«Fa la punta alla matita/e corri a scrivere la tua vita./Scrivi bene, senza fretta/ogni giorno una paginetta./Scrivi parole diritte e chiare:/Amare, lottare, lavorare». (Gianni Rodari)
Finalmente siamo arrivate alla fine di questo lungo viaggio che ci ha portato alla scoperta dei progetti che hanno vinto la quinta edizione del concorso didattico Sulle vie della parità delle Marche, promosso dall’Osservatorio di Genere, in collaborazione con Toponomastica femminile, l’Università degli studi di Camerino, l’Ambito territoriale 15 di Macerata, Cgil, Cisl, Uil, la casa editrice Settenove, Lions club Macerata Host, Coop Alleanza 3.0.
Questo lungo viaggio, iniziato con Una farfalla nella storia realizzato da bambini e bambine di una scuola primaria maceratese, si conclude con due progetti realizzati da ragazzi e ragazze dell’Iis “L. Donati” di Fossombrone. Così come il l’Iis Polo3 Fano di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, anche l’Iis “L. Donati” è una vecchia conoscenza dell’Osservatorio di Genere e quest’anno docenti e ragazzi/e hanno fatto il bis presentando due progetti, uno più interessante dell’altro.
Tre le classi che si sono messe in gioco: una quarta del Liceo delle scienze umane, con la supervisione delle docenti Silvia Bartolini e Sonia Paradisi, ha lavorato nell’ambito della sezione A – Cittadinanza attiva e due prime dell’Istituto professionale per la sanità e l’assistenza sociale si sono invece misurate insieme alle docenti Nadia Badioli, Sara Barcelli, Silvia Bartolini, Patrizia Domeniconi, Orietta Girelli, Barbara Marzoli e Giulia Salciccia, con la sezione B – Lavoro.
Due i premi che questi progetti si sono aggiudicati nell’ambito del concorso regionale: a Donne nella Resistenza: ricostruire la storia aprendo i cassetti della memoria realizzato dalla classe 4^AL del Liceo scienze Umane è stato assegnato il Premio Donne resistenti con un contributo per l’acquisto di materiale scolastico dell’Osservatorio di Genere e un’opera d’arte realizzata da Aurora Carassai.

A Storie di filandaie a Fossombrone realizzato, invece, dalle classi 1AP e 1BP – indirizzo Ipssas è andato il Premio Donne e progresso tecnologico con un contributo per l’acquisto di materiale scolastico dell’Università di Camerino e un’opera d’arte di Daniela Scriboni


con la seguente motivazione: «Il lavoro dell’Istituto “Donati” di Frossombrone restituisce non solo la realtà produttiva ed economica di un territorio grazie allo sviluppo dell’industria serica ma soprattutto dà conto in modo pieno, e senza fraintendimenti, del ruolo che le donne a Fossombrone hanno svolto a tal fine. Donne che partendo da condizioni spesso di disagio socio-economico hanno assunto un compito politico (per i loro diritti di lavoratrici) e di responsabilità economica verso il sostentamento delle loro famiglie. Modelli esemplari di emancipazione e di lotta per le ragazze di oggi e di domani».
I due progetti, premiati anche a Roma il 14 ottobre 2022 nell’ambito del concorso nazionale Sulle vie della parità, entrambi per la sezione C3-Percorsi di Vita, Lavoro e Memoria, hanno colpito la Commissione di valutazione tanto per la metodologia quanto per gli obiettivi raggiunti.


Ma vediamoli nel dettaglio questi lavori, partendo dal progetto Storie di filandaie a Fossombrone. Durante la cerimonia di premiazione all’Università di Camerino, il professor Alessandro Blasetti nel portare i saluti del Sistema museale dell’ateneo camerte alla platea di docenti e studenti ha pensato bene di ispirarsi proprio a questo progetto in cui passato e presente, tradizione e modernità, natura e tecnologia, memoria ed emancipazione delle donne si fondono restituendo una fotografia nitida del mondo del lavoro e in particolare dello sviluppo del lavoro femminile industriale nelle Marche.



Come ha scritto Claudia Santoni in un contributo intitolato La lavorazione della seta a Tolentino e la nascita della forza lavoro femminile. Ritrovare il capo del filo (in Annalisa Cegna, Ai margini della storia. Percorsi individuali e collettivi delle donne in provincia di Macerata, Assemblea Legislativa delle Marche, 2010, pp. 97-113) l’industria della seta ha rappresentato per le Marche una delle attività più diffuse e di maggior peso del sistema manifatturiero della regione, almeno fino alla Prima guerra mondiale. Ed è proprio l’industria serica e in particolare la nascita dell’industria bacologica a giocare un ruolo fondamentale nel «canalizzare e modellare la forza lavoro locale femminile che nacque nella filanda e contribuì in modo determinante allo sviluppo sia economico che sociale» (p. 98) delle città in cui le filande sorgevano. Tutto questo emerge chiaramente nel lavoro di ricerca-azione realizzato da queste due classi prime con le loro docenti in cui l’analisi di documenti e foto del tempo ha costituito la base per lo studio approfondito di interviste rilasciate da filandaie forsempronesi. Il video e la presentazione in Power Point confezionati per il concorso lasciano trasparire la sorpresa dei ragazzi e delle ragazze nello scoprire quanto la seta prodotta a Fossombrone fosse apprezzata non solo a livello nazionale, ma anche all’estero.
L’obiettivo che docenti, ragazzi e ragazze si pongono è di analizzare nel dettaglio questo settore produttivo cercando di coglierne le componenti non solo economiche, ma soprattutto sociali e culturali.

Leggendo la ricerca emerge con chiarezza un elemento su cui riflette anche Claudia Santoni nel contributo già citato: le filandaie, tutte povere e disperate, entrano in fabbrica per contribuire al sostentamento familiare.


Vi entrano come madri, come mogli, come figlie e come sorelle sentendo forte il peso delle responsabilità familiari. «Queste giovani operaie» scrive Santoni «vogliono lavorare per portare i soldi a casa, per far mangiare i loro familiari, perché hanno scoperto che uscire dalle mura domestiche costituisce una via per guadagnare di più e per costruirsi una dimensione lavorativa spendibile nel mercato economico industriale».
In un percorso che «vuole ricostruire le trame di un passato, che idealmente continua a riflettersi sul presente – si legge nella scheda docente presentata per il concorso – il lavoro si spinge oltre fornendo numerosi approfondimenti e ricerche nella ricerca, ricostruendo il passato ma anche e soprattutto fornendo numerosi spunti di riflessioni sul presente. Molto interessante ad esempio è la ricostruzione dei fatti che accompagnano la nascita prima della fabbrica di abbigliamento L.A.R. e poi della C.I.A. (Compagnia Italiana Abbigliamento), protagonista, quest’ultima, nell’autunno nero del 1986, di una vertenza sindacale fra le più aspre e difficili dello scorso secolo, nella Regione Marche». Progetti come questo sono fondamentali e costituiscono uno dei più grandi risultati raggiunti dal concorso didattico: essi ci permettono di riflettere e soprattutto permettono di farlo ai ragazzi e alle ragazze su quanto le donne, nonostante nell’immaginario collettivo e nella gran parte degli studi, siano risultate spesso secondarie, abbiano invece giocato un ruolo fondamentale rispetto alla modernizzazione e al progetto tecnologico non solo delle Marche ma anche del sistema paese.


Se Storie di filandaie cerca il bandolo di una matassa capace di tenere insieme emancipazione delle donne, lavoro femminile, famiglia, progresso tecnologico e lotta per i diritti – quell’amare, lottare, lavorare di cui parla Rodari nell’esergo che accompagna questo contributo – l’altro progetto vincitore, quasi in continuità, mette le mani nei cassetti del passato per raccontare ancora una volta storie di donne che hanno lottato con amore per i diritti di tutti e tutte.

