Un secolo, dalla fine del Trecento agli ultimi anni del XV secolo, cento anni circa di affari, partecipazioni azionarie, gestioni finanziarie, scambi internazionali, depositi, prestiti e finanziamenti anche alle grandi dinastie d’Europa. Questo è stato il Banco Medici, famosa, potente e antica banca che garantì alla famiglia toscana ricchezze ingenti, molto potere e la possibilità di scrivere nei secoli successivi parti importanti della storia politica italiana.
Se Giovanni di Bicci de’ Medici è ricordato come il fondatore, la storia tende a dimenticare sua moglie Piccarda Bueri, solido pilastro della famiglia ma anche delle imprese bancarie messe in piedi. [1. Francesco Allegrini, Giuseppe Zocchi, Ritratto di Piccarda de’ Medici, stampa, XVIII] [2. Attilio Fagioli, Piccarda Bueri de’ medici, inizi del XX secolo, Detrot, Institute of Arts]


È grazie alla dote di 1500 fiorini di Piccarda che Giovanni si lanciò in modo intraprendente nel mondo della finanza. Non era ricco e non faceva parte dell’alta società fiorentina, apparteneva all’Arte del Cambio, lavorava nel sistema bancario messo in piedi da un suo lontano cugino, Vieri di Cambio, e a Roma dirigeva per suo conto una filiale. Il matrimonio con Piccarda Bueri fu una vera rampa di lancio per le fortune successive e quei 1500 fiorini le solide fondamenta su cui costruire il Banco Medici.
La giovane sposa, che era nata a Verona intorno alla metà XIV secolo, apparteneva all’illustre famiglia fiorentina Bueri che aveva interessi economici in diverse parti d’Italia. Era intelligente e di bell’aspetto, modesta, parsimoniosa e dedita alla cura della famiglia come voleva la morale comune dell’epoca. Chiamata affettuosamente Nannina dal marito, Piccarda non si prendeva solo cura dei figli, della casa e degli affari domestici, come le era stato insegnato fin dalla tenera età, ma aiutava costantemente il marito nella gestione del Banco sostituendolo quando si trovava in viaggi d’affari, contribuendo così all’accumulo di ingenti fortune. Se la memoria storica è stata con lei, come con altre donne, avara di notizie, possiamo però immaginarla accanto a Giovanni anche in altre occasioni, come per esempio nelle scelte per la loro abitazione, nella commissione di dipinti e di mobili, nelle opere benefiche, soprattutto quelle rivolte alle ragazze senza dote sulle quali incombeva un destino segnato e infamante; forse ci sono i suoi consigli anche dietro al non coinvolgimento diretto del marito nella vita politica di Firenze.
Giovanni fu consapevole e grato dell’aiuto di Piccarda, non lo nascose e anzi ricordò sempre ai figli Cosimo e Lorenzo che il benessere e la solidità economica raggiunta si dovevano anche alla loro madre che si era «affaticata assai». A Nannina rivolse gli ultimi pensieri affettuosi prima di morire raccomandando agli eredi di rispettarla e di non toglierle «i suoi meritati onori», quasi temesse per lei un destino incerto. Piccarda restò al centro della famiglia fino alla fine dei suoi giorni, saldo riferimento affettivo e morale per i figli e per le loro famiglie. Quando morì nell’aprile del 1433 venne sepolta accanto alle spoglie di Giovanni nella chiesa fiorentina di S. Lorenzo. Carlo Marsuppini, umanista, poeta e retore, scrisse in suo ricordo un elogio funebre in cui celebrò le virtù, le doti umane, la fedeltà coniugale di Nannina e, nel rispetto delle regole e dei tòpoi di genere, fu innalzata a modello femminile accanto figure della cultura antica come Penelope, Artemisia II, Giulia, la figlia di Giulio Cesare, Porzia, tutti emblemi della dedizione femminile.
Al primogenito di Giovanni e Piccarda, Cosimo, fu data in moglie la giovane Lotta de’ Bardi, affettuosamente soprannominata Contessina.

Le nozze, celebrate intorno al 1415, furono per la famiglia Medici un’altra occasione di consolidamento sociale. La dinastia Bardi era conosciuta non solo a Firenze ma in tutta Europa per i suoi affari economico-finanziari e, anche se la sua ascesa si era arrestata dopo la perdita di ingenti somme di denaro prestate al re di Inghilterra Edoardo III e non restituite, il cognome manteneva un’aura di prestigio. Come la suocera Piccarda, anche Contessina seguiva la gestione del Banco fiorentino che, sotto la guida di Cosimo, si era espanso nel continente europeo; come lei però non si interessava degli affari politici e questo le risparmiò l’esilio toccato al marito nel 1433. La famiglia Medici aveva raggiunto un vasto potere e aveva creato, tramite opportuni legami di parentela, una vera e propria rete di alleanze politiche tra le dinastie fiorentine che Contessina gestiva abilmente. Le sue lettere sono uno strumento attraverso cui conoscere i suoi interessi, le sue preoccupazioni e i suoi sentimenti: era una donna dedita alla famiglia, una madre affettuosa e generosa con i figli, Piero e Giovanni, ma anche esigente nel volere che fossero degni del loro cognome. È stato scritto che, nonostante le origini aristocratiche, Contessina sapeva «un po’ di lana e un po’ di rocca»: non solo conosceva, come tutte le donne, l’arte del filare in casa, ma era parsimoniosa, non ostentava lussi, amava la campagna, dove girava libera in sella a una mula, seguendo quanto accadeva nelle diverse proprietà del Mugello e impartendo ordini ai fattori. Le sue disposizioni sui lavori da svolgere erano sempre precise, stabiliva con oculatezza quali provviste ricevere, quali accantonare e quali inviare come omaggio a parenti e conoscenti. Ma era pur sempre la moglie di Cosimo il Vecchio, che di fatto era diventato il Signore di Firenze, e doveva attendere anche ai compiti “istituzionali”.

Anche se nessuna cronaca lo racconta, Contessina sarà stata accanto al marito nel corso delle cerimonie pubbliche durante il Concilio di Firenze del 1439, così come avrà svolto, nel 1459, il ruolo attivo di padrona di casa quando il giovane Galeazzo Maria Sforza fu ospitato con tutti gli onori nel nuovo palazzo di famiglia in via Larga. E sarà stata anche coinvolta dal clima intellettualmente raffinato che Cosimo volle intorno a sé, non fosse altro perché Contessina seguiva con attenzione tutto quello che riguardava la sua casa e la sua famiglia. Quando morì nel 1473, aveva già da tempo lasciato il suo ruolo a un’altra figura femminile, Lucrezia Tornabuoni, moglie di suo figlio Piero e madre di Lorenzo detto Il Magnifico. Donna dotata di mente politica e intelligenza raffinata, Lucrezia scriveva poesie, era amica dei grandi letterati del tempo e animatrice del vivace clima culturale di palazzo Medici. Ma era anche una donna di potere e di affari, amministrava i beni personali, seguiva le compravendite di terreni, investiva in nuovi affari che, come il restauro delle terme di Bagno a Morbo e la realizzazione di un albergo annesso, garantivano ottimi introiti economici. Il marito Piero le affidò anche compiti di finanziamento di attività mercantili e artigianali e l’elargizione di somme di denaro per le persone in difficoltà, soprattutto giovani donne senza dote.



Cappella Tornabuoni
Quando nel 1469 Piero de’ Medici morì, Lucrezia si fece carico di nuove responsabilità e la centralità del suo ruolo all’interno del casato le fu pubblicamente riconosciuto nell’epitaffio voluto dal figlio Lorenzo il Magnifico: «Unico refugio di molti mia fastidi et sublevamento de molte fatiche”. Lucrezia si spense nel marzo del 1482. La tradizione vuole che siano sue le sembianze della terza donna sulla destra, la più anziana, nell’affresco del Ghirlandaio La nascita di San Giovanni Battista, dipinto nella cappella di famiglia in Santa Maria Novella tra il 1486 e il 1490.
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.