La quarta lezione del corso sulla sessualità della Sis, dal titolo Interrogare il dilemma sesso/genere. La rottura dei femminismi anni Ottanta e dibattiti contemporanei, è presentata dalla professoressa Enrica Asquer, docente di Storia contemporanea all’Università di Genova.
Le tante narrazioni e discussioni attorno al tema del genere si appoggiano su confini porosi: tra maschile e femminile, tra binarismo e non binarismo, tra sesso biologico e cultura, confini che si muovono con le parole che usiamo e i significati che adottiamo nel tempo. “Corpo sbagliato”, per esempio, è stata l’espressione per eccellenza nelle biografie e narrazioni transgender degli anni Ottanta, quando il movimento per i diritti trans prese il via: i/le giovani transgender oggi lo considerano inappropriato e non adatto a riflettere la propria esperienza, il che crea un conflitto generazionale fra chi vede il proprio corpo come una prigione senza via d’uscita e chi non vuole vivere nella sola disperazione, ma anche fra chi vede nell’operazione di cambio di sesso l’accettazione sociale e chi un ricatto da parte di una società che non accetterà mai del tutto questa scelta anche dopo cambiamenti così invasivi. Le parole servono quando aprono le discussioni, non quando irrigidiscono le posizioni, e questa premessa è fondamentale per mantenere il dibattito attorno al rapporto fra genere e sesso produttivo, soprattutto oggi che internet ha esacerbato le tensioni.
Il movimento trans e il femminismo hanno avuto un rapporto altalenante: da un lato si sono supportati a vicenda in moltissime occasioni, nutrendosi delle reciproche argomentazioni e intuizioni; dall’altro si è creata una voragine, causata dalla ricerca di una risposta ora inclusiva ora esclusiva alla solo apparentemente banale domanda: “Cosa rende una donna una donna?” e che ha aperto un vero e proprio vaso di Pandora sul cosa significhi “femminile” in un mondo dove “maschile” è sempre stato e continua a essere pensato come il default. Il vissuto transgender è a tutti gli effetti una questione politica per il modo in cui mette pressione sui confini e ci fa interrogare sulle nostre presunzioni legate al sesso biologico e ai ruoli sociali a esso associati. Oggi questo fatto è chiaro come non mai anche a chi tali questioni non se le era mai poste, basti vedere le accese discussioni sulle proposte legislative che vorrebbero permettere il cambio di documenti senza aver iniziato la terapia ormonale, sul dibattito sul se affrontare le operazioni di cambio di sesso o rimanere in un corpo ibrido, e che cosa comporti quest’ultima scelta. Il tema dell’invasione degli spazi femminili da parte di corpi non femminili ha causato e sta causando panico e paura, che alimentano pregiudizi e impediscono il confronto fruttuoso. E si sa che, su un terreno così instabile, la demagogia prospera.

La scrittrice inglese J.K. Rowling ne è esempio emblematico: nel 2020 è salita agli onori delle cronache per le sue accese opinioni sulla questione trans quando venne innescato il dibattito attorno al Gender Recognition Act, che avrebbe dovuto riformare il riconoscimento del cambio di identità di genere nel Regno Unito sorpassando la necessità di una diagnosi di disforia di genere. I motivi della riforma vanno ricercati nella volontà di abbandonare una narrativa patologizzante della condizione trans e di focalizzare l’attenzione sulla persona e non sulla sua diagnosi medica, per mitigare gli effetti dello stigma sociale sulla sua salute mentale e sicurezza. Questo movimento ha portato a una ridefinizione della condizione da ”transessualismo”, considerato un termine antiquato e poco preciso, a “disturbi dell’identità di genere”; nel 2018 l’Oms lo ha trasferito dall’elenco delle malattie mentali a quello dei disturbi della salute sessuale col nuovo nome di gender incongruence. La legge britannica – e anche quella italiana – prevede che il cambio di sesso avvenga solo dopo la decisione di un tribunale, il che avvia un lungo e spesso doloroso e umiliante percorso per la persona trans per poter soddisfare la sua richiesta. Il dibattito va ben oltre su quale bagno si debba usare o se sia appropriato che una persona biologicamente nata uomo compri gli assorbenti: è una questione di cittadinanza, che non va affrontata come scandalo ma come evoluzione delle rivendicazioni di una fetta della popolazione e del modo in cui esse interagiscono con la società. Di fronte a ciò nel femminismo è nato un fronte “conservatore” che è andato a legarsi con le fazioni politicamente a destra: la convinzione alla base di questa bizzarra alleanza è che il riconoscimento dei diritti trans leda quelli delle donne. Il corpo transgender, soprattutto quello che non ha affrontato o non intende affrontare l’operazione del cambio di sesso, è considerato fonte di disordine, la definizione di “identità di genere” è vista come una presa in giro del femminile, un modo per gli uomini di invadere gli spazi delle donne e imporsi anche lì.
Questa è la tesi sostenuta dalla sopracitata Joanne K. Rowling, scrittrice famosa per i romanzi del giovane mago Harry Potter, che ha avuto da ridire non solo sulla questione dei diritti trans ma anche sulla politica scozzese, avendo pubblicamente accusato la prima ministra Nicola Sturgeon di essere nemica delle donne per le sue scelte progressiste. Nel 2020 sul suo blog scrisse un lungo post per chiarire la propria posizione a seguito delle polemiche nate dai suoi tweet considerati transfobici e per il suo romanzo giallo dove l’antagonista è un serial killer che commette gli omicidi vestito da donna. Nel post viene detto che, durante le ricerche per la sua opera, rimase sconcertata da un diffuso fenomeno “contemporaneo” di ragazze che affermavano di essere uomini o non-binary, e di come trovassero in comunità online supporto e suggerimenti senza che nessuno ponesse troppe domande, spesso da parte di persone adulte che non avrebbero dovuto relazionarsi con delle minorenni. Per Rowling, e per la parte che sostiene tali posizioni, questo “fenomeno” non è dato da disforia di genere ma dal desiderio di staccarsi dalla femminilità, dalla fatica dell’essere donne in una società che sta attivamente cercando di contrastare le conquiste del femminismo. Allo stesso tempo Rowling denuncia il pericolo dello stupro che è insito nella presenza di corpi maschili negli spazi di donne biologicamente tali: non nega le vulnerabilità della condizione trans, ammette che le donne trans (soprattutto quelle non bianche) sono una parte demografica particolarmente soggetta alla violenza, prosegue però dicendo che la salvaguardia delle persone trans non deve mettere in pericolo le donne, e aprire gli spazi femminili a qualunque uomo che affermi di sentirsi donna vuol dire invitare potenziali stupratori. Rowling è chiara nel definire le donne trans “uomini che si sentono donne” e gli uomini trans “donne che si rifugiano nella mascolinità”: negare il valore del sesso biologico nella definizione di donna è minarne l’esperienza e toglie coesione alle donne come soggetto politico, offrendo copertura a predatori di ogni genere. La scrittrice fa spesso riferimento a un libro del 1979, The transexual empire, dove viene detto senza mezzi termini che la donna transessuale è la violenza di un uomo sulle donne in quanto egli si appropria del corpo femminile come feticcio, stuprando tramite inganno. Posizioni simili si stanno diffondendo anche in Italia, sulla scia del lungo dibattitto attorno al ddl Zan: Marina Terragni, nel proprio blog in un post del 2020, ripropose le teorie di Rowling affermando che gli uomini volessero fare proprie le conquiste femminili e denunciando che il movimento Lgbt stesse adottando concetti misogini come “identità di genere”, da sostituirsi con il termine da lei considerato più appropriato di “transessuale”, implicando il ritorno a un riallineamento al binario maschio-femmina che, sempre a detta sua, il ddl Zan andava a minare. L’idea che l’esperienza trans oggi sia costituita da scelte affrettate compiute da ragazzine che cercano di sfuggire al peso della femminilità o da uomini pervertiti che vedono nella terapia ormonale un facile accesso alle proprie vittime è molto diffusa. Silvia Niccola nel 2021 scrisse che l’emergere della soggettività femminile nacque in contrapposizione a un maschile che si considerava universale. È certo riduttivo ricondurre tutto il femminile alla sola sfera riproduttiva e biologica, ma è da esso inscindibile, e l’accettazione delle persone trans come è intesa oggi da attiviste e attivisti va inevitabilmente ad attaccare un confine che non dovrebbe essere violato.

“Genere” nella sua sfumatura attuale nasce nel mondo medico dai controversi esperimenti di John Money sui trattamenti della transessualità – nonostante la problematicità dell’eredità di Money le sue ricerche furono fondamentali per comprendere l’aspetto psicologico della disforia di genere. La vera rottura epistemologica tra sesso e genere avviene più tardi, fra gli anni Ottanta e Novanta grazie a tre pubblicazioni: Gender: A Useful Category of Historical Analysis di Joan Scott, del 1986; Gender Troubles: Feminism and the Subversion of Identity di Judith Butler del 1990; Five Sexes. Why Male and Female are not enough di Anne Fausto-Sterling del 1995. Tre letture che hanno creato un vero e proprio spartiacque, una divisione che non pare essersi ancora riassorbita e, visti i dibattiti degli ultimi anni, è forse corretto dire che essa sia peggiorata. La svolta causata dalla riflessione sul linguaggio e il rapporto tra genere e sesso ha coinvolto le stesse comunità trans, specie quella femminile: A Post-Transexual Manifesto, scritto da Sandy Stone e uscito nel 1987, discute di come la persona trans debba mettere su una vera e propria performance per convincere i medici della veridicità della propria storia e accedere al percorso ormonale e chirurgico, aderendo a stereotipi sulla femminilità che sono visti con disagio dalle donne biologiche e dal femminismo. L’accettazione all’interno del tessuto sociale avviene a scapito della disgregazione del sé e della propria storia: mutilarsi per asservirsi al patriarcato. Nella marginalità e nella sovversione è possibile trovare la forza per andare avanti e l’alleanza con le altre donne, dunque non considerare più le persone trans come un terzo sesso o una classe, ma un genere, un potenziale ancora da esplorare. Solo così si può infine vivere pienamente la propria soggettività.
(Rowling Sturgeon: La scritta sulla maglietta di J.K. Rowling si traduce: “Nicola Sturgeon, distruttrice dei diritti delle donne”. La maglietta è stata prodotta dall’attivista ultraconservatrice Posey Parker, che è stata di recente sommersa da critiche per aver accettato nelle sue proteste la presenza di neonazisti.
Disforia di genere: L’incongruenza di genere. O disforia di genere, è il malessere percepito da un individuo che non si riconosce nel proprio sesso fenotipicodi nascita. Le cause di questa condizione sono al momento sconosciute).
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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.
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