Sono trascorsi novanta anni precisi da quando l’avvento di Hitler al potere segnò la fine di una intera generazione di intellettuali tedeschi, costretti ― uomini e donne ― al silenzio, alla fuga, all’esilio, all’oblio, alla morte. La recente recensione di Marino Freschi (Il venerdì di Repubblica, 3.2.23) a un libro appena tradotto in Italia ha efficacemente riportato alla luce questa vicenda, lontana nel tempo ma assai vicina a causa di pericolosi rigurgiti di ideologie nazi-fasciste, più o meno mascherate, in varie nazioni europee. Il saggio in questione si intitola proprio Febbraio 1933. L’inverno della letteratura e l’ha scritto il critico letterario e giornalista tedesco Uwe Wittstock che si è servito di toni vivaci, talvolta pure romanzeschi, fra cronaca e storia, e ha utilizzato un’infinità di documenti e fonti relative alle sorti di trentatré intellettuali, fra cui diverse donne.

Trattandosi di eventi strettamente legati al periodo storico, forse non è superflua una breve premessa che ci riporta alla Repubblica federale di Weimar, esperimento democratico durato solo 14 anni, subito dopo la tragica sconfitta tedesca nella Grande guerra e la fine degli imperi. Una repubblica dalla vita travagliata, a causa di contraddizioni politiche, problemi economici, scontri di classe e una perenne instabilità istituzionale, a cui la crisi del ’29 dette il colpo di grazia. La nascita dei Corpi franchi e la diffusione del terrorismo di destra portarono a oltre 350 omicidi politici, mentre la Lega di Spartaco si trasformava in Partito comunista tedesco, i cui leader Rosa Luxemburg e Karl Liebnecht furono assassinati il 15 gennaio 1919. Fu tuttavia un periodo di grande creatività e di relativo benessere in cui le arti rifiorirono: dalla pittura al teatro, dalla narrativa al cinema. Esce Metropolis del regista Fritz Lang, George Grosz dipinge il Trittico della metropoli, Karl Kraus pubblica Gli ultimi giorni dell’umanità ed Eric Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale, mentre Brecht porta in scena i suoi capolavori. In arrivo dagli Usa si affermano la musica jazz e il charleston, nasce il fonografo, si diffondono le automobili, sono di moda le flapper, le monelle dalle gonne corte e i capelli “alla maschietta”: insomma un mondo in veloce mutamento; sono gli “anni ruggenti” dell’industrializzazione in cui si comincia a parlare di civiltà di massa. Ma ideologie di morte e di violenza serpeggiano, come si sa, e il debole presidente Hindenburgh il 30 gennaio 1933 nomina cancelliere Hitler, reduce dalla vittoria elettorale del luglio precedente (230 seggi, 37% dei voti). Cosa accadde in quell’anno fatidico è tristemente noto, a cominciare dall’incendio del Reichstag avvenuto il 27 febbraio. Ormai chi vuol capire ha capito che la libertà è finita e inizia l’esodo, per lo più senza ritorno. E qui andiamo al saggio di Wittstock che si concentra sull’ambito letterario e ripercorre fra le altre le travagliate esistenze dei quattro Mann (Klaus suicida a Cannes), di Fallada (suicida o morto per overdose), di Brecht, di Toller (suicida a New York), di Zweig (suicida con la moglie in Brasile), di Döblin, di Joseph Roth (distrutto dall’alcol), travolti dagli eventi e costretti alla fuga, mentre la loro patria si impoveriva culturalmente, e da quella perdita di brillanti cervelli non si sarebbe più ripresa.

Fra i personaggi di cui il testo si occupa, come dicevamo, ci sono varie donne: l’attrice Helene Weigel (1900-71), moglie di Brecht, l’amante Margarete Steffin (1908-41), la grande poeta Else Lasker-Schüler (1869-1945), la saggista e scrittrice Erika Mann (1905-69), e pure Ricarda Huch, sulla quale dobbiamo confessare la totale ignoranza. Eppure di lei Thomas Mann ebbe a dire: «Ricarda Huch non è solo la prima signora della Germania, ma probabilmente la prima signora d’Europa». Allora la sfida è scoprirla. Ricarda Octavia era nata in Germania il 18 luglio 1864 nella Bassa Sassonia in una famiglia agiata di commercianti; la madre Maria Luisa era una donna di idee aperte, che morì prematuramente nel 1883, mentre il padre era piuttosto conservatore ma comunque le permise di studiare all’Università di Zurigo, dove frequentò un circolo femminile e divenne amica di varie giovani intellettuali: l’economista Marie Baum, la biologa Marianne Plehn, la germanista Hedwig Waser. Ricarda affrontò prima le discipline storiche, poi la filosofia, arrivando alla laurea nel 1891.

