«Mangiare senza affanni e senza dover lavorare per procurarsi il cibo, gioire senza costrizioni dei frutti del paradiso terrestre o del paese di Cuccagna è stato per secoli il sogno degli uomini. Questo desiderio di una ghiottoneria libera e senza remore, ha fortemente segnato l’immaginario collettivo ed è stato espresso in una quantità di testi letterari e di tradizioni popolari». Per comprendere il passato dell’uomo e la sua evoluzione occorre conoscere le testimonianze del passato culturale e i comportamenti legati all’alimentazione e quindi al cibo, uno dei bisogni essenziali per l’uomo che ha fortemente condizionato gli aspetti e le situazioni sociali. Oltre a quello gastronomico, molti significati del cibo con le sue delizie e le sue arti dotte erano già presenti nei gruppi umani quando l’uomo era ancora simile a quel “bestione tutto sensi e fantasia”, di cui ha scritto Giambattista Vico (1668-1744) nell’opera la Scienza nuova, pubblicata postuma nel 1744.
Il periodo compreso tra i 2.500.000 e i 120.000 anni fa è quello in cui l’Homo erectus e l’Homo sapiens, progenitori dell’uomo moderno, si spostarono, prima l’uno poi l’altro, dall’Africa verso l’Asia e l’Europa. Il clima, così come oggi, era caratterizzato da periodi di riscaldamento seguiti da altri di raffreddamento e viceversa, le glaciazioni e lo scioglimento dei ghiacciai hanno provocato cambiamenti nella flora e nella fauna costringendo gli esseri umani ad adattarsi affrontando i problemi concreti, talvolta però comportando anche una modificazione dell’habitat a proprio favore.
Durante il Paleolitico, gli esseri umani erano raccoglitori (frutti, semi, radici, funghi, ecc.) e cacciatori, all’interno dei ripari e dei luoghi adibiti ad abitazioni sono stati rinvenuti focolari, pozzetti, silos, forni, vasi per derrate; sulle pareti, come ormai è ben noto, graffiti che si possono interpretare come immagini che evidenziano la partecipazione al mondo della natura e il desiderio di raccontare, in qualche modo, quanto vivevano; si tratta perlopiù di disegni che ritraggono scene di caccia e in cui gli animali sono ritratti nel loro habitat, i più comuni i buoi e i bisonti, ma sono state disegnate anche piante, figure umane e non mancano impronte delle mani. All’interno dei luoghi di sepoltura, sono stati rinvenuti oggetti utilizzati per il procacciamento e la manipolazione dei cibi, reperti certamente utili per la conoscenza della cultura e le credenze del periodo. Infatti, dalle analisi sui resti ossei degli animali rinvenuti nei siti dell’Olduvaiano, sono evidenziati segni di denti e utensili da cui si è dedotto che le carcasse erano sfruttate sia dagli animali sia dagli esseri umani. Per quanto riguarda il consumo delle carni, dalle analisi fatte sulle ossa di animali, gli esseri umani si alimentavano sia di animali uccisi da loro stessi sia con carcasse. Con la graduale evoluzione tecnologica hanno iniziato a macellarli: tracce di macellazione sono state trovate nei cosiddetti butchering places, le ossa lunghe degli animali presentano tagli alle articolazioni che erano trattati con strumenti di pietra resi taglienti, questo permetteva ai nostri antenati di estrarre dalle ossa il midollo ad alto contenuto calorico, rivelatosi utile per lo sviluppo del cervello.
Circa 10.000 anni fa,nell’area degli odierni Kurdistan, Siria, Giordania, Palestina, pare sia avvenuta quella che è definita la Rivoluzione Neolitica, nota anche come prima Rivoluzione Agricola: da cacciatori e raccoglitori, gli esseri umani iniziarono ad addomesticare gli animali e le piante. Probabilmente erano le donne ad essere maggiormente esperte nel riconoscere i vegetali nutrienti e utili all’alimentazione. I primi animali a essere allevati furono la capra, la pecora, il bue e il maiale. Le prime specie di piante a essere coltivate sono le cerealicole, il grano era il “re della tavola”, poi si aggiunsero le leguminose come le lenticchie, le vecce e i piselli. Occorre però ricordare che le donne e gli uomini avevano difficoltà a digerire le fibre contenute in abbondanza nei cereali, tanto che si giunse a comprendere quanto fosse necessario separare il grano dalla pula e trasformare i chicchi in farina. Quindi, gli esseri umani impararono a produrre il cibo e a cucinarlo con l’ausilio del fuoco, elemento decisivo nell’evoluzione degli esseri umani. Uno studio di ricercatori della Harvard University, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, dimostra che la carne cotta fornisce più energia della carne cruda.

L’acquisizione del cibo variava a seconda delle aree, dei fattori climatici, delle culture, dei tipi di economia, delle usanze, dei diversi modelli di sopravvivenza; la produzione di utensili incrementò la capacità di cacciare animali ad alto contenuto energetico, preferendo le prede più piccole a quelle grandi. I primi rudimenti di lavorazione della terra erano di un livello molto primitivo: il terreno veniva disboscato con asce e fuoco e seminato, sul terreno erano praticati buchi scavati con bastoni, la terra non concimata diventava improduttiva per cui le comunità contadine erano costrette a spostarsi in altri territori. Proprio il consumo dei cereali e la conservazione delle carni ha richiesto un maggiore fabbisogno di sale, tanto che durante il Neolitico, in alcune aree del continente europeo, sono attestati centri di produzione del sale, sia estratto che evaporato dall’acqua di mare, ed era cristallizzato gettando direttamente la salamoia su bracieri o facendola bollire in recipienti particolari realizzati per questo scopo. Taluni studiosi ritengono che il controllo della produzione del sale abbia rappresentato una fonte di ricchezza nel V millennio a.C. Certamente, l’economia agropastorale favorì una maggiore longevità, fin dai primi anni di vita per via dell’alimentazione varia, tuttavia è necessario evidenziare che la Rivoluzione Neolitica apportò anche degli elementi negativi, con lo sviluppo dei confini da difendere, per via dell’esistenza di ampie fette di territorio messo a produzione, a cui si aggiunge la diffusione di diverse patologie come le carie dentarie, dovute agli zuccheri dei cereali, e le artrosi dovute agli sforzi richiesti e alla cattiva postura per la macinazione, o ancora quelle legate alla vicinanza con gli animali portatori di germi contro i quali non disponevano ancora di difese. Concludendo, anche se non si trattava ancora di una vera e propria cucina come oggi la intendiamo e vi era la diffusione di diverse malattie, la cottura degli alimenti ha garantito la disponibilità energetica necessaria allo sviluppo corporeo e cerebrale dei nostri più antichi antenati, e si può affermare con forza che è un elemento primario della elaborazione d’identità dei gruppi umani.
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Articolo di Giovanna Martorana

Vive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo.