Pensare la città femminista non significa immaginare una città ideale. Tutt’altro: significa riflettere in primo luogo sullo spazio da cui questa prospettiva si diparte e sulle relazioni di potere che agiscono al suo interno, per comprenderne le implicazioni e scardinarle. Ed è proprio quello che fa Leslie Kern, nel libro La città femminista, edito da Treccani. L’autrice, una geografa femminista, sin dalle prime pagine si interroga su cosa significhi ripensare le città in risposta e in contrasto con quelle che strutturalmente sono state costruite come le “città degli uomini”.
La geografa, ragionando sulla possibilità di immaginare uno spazio alternativo, parte dalla sua esperienza urbana in quanto determinata dalla sua identità di genere, intesa come mutevole e relazionale. Essere donna per Kern significa appartenere a una categoria dinamica che interagisce con l’ambiente circostante e che, anche attraverso il corpo come luogo della propria esperienza vissuta, si determina e si costruisce nell’ interazione con lo spazio esterno. Uno spazio che, però, non è mai neutro: né quello da cui l’autrice scrive, di cui riconosce il privilegio che lei stessa incarna; né quello che, attraverso le esclusioni basate sul genere in esso operanti, agisce sul suo essere donna.
Pur riconoscendo la parzialità del suo punto di vista, Kern mira a mostrare come l’organizzazione dello spazio sia intrisa di sessismo. La città, nella sua analisi, non solo si rivela essere lo specchio del potere patriarcale in essa operante, ma nella sua conformazione diventa un mezzo per replicarlo. L’indagine della geografa, però, non si limita a considerare il modo in cui l’esclusione basata sul genere agisce sulla dimensione spaziale. Richiamandosi a una vasta letteratura sul tema, l’autrice riconosce che tale esclusione si interseca anche con altre forme di oppressione, come quelle determinate dal classismo, dal razzismo, dall’omofobia, dalla transfobia e dall’abilismo. E proprio questa riflessione di Kern, preliminare agli interrogativi con cui indaga diversi luoghi e momenti del suo vissuto, appare il primo e fondamentale passo per comprendere in che modo secondo lei debba essere posta la questione su come pensare una città femminista. Ovvero, non solo affrontando la questione di genere, ma anche «una serie di relazioni di potere intricate» e le loro implicazioni nello spazio.
Con queste premesse, il testo si articola affrontando come la configurazione della città possa agire sulla vita quotidiana a partire dalla prospettiva della stessa Kern. La geografa riflette sul rapporto tra i corpi e lo spazio urbano a partire dalla loro possibilità di viverlo liberamente. L’autrice si interroga su chi rappresenti lo stereotipo su cui si basa la pianificazione urbana e riconosce, per mezzo di alcuni esempi, che molte città conformandosi troppo spesso alle esigenze di un destinatario uomo, bianco, cisgender, eterosessuale che appartenga alla classe media e che non sia una persona con disabilità, impongono barriere fisiche e sociali a chi non corrisponde a questo standard. Laddove la pianificazione urbana sembra invece prendere in considerazione il genere, per la geografa anche in questo caso si può correre il rischio di rispondere alle esigenze di una donna pensata come il contraltare femminile di quel destinatario stereotipato maschile. Questo testo suscita in chi lo legge molte domande: a chi vuole dare spazio la città? E chi cerca di tenere al proprio posto? Chi può muoversi liberamente al suo interno?
Nel libro di Kern il vissuto dell’autrice diventa un punto d’osservazione critica dei processi in atto all’interno dello spazio urbano, che esprime scontrandosi con le difficoltà della gravidanza, con le contraddizioni della flânerie e della gentrificazione della genitorialità. Ma anche riflettendo sul suo percorso femminista e sulla sua evoluzione. Attraverso le pagine di Kern si comprende come le relazioni di potere possano diventare anche delle mappe mentali, che si inscrivono nei comportamenti e nei corpi delle persone, influendo sulle loro possibilità di occupare lo spazio.
Le parole di Kern decostruiscono domande come: «Perché ti trovavi in quel posto ed eri vestita in quel modo?» denunciando come il patriarcato sia inscritto nello spazio. Ma non solo: anche il razzisimo, il classismo, l’abilismo, l’omofobia e la transfobia. Nella città c’è chi occupa una posizione di potere e ritiene di poterlo fare per un diritto “naturale” e chi invece, in conseguenza di di ciò, si trova a essere considerato o considerata come fuori luogo. Esiste una geografia del dominio strettamente legata a una geografia della paura, ma ne esiste anche una sovversiva, sembra dirci l’autrice. Quella che ripensa lo spazio a partire dalle esigenze delle persone marginalizzate, destrutturando e decentrando quella prospettiva che nell’organizzazione degli spazi urbani ha ritenuto le loro esigenze come secondarie, come per esempio accade nei confronti delle persone razzializzate e di quelle a basso reddito.
Scardinare il rapporto privilegiato tra la pianificazione urbana e il suo destinatario tipico e privilegiato comporta, nell’analisi di Kern, anche un ripensamento della struttura sociale che in essa viene spesso considerata come dominante: quella della famiglia nucleare. Valorizzare altre tipologie di relazioni e gli spazi per condividerle può incidere sul ripensamento della conformazione urbana. La geografa in particolare valorizza quelle letture che ravvisano nell’amicizia un potenziale rivoluzionario, riconoscendo il suo potere di agire sullo spazio attraverso la creazione di legami e di alleanze, che si riflettono nei luoghi.
«La città femminista è quella in cui le barriere – fisiche e sociali – vengono smantellate e tutti i corpi sono accolti e ospitati allo stesso modo. […] La città femminista deve prendere spunto dagli strumenti creativi che le donne hanno sempre utilizzato per sostenersi a vicenda e trovare modalità per ricreare quel supporto all’interno del tessuto urbano stesso».

Leslie Kern
La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini
Treccani Libri, Roma, 2021
pp. 232
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Articolo di Nicole Kheiraoui

Ama scrivere, insegnare e si interessa di studi di genere. Conclude il percorso di studi filosofici con una laurea in Storia della filosofia francese contemporanea all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Ha lavorato per diversi anni nell’ambito della comunicazione e dei media. Attualmente frequenta il Master Studi e Politiche di Genere presso l’Università degli Studi Roma Tre.