Emmeline Pankhurst si racconta

È il 1914 ed è appena scoppiata la Prima guerra mondiale. Nel Regno Unito il movimento delle suffragette Wspu (Women’s Social and Political Union), fondato nel 1903, dichiara una tregua nei confronti del governo refrattario al riconoscimento del diritto di voto alle donne. Emmeline Pankhurst, tra le fondatrici del movimento e forte sostenitrice della militanza attiva, in questo stesso anno pubblica la sua autobiografia, intitolata Suffragette. La mia storia. Proprio lei, che aveva apertamente dichiarato guerra al governo contrario all’attuazione del suffragio femminile, decide che per la Wspu è arrivato il momento di deporre le armi, per fronteggiare una nuova ostilità.
Nel prendere questa decisione, la militante guarda però anche al futuro. Come è arrivato il tempo della tregua, verrà quello in cui le donne reclameranno ancora il loro diritto di voto, e si domanda: «Quando faranno ritorno i reduci, quando il commercio, in Europa, tornerà in mano agli uomini, si dimenticheranno del ruolo che le donne hanno così nobilmente svolto?». La militante è fiduciosa: «Nessuno vorrà più prendersi l’impossibile incarico di fermare o anche solo di ritardare la marcia delle donne verso il giusto patrimonio di libertà politica e di autonomia sociale e lavorativa».
Ma la sospensione delle attività militanti per la suffragetta non deve cancellare la memoria del suo movimento, e così decide di raccontarla in un libro.

In nome della causa del suffragio femminile Pankhurst ha attraversato sia le manifestazioni di protesta sia il carcere, e per questo non può accettare che cadano nell’oblio l’impegno e la lotta delle suffragette (ovvero le affiliate alla Wspu, l’organizzazione più radicale delle sostenitrici del diritto di voto alle donne). In quanto figura rappresentativa del movimento, l’attivista consegna alla storia la sua memoria di quegli anni, per narrare gli «eventi che hanno portato alla rivoluzione delle donne in Inghilterra». La sua autobiografia, seguendo le parole dell’autrice, è scritta sul campo di battaglia. Il suo obiettivo è dare al pubblico una chiara impressione «della durezza e disperazione del conflitto». E proprio in questo aspetto risiede l’intensità della sua narrazione.
Pankhurst racconta in prima persona la sua militanza e la storia di un movimento che, sin dalla sua nascita, ha lottato per il riconoscimento della sua principale rivendicazione come una questione politica. In questo libro è possibile seguire sia l’evoluzione della sua vita, sia del percorso intrapreso dalla Wspu, che nelle strategie impiegate per il raggiungimento del suo scopo si è differenziata dalle precedenti e coeve organizzazioni di suffragiste.

Leggere la testimonianza e il punto di vista di Emmeline Pankhurst consente di calarsi in quel contesto e in quella storia. Nelle sue pagine si legge da un lato il passaggio dalle manifestazioni più pacifiche per l’ottenimento del suffragio femminile alla «militanza nel senso di continua, distruttiva guerriglia contro il governo attraverso il danneggiamento della proprietà privata», con lo spirito guida, sottolinea l’autrice, del «profondo e assoluto rispetto della vita umana». Dall’altro si legge la testimonianza di chi ha vissuto sulla propria pelle la crescente violenza e brutalità dei metodi impiegati contro le suffragette e le loro rivendicazioni. Ma da queste pagine emerge anche una forte consapevolezza politica, contro un ordinamento patriarcale che mira alla conservazione del proprio potere, depoliticizzando le persone che assoggetta. Pankhurst narra la lotta di un movimento che definisce «un esercito suffragista sul campo», tutt’altro che una «congrega di donnacce isteriche e insignificanti», come qualcuno le aveva chiamate. Alla base della condotta politica condivisa dalle militanti c’è l’opposizione al governo contrario al diritto di voto per le donne. Questa opposizione è narrata nel corso del libro come una vera e propria guerra. Pankhurst rivendica le sue scelte, come l’attacco intrapreso dalle suffragette contro la proprietà privata, che viene raccontato nelle diverse forme in cui è stato realizzato. Con la stessa franchezza la militante narra anche le promesse mancate del governo, i disegni di legge disattesi e le violenze perpetrate ai danni delle donne durante le proteste e nelle carceri.

Questo non è un libro semplice. Le sue pagine tremano di fronte al racconto degli scioperi della fame e della sete praticati dalle suffragette, e delle violenze messe in atto contro di loro, come l’alimentazione forzata. Condotta con la forza attraverso l’inserimento di un tubo nello stomaco, questa violenza veniva chiamata «terapia ospedaliera». Quella delle suffragette è una lotta incarnata. Il libro di Pankhurst descrive le azioni e le ferite di quei corpi militanti, che si imprimono nella storia come cicatrici. La sua autobiografia le rende visibili ancora oggi.

Emmeline Pankhurst
Suffragette. La mia storia
Castelvecchi, Roma, 2015
pp. 238

***

Articolo di Nicole Kheiraoui

Ama scrivere, insegnare e si interessa di studi di genere. Conclude il percorso di studi filosofici con una laurea in Storia della filosofia francese contemporanea all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Ha lavorato per diversi anni nell’ambito della comunicazione e dei media. Attualmente frequenta il Master Studi e Politiche di Genere presso l’Università degli Studi Roma Tre.

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