche appoggiato come per compagnia di un sogno parentale non realizzato. La prima poesia è del grande Erri De Luca scritta per la tragedia, davanti alle coste siciliane, dell’aprile del 2015 (700 morti). La seconda è di un anonimo, forse cittadino siriano. Un bisogno di pregare. Una preghiera laica che dai fondali va sulle onde e sale al cielo.

Mare nostro che non sei nei cieli
e abbracci i confini dell’isola e del mondo,
sia benedetto il tuo sale,
sia benedetto il tuo fondale.
Accogli le gremite imbarcazioni
senza una strada sopra le tue onde,
i pescatori usciti nella notte,
le loro reti tra le tue creature,
che tornano al mattino con la pesca
dei naufraghi salvati.
Mare nostro che non sei nei cieli,
all’alba sei colore del frumento,
al tramonto dell’uva di vendemmia,
ti abbiamo seminato di annegati
più di qualunque età delle tempeste.
Tu sei più giusto della terraferma,
pure quando sollevi onde a muraglia
poi le abbassi a tappeto.
Custodisci le vite, le vite cadute
come foglie sul viale,
fai da autunno per loro,
da carezza, da abbraccio e bacio in fronte
di madre e padre prima di partire.
Erri De Luca

2.

Mi dispiace mamma,
perché la barca è affondata e non sono riuscito a raggiungere l’Europa.
Mi dispiace mamma,
perché non riuscirò a saldare i debiti che avevo fatto per pagare il viaggio.
Non ti rattristare se non trovano il mio corpo,
cosa potrà mai offrirti, se non il peso delle spese di rimpatrio e sepoltura?

Mi dispiace mamma,
perché si è scatenata questa guerra ed io, come tanti altri uomini, sono dovuto partire.
Eppure i miei sogni non erano grandi quanto quelli degli altri…
Lo sai, i miei sogni erano grandi quanto le medicine per il tuo colon e le spese per sistemare i tuoi denti…
A proposito… i miei denti sono diventati verdi per le alghe. Ma nonostante tutto, restano più belli di quelli del dittatore!

Mi dispiace amore mio,
perché sono riuscito a costruirti solo una casa fatta di fantasia:
una bella capanna di legno, come quella che vedevamo nei film…
una casa povera, ma lontana dai barili esplosivi, dalle discriminazioni religiose e razziali, dai pregiudizi dei vicini nei nostri confronti…

Mi dispiace fratello mio,
perché non posso mandarti i cinquanta euro che avevo promesso di inviarti ogni mese
per farti divertire un po’ prima della laurea…
Mi dispiace sorella mia,
perché non potrò mandarti il cellulare con l’opzione wi-fi, come quello delle tue amiche ricche…

Mi dispiace casa mia,
perché non potrò più appendere il cappotto dietro alla porta.
Mi dispiace, sommozzatori e soccorritori che cercate i naufraghi,
perché io non conosco il nome del mare in cui sono finito.
E voi dell’ufficio rifugiati invece, non preoccupatevi, perché io non sarò una croce per voi.

Ti ringrazio mare,
perché ci hai accolto senza visto né passaporto.
Vi ringrazio pesci,
che dividete il mio corpo senza chiedermi di che religione io sia o quale sia la mia affiliazione politica.
Ringrazio i mezzi di comunicazione,
che trasmetteranno la notizia della nostra morte per cinque minuti, ogni ora, per un paio di giorni almeno.
Ringrazio anche voi, diventati tristi al sentire la nostra tragica notizia.
Mi dispiace se sono affondato in mare.

(anonimo, forse della Siria)

Buona lettura a tutte e a tutti.

Sfogliamo gli articoli di questo numero, cominciando dalla Lettera Aperta di una nostra cara collaboratrice, una risposta provocatoria al Ministro dell’Istruzione e del merito che mi piacerebbe fosse condivisa da molte e molti di noi.

Continuiamo con le donne di Calendaria 2023, Gabriela Mistral. Nobel per la letteraturaun’intellettuale a tutto tondoe Emily Greene Balchpacifista, scrittrice ed economista, attivista poliedrica, terza donna a ricevere il Premio Nobel per la pace.

Le serie di questo numero sono: Credito alle donne che in Presenze femminili nel Banco Medici ci fa incontrare alcune figure femminili che seppero destreggiarsi in modo egregio in un mondo da sempre riservato agli uomini; Le cavaliere nell’epica cavalleresca rinascimentale. Moderata Fonte, l’articolo in cui facciamo la conoscenza di una scrittrice rinascimentale che, insieme a altre, si è dedicata all’epica cavalleresca; L’ossessione occidentale per la sessualità delle donne africane, la terza lezione del corso sulla sessualità della Società italiana delle storiche.

Nella sezione Juvenilia, Progetti didattici nel tempo e nello spazio ci illustra i due progetti che hanno vinto il primo premio nella Sezione A Calendaria e nella Sezione C Percorsi del IX Concorso Sulle vie della parità di Toponomastica femminile. Per Tesi vaganti Contro l’ideologia gender riflette sull’ostilità di molta parte della società italiana sugli studi di genere ricordandoci che «Introdurre gli studi di genere nell’educazione scolastica non significa altro che introdurre lo studio dei concetti di democrazia e di rispetto reciproco tra tutte le persone, qualunque sia la loro identità, genere e sesso». Collegato a questo tema e al pluralismo come principio fondante della nostra democrazia è anche Femminismo e femminismiche si chiede se ci sia un unico femminismo o se ce ne siano molti, con acute riflessioni anche sul linguaggio.

Questa settimana recensiamo un film, Veloce come il ventoche racconta la storia di una diciassettenne che vuole diventare pilota, con tutte le difficoltà che un mondo maschile per eccellenza come quello delle corse presenta. Nella Rubrica Storie L’antico mestiere della cartaia nel comprensorio pesciatino ci porta nel mondo di queste lavoratrici a cui non è stata dedicata neppure una via. Come in ogni fine del mese in questo numero leggeremo Il Febbraio di Toponomastica femminile, che racconterà le più importanti attività realizzate dalla nostra associazione nei diversi territori. Per La cucina vegana presentiamo la ricetta della Torta al cioccolato fondenteuna prelibatezza leggera e digeribile.

A un anno dallo scoppio di una guerra che si pensava regionale e breve, ma che aveva radici lontane e che si è estesa e prolungata con conseguenze molto pericolose, condividiamo l’ultimo dossier di G.I.G.A., l’associazione del Gruppo di Insegnanti di Geografia(economica) Autorganizzati, dal titolo Crisi ucraina: solo la mobilitazione popolare può fermare la guerra, sperando di offrire dati e strumenti di approfondimento alle nostre lettrici e ai nostri lettori.

Buon inizio di marzo a tutte e tutti. Pace, forza, gioia.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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