Donne nella Resistenza: ricostruire la storia aprendo i cassetti della memoria è il lavoro presentato dalla classe 4AL ed è anche la dimostrazione di come si possa insegnare, o meglio, praticare e agire la storia nelle aule scolastiche liberandola dalla rigidità dei manuali e dalle impalcature ingessate che la vorrebbero mero elenco di date legate da un indissolubile quanto letale rapporto di causa e effetto. «Il buono storico – ha scritto Marc Bloch nel suo Apologia della storia – somiglia all’orco della fiaba: là dove fiuta carne umana, là sa che è la sua preda» e così hanno fatto queste studenti cercando di costruire una storia che in qualche modo aspetta ancora di essere scritta, quella cioè che vede le donne combattere in prima linea al fianco dei loro compagni maschi nella lotta di Liberazione dal nazifascismo. Qual è il risultato di questa caccia?
«A noi docenti – si legge nella scheda presentata per presentare l’elaborato – la conferma di una certezza che spesso troviamo tra le indicazioni pedagogiche: è proprio questo il metodo di lavoro da adottare in classe per appassionare le nostre e i nostri studenti allo studio della storia; farli sentire come degli investigatori di mondi e di epoche che tanto hanno ancora da dire; risvegliare in loro la curiosità, la voglia di trovare un senso al presente partendo dalla conoscenza di quelle che sono le radici storiche di un avvenimento. E stimolarli al confronto e alla riflessione personale e condivisa nel gruppo, perché ogni volta che c’è dialogo educativo, davvero contribuiamo a costruire la coscienza dei cittadini e delle cittadine di domani.
Nella ricerca-azione realizzata dall’Iis “Donati” storia e storiografia hanno camminato in parallelo. A dare il là al lavoro è stato un nome: Lina Filippini.


Le ricerche intorno alla vita di questa forsempronese nel cui nome le ragazze si erano imbattute frugando tra i tanti nomi presenti negli ancor più numerosi elenchi dell’Anpi provinciale hanno portato a scoperte inaspettate. Di questa donna le ragazze sapevano solo che le era stata conferita una medaglia al valore per il ruolo di partigiana combattente, in un distaccamento militare (il “Picelli”) e con compagni d’azione sconosciuti alla famiglia e anche a molti addetti ai lavori. Come l’orco di cui sopra, le ragazze e le loro docenti hanno fiutato la preda e la ricerca è iniziata. Come una storica che si rispetti avrebbe fatto, le studenti hanno cercato di rispondere all’annosa domanda, regina di tutte le ricerche storiche, «Che fare?»
Come prima cosa si è deciso di consultare i pochi documenti in cui appariva il nome di Lina presso tutti gli archivi storici locali. Contestualmente, barcamenandosi tra fonti frammentarie e spesso contraddittorie, la classe ha cercato di mettere insieme tutto ciò che si sapeva sul “Picelli” con un lavoro certosino e ancora in fieri.

«Continueremo ad approfondire questa vicenda – scrivono ancora le docenti sulla scheda – non solo per la curiosità che ha stimolato in noi, ma perché lo dobbiamo a noi donne di oggi e a quelle che tanto hanno contribuito alla storia e alla realizzazione della nostra democrazia, uscendo dal silenzio e dalla consuetudine delle loro vite, per affermare la necessità di un intervento che non poteva essere solo maschile e che, inevitabilmente, ha contribuito in modo fermo e deciso a costruire e far prendere coscienza all’universo femminile di dover entrare attivamente nei luoghi della politica e del confronto sociale.
Il progetto Donne nella Resistenza è stato premiato con un contributo dell’Osservatorio di Genere con la seguente motivazione: «Fra le finalità che il concorso Sulle vie della parità nelle Marche si pone da sempre c’è non solo la valorizzazione delle figure di donne della regione Marche ma anche il recupero della memoria di storie femminili che abbiano lasciato un segno contribuendo alla lotta di Liberazione dal nazifascismo. Il progetto Donne nella resistenza: ricostruire la storia aprendo i cassetti della memoria risponde a questi obiettivi. Attraverso la realizzazione di un elaborato scritto, accompagnato da una puntuale ricerca bibliografica, il lavoro riesce a restituire la complessità dell’esperienza resistenziale nel territorio di Fossombrone e non solo. La Commissione di valutazione ha molto apprezzato il lavoro di ricerca in Archivio che ha permesso alle ragazze di mettere le mani sui documenti e soprattutto il tentativo di decostruire quell’immaginario resistenziale che si è costruito a partire dal racconto eroico di uomini che combattono, che ricoprono incarichi apicali, che muoiono lottando e di donne che, bene che vada, hanno avuto il merito di averli affiancati – supporto logistico, ruoli di staffette, vivandiere, infermiere, infine custodi memoriali delle imprese maschili – e per le quali nel dopoguerra non ci sono state né medaglie né riconoscimenti. In questa direzione si muove anche la proposta di intitolazione di una strada a Lina Filippini, partigiana combattente, la cui storia, come si legge nel progetto, è una storia ancora tutta da scrivere affinché nessuno e nessuna dimentichi… una storia che, citiamo testualmente dal progetto, non possiamo dimenticare!»
Che sia stato proprio l’OdG a premiare questa classe e le sue docenti non è casuale. L’associazione, infatti, da sempre impegnata a promuovere e valorizzare memorie e saperi, ha pubblicato con il suo marchio editoriale proprio ad aprile 2022 Riconoscersi partigiane e partigiani. Costruzione di un’appartenenza (ODG Edizioni, 2022), un lavoro che tiene insieme la ricerca storiografica di Chiara Donati e il lavoro fotografico di Marco Biancucci.


Riconoscersi partigiane e pertigiani. Costruzione di una appartenenza
Una insperata coincidenza o un azzeccato scherzo del destino? Chi può dirlo. Ciò di cui però siamo certe è che la ricerca delle ragazze di Fossombrone sembra proprio inserirsi nel solco tracciato da Chiara Donati con il suo importante lavoro storiografico: entrambi questi lavori, l’uno realizzato da giovani donne e l’altro con la sapienza della storica di mestiere, ci parlano di donne che scoprono di poter immaginare, pensare e decidere della propria vita. Di donne che scoprono e rivendicano il loro diritto di amare, lottare, lavorare. L’eccezionalità dell’esperienza resistenziale per queste donne, a volto poco più che ragazze, partigiane combattenti o staffette, si traduce nel sovvertimento della sfera del femminile e parallelamente nell’assunzione di una nuova consapevolezza. Ed è proprio con le parole della partigiana di Velia Sacchi citate da Chiara Donati in Riconoscersi partigiane e partigiani che simbolicamente chiudiamo il racconto della V edizione del concorso didattico Sulle vie della parità nelle Marche: «Lo ripeto perché dal tono delle vostre lettere e da certe frasi, mi par di capire che voi siete convinti che, quando tornerà (come si dice), il sereno, io tornerò alla vita e alle cose di prima. […] non è più possibile tornare a vivere come prima, anche se so di darvi un dispiacere. È come una pianta che cresce. Tu puoi metterle sopra un coperchio e lei crescerà di fianco. Dopotutto non credo di avere colpe più gravi di questa, di crescere, anche se trovo coperchi da tutte le parti»(V. Sacchi, Io non sto a guardare. Memorie di una partigiana femminista, introduzione e cura di R. Pesenti, Manni, San Cesario di Lecce 2015, pp. 229-231).
L’auspicio è che oggi come ieri le bambine, le ragazze e le donne possano continuare a crescere di fianco nonostante oggi come ieri i coperchi continuino ad arrivare da tutte le parti.
In copertina: opera realizzata da Aurora Carassai, Partigiane (particolare).
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Articolo di Silvia Casilio

Silvia Casilio ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia contemporanea presso l’Università di Macerata e attualmente collabora con l’Università di Teramo. È autrice di saggi sull’Italia repubblicana e dal 2009 collabora con l’associazione culturale Osservatorio di genere.