Dopo aver finito i soldi ricevuti dalla famiglia, per essere indipendente ottenne un lavoro come bibliotecaria, quindi insegnò, rimanendo in Svizzera fino al 1896. Nel 1897 si trasferì a Vienna dove conobbe un dentista italiano. Fu così che dal 1898 al 1906 fu la moglie di Ermanno Ceconi, da cui ebbe l’amata figlia Maria Antonia, chiamata Marietta, oppure con il vezzeggiativo Busi; la coppia visse a Trieste per due anni e questo avvicinò la scrittrice alla cultura e alla storia italiana. Dopo il divorzio ritornò in Germania, a Lipsia e poi a Monaco, quindi nella cittadina d’origine dove sposò nel 1907 il cugino e cognato Richard di cui era stata innamorata fino da ragazzina, quando lui le aveva preferito la sorella, da cui tuttavia si separò tre anni dopo. Intanto entrò in contatto con i primi movimenti femminili e frequentava i massimi intellettuali del tempo, editori, giuristi, artiste, scrittori fra cui il poeta ebreo Karl Wolfskehl, perseguitato in seguito dal regime e costretto all’esilio in Nuova Zelanda. Ricarda Huch stava diventando una affermata scrittrice, attiva in molti ambiti: prosa, poesia, saggistica, biografie, opere teatrali, studi storici, articoli. Partendo dalla composizione di drammi ambientati in un passato fantasioso, già nel 1893 era arrivata a pubblicare un romanzo (Le memorie di Ludolf Ursleu, il giovane) che fu ritenuto il fondatore del neo-romanticismo, da cui avrebbe preso spunti lo stesso Thomas Mann per il suo capolavoro uscito otto anni dopo. Nel 1897 un libro di poesie le aveva fruttato i primi modesti compensi; allora usava lo pseudonimo maschile Richard Hugo che utilizzò anche per alcune opere successive.

Nel 1907 ottenne il premio letterario Ebner Eschenbach. Molto interessante la produzione che la lega all’Italia con un romanzo ambientato a Trieste (Vicolo del Trionfo. Racconti di vita) e racconti e saggi sulle figure di Garibaldi, Silvio Pellico, Federico Confalonieri e, più in generale, sulle battaglie prerisorgimentali e il Risorgimento a cui dedicò svariati volumi, fra 1906 e 1910, dimostrando una pregevole capacità di calarsi nell’ambientazione mediterranea e in una cultura diversa dalla sua. Proprio da allora tuttavia ebbe difficoltà economiche a causa del secondo divorzio, dovette dunque ingegnarsi per mantenere Busi e avere un reddito sicuro, mentre sperava in un incarico universitario. Invece a darle ulteriore notorietà e guadagni fu l’ampia opera in tre volumi sulla Guerra dei trent’anni (edita fra 1912 e ’14) in cui univa aspetti rielaborati con la fantasia a una attenta ricostruzione e una accurata documentazione. Nella sua immensa bibliografia, peraltro semisconosciuta in Italia (basta andare su Wikipedia in tedesco per verificare: uno studioso ne ha fatto l’elenco completo in 229 pagine!), affrontò pure tematiche religiose e spirituali, pubblicò studi sulla corrente romantica, sul poeta svizzero da lei prediletto Gottfried Keller, sull’anarchismo e Bakunin, a testimonianza di un ingegno poliedrico e di interessi molteplici. Nonostante la guerra in corso, continuò a scrivere e pubblicare saggi sul trascendente, ma anche un romanzo. Durante la Repubblica di Weimar scrisse sulla rivista Die Neue Generation partecipando ai movimenti di riforma e al rinnovamento culturale. Nel 1931 si trasferì a Francoforte dove ricevette il premio Goethe, quell’anno eccezionalmente assegnato a una donna perché si trattava dell’anniversario della morte della madre del grande poeta.

