Femminismo e femminismi

Detesto quando parlando di tematiche che riguardano le donne si nomina la donna al singolare. Come se non avessimo una nostra unicità, come se fossimo tanti esseri di sesso femminile uguali, omologati, in serie, senza distinzioni. Frasi come Il ruolo della donna nella storia, La presenza della donna nelle istituzioni, Il destino della donna in Iran ma anche La bellezza della donna mi irritano. Finanche gli animali li nominiamo al plurale!
Le donne hanno avuto tanti diversi ruoli nella storia, diversi nel tempo e nello spazio, le donne sono presenti nelle istituzioni in modo diversissimo, le donne iraniane vivono la loro drammatica situazione in modi assai differenti l’una dall’altra, le donne desiderano o non desiderano essere belle in modalità totalmente diverse, del tutto personali e tutte da rispettare.

Io mi sento diversa non solo da donne che hanno esperienze, idee, vissuti, completamente diversi dai miei, ma mi sento diversa anche dalle donne che sento più vicine e affini. Con mia madre, con mia figlia, con le amiche dell’associazione di cui faccio parte, con le altre donne delle reti che incontro online mi piace discutere, confrontarci e qualche volta farlo anche in maniera più decisa, pure se il nostro pensiero per il 90-95% è simile. Anzi, mi fa paura l’idea che esista un’altra persona, uomo o donna che sia, che la pensa in tutto e per tutto come me.

Per questi motivi alla parola femminismo preferisco il plurale: femminismi. D’altra parte mi è sempre piaciuta moltissimo la definizione di femminismo come pensiero della differenza. Se si parte dal pensiero della differenza sessuale per simbolizzare la necessità di affermare linguaggi e discorsi che abbiano come oggetto e soggetto l’universo delle donne non si può non riconoscere che questo universo non rappresenta una unicità.
Il bello della parola femminismi è che impedisce di conferire una patente di femminismo. Non è raro imbattersi in chi si dichiara femminista indicando quali a suo parere sono i presupposti fondamentali per esserlo e si rifiuta di pensare che su alcuni punti si possa non essere d’accordo. Io, donna bianca, occidentale ma meridionale, eterosessuale, madre, coniugata, laureata, sessantenne, di classe borghese ho un vissuto che mi rende completamente diversa da tante altre donne, con le quali però riesco a empatizzare, se mi sforzo di comprenderle, e a condividere tante lotte.

Ma non solo, pensiamo a come il concetto di femminismo è cambiato nel tempo. Io sono femminista oggi, non c’ero durante la Rivoluzione Francese, né durante il periodo del movimento suffragista e neanche negli anni Settanta del secolo scorso. Certo, le donne che hanno lottato in quei periodi hanno contribuito a modificare la società e quindi anche il mio ruolo in essa, ma io oggi sento il bisogno e il desiderio di lottare per altre cose. E diverso dal mio è il modo di essere femminista di mia figlia, di 35 anni più giovane di me.
La parola femminismi racconta,dunque, di diverse teorie e pratiche femministe che rappresentano le posizioni e le sfumature di pensiero delle femministe su questioni specifiche come la sessualità, la razza, la classe sociale, l’ambiente, l’identità di genere, il modo di agire l’attivismo politico.

Mentre il femminismo è un movimento ampio e generale che mira a promuovere le pari opportunità di genere (una volta si diceva uguaglianza o parità, oggi, io perlomeno, preferisco parlare di pari opportunità), i femminismi rappresentano le diverse teorie e pratiche che si sviluppano all’interno del movimento e riflettono la varietà di esperienze e di desideri delle donne. Un esempio attuale è il linguaggio. Siamo tutte consapevoli dell’importanza di nominarci ed essere nominate. A me piace usare la vocale a oppure, a seconda delle differenze grammaticali, il genere femminile perché trovo che l’asterisco o la schwa appiattiscano e facciano sparire la mia differenza. Penso che, viste tutte le difficoltà riscontrate e che continuiamo a riscontrare per far imporre l’uso delle parole al femminile, l’uso di asterischi e schwa ci riporti indietro. Ma ho pieno rispetto di chi desidera usare questi simboli, perché li ritiene più inclusivi. Sono soprattutto le giovani a usarli e chi sono io per dover spiegare alle giovani come combattere le loro battaglie? Poi chissà, magari più in là li userò anche io, forse quando parole come ministra o avvocata o assessora saranno diventate di uso comune e sarà diventato prioritario anche per me rispettare chi non si riconosce né nel maschile né nel femminile.

Oggi, all’indomani della vittoria alle primarie del Pd, c’è chi nega il sentirsi femminista di Elly Schlein, e al contempo nega il mio sentirmi tale in quanto sostengo Schlein. Ma io non ci sto! Ci sono e ci saranno sempre temi divisivi, ci sarà sempre qualcosa che differenzia in parte il nostro pensiero ma, finché avremo la volontà di confrontarci e discutere, ci sarà anche la possibilità di trovare soluzioni unendo le differenze e facendole diventare arricchimento. È il bello della democrazia (parola femminile!).

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Articolo di Donatella Caione 

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Editrice, ama dare visibilità alle bambine, educare alle emozioni e all’identità; far conoscere la storia delle donne del passato e/o di culture diverse; contrastare gli stereotipi di genere e abituare all’uso del linguaggio sessuato. Svolge laboratori di educazione alla lettura nelle scuole, librerie, biblioteche. Si occupa inoltre di tematiche legate alla salute delle donne e alla prevenzione della violenza di genere.

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