Ricarda Huch già nel 1932 si pronunciò ad Heidelberg contro l’antisemitismo; nel 1933, all’avvento del potere nazista, prese una posizione netta e, per protestare contro l’espulsione di Alfred Döblin, fu il primo membro a dimettersi dall’Accademia delle arti prussiana, istituzione prestigiosa fondata nel 1696 a Berlino, in cui lei era entrata nel ’26, unica donna ammessa. Mentre qualche collega cercava di scendere a patti con il nazismo e di mantenere il proprio ruolo, come il poeta Oskar Loerke e il musicista Max von Schillings, Huch non esitò a criticare apertamente il regime e la sua politica discriminatoria, ma non lasciò il suo Paese. L’anno seguente, nonostante tutto, fu celebrata con grandi onori in occasione del settantesimo compleanno e di lì a poco andò a vivere a Jena, in Turingia. Questa si potrebbe definire una sorta di emigrazione interna, in una località più appartata rispetto ai centri nevralgici del potere, così la sua casa divenne un punto di incontro per artiste/i, scienziate/i e oppositori, fra cui alcuni di quelli che nel 1944 attentarono a Hitler. Proprio in quel periodo, dal suo romanzo Der Fall Deruga, fu tratto un film dal regista Fritz Peter Buch. Ma il Reich non l’aveva certo dimenticata o sottovalutata: nel 1938 fu convocata a Weimar dal tribunale speciale in cui subì delle pressioni a causa della sua difesa del talento ebraico. In conseguenza della sua persistente ostilità verso la dittatura il genero venne estromesso dall’insegnamento. Durante la Seconda guerra mondiale Ricarda da Jena raggiunse di tanto in tanto la Svizzera, dove nel marzo 1942 a Zurigo ritirò il diploma di laurea al merito. Per ricordare degnamente il destino delle vittime del conflitto compose una poesia dedicata An unsere Maertyrer, mentre rimase incompiuta un’opera sul valore di donne e uomini resistenti. Nel 1944, per i suoi 80 anni, fu pubblicato Herbstfeuer (Fuoco autunnale) ed ebbe il premioWilhelm Raabe per l’opera complessiva. All’amica Marie Baum nel 1945 confessava di sentirsi un’apolide e i numerosi suoi spostamenti, fra Italia, Svizzera e Austria, ne danno una idea concreta. Finita la guerra, essendo iniziata la discussione sulla “questione della colpa” tedesca, rispose a un appello dello scrittore Hermann Hesse con queste parole illuminanti: «Noi, che ci auguravamo nella guerra la vittoria del nemico provando terribili dolori… che bramavamo al proprio declino, perché ciò stava a significare il declino di Hitler, non dovremmo conoscere del tutto la colpa della Germania, per la quale tutti noi dobbiamo rispondere?».


Nel 1946 ebbe dall’Università di Jena la laurea honoris causa e nel giugno ottenne per meriti e anzianità il seggio come presidente del parlamento della Turingia; in seguito al nuovo corso della politica il genero poté tornare alla sua professione, insegnando a Francoforte. Huch intanto continuava a lavorare e pubblicare. Nell’ottobre del 1947 a Berlino fu la presidente onoraria del primo congresso degli scrittori tedeschi, finalmente liberi di esprimersi; la morte arrivò pochi giorni dopo, il 17 novembre, a Francoforte sul Meno, dove è sepolta, dopo aver lasciato per sempre Jena, ormai nella Repubblica Democratica Tedesca. Così fu salutata da Alfred Döblin: «Il coraggio le veniva naturale. Come si addice alla natura della sua specie, era troppo orgogliosa per non essere coraggiosa».

In Germania oggi sono numerose le istituzioni che la ricordano, soprattutto molte scuole, ma anche vie, lapidi sulle abitazioni in cui visse, dei francobolli, una cartolina postale in occasione dei 150 anni dalla nascita e perfino un asteroide, come pure convegni e biografie ne hanno trattato. Dal 1978 in suo nome viene assegnato ogni tre anni un premio a una persona che si distingua per spirito indipendente e azioni coraggiose. Nel 2006 una studiosa italiana, Federica Mascolin, ha scritto su Riviste Friulane un saggio sulla permanenza a Trieste di Ricarda Huch e il 27 maggio 2022 Giulia Frare, giovane docente di Letteratura tedesca dell’ateneo triestino, ha dedicato una conferenza on line al tema Trieste reale e Trieste letteraria negli scritti di Ricarda Huch. Di recente qualche opera è stata tradotta per il pubblico italiano, si segnala in particolare il bel romanzo L’ultima estate, ambientato a San Pietroburgo nel 1906. Anche questa volta, indagando con la consueta curiosità, speriamo di aver raggiunto il nostro obiettivo di far conoscere una donna di valore, coraggiosa e indipendente.
In copertina: Ricarda Huch.
***
Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.