Le grandi assenti. Properzia de’ Rossi

È la prima scultrice del Rinascimento e l’unica la cui biografia è inclusa tra le Vite del Vasari, che, nel presentare la sua figura, elenca dapprima tutte le donne eccellenti dell’antichità e della sua contemporaneità, per arrivare a dire che: «Le donne non si sono vergognate, quasi per toglierci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro, per conseguir il desiderio loro e riportarsene fama, come fece nei nostri dí Properzia de’ Rossi da Bologna, giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come le altre, ma in infinite scienze che non che le donne, ma tutti gli uomini l’ebbero invidia» E poi gli scappa un apprezzamento sul bellissimo corpo della de’ Rossi: «fu del corpo bellissima, e sonò, e cantò né suoi tempi, meglio che femmina della sua città». Giorgio Vasari ci ha anche tramandato l’immagine di Properzia, a mezzo busto, girata di tre quarti, e col capo velato, secondo una consuetudine piuttosto diffusa tra le donne di buona famiglia del tempo.

Ritratto di Properzia de’ Rossi, Le vite, di Giorgio Vasari, 1568

Ci sono però anche altri ritratti che forse comunicano meglio l’indole di questa donna così eccezionale, entrambi pubblicati a stampa, e a breve distanza l’uno dall’altro. Il primo è stato inciso da Nicolas de Larmessin come illustrazione per l’Academie des Sciences, et des Arts, nel 1682. Qui, Larmessin offre di Properzia un’immagine più femminile, con la veste scollata, il manto bordato di pelliccia, il corpetto decorato, e soprattutto più orgogliosa, dato che alla donna si accompagnano gli strumenti tipici del mestiere, tavolozza e pennelli, scalpello, martello, squadra. Ancora più femminile è l’immagine che ci trasmette Joachim von Sandrart nell’Academia nobilissimae artis pictoriae: qui, Properzia diventa una dama dell’aristocrazia, indossa un vestito dalle maniche rigonfie, un cappellino sui capelli ondulati e una collana di perle. Nella guida di Sandrart ha anche un primato: a lei spetta, infatti, il primo posto nella rassegna delle artiste italiane illustri.

Ritratto di Properzia de’ Rossi, Nicolas de Larmessin-1682 (sx)
Ritratto di Properzia de’ Rossi, Joachim von Sandrart (dx)

Un altro ritratto di Properzia, più austero, è nell’edizione del 1769/75 della Serie degli uomini più illustri nella pittura, scultura, e architettura, di Giovanni Battista Cecchi – vol 5.

Infine abbiamo un suo ritratto in scultura, opera dello scultore di casa Fibbia.

Bella e affascinante, passionale e sensibile, subì la prepotenza e l’invidia degli uomini: era indubbiamente nel panorama del tempo un personaggio estroso, turbolento, trasgressivo, capace di scelte audaci, come quella di praticare la scultura, arte fino ad allora preclusa alle donne, sfidando le convenzioni del suo tempo.

È incerto il luogo che diede i natali a Properzia: c’è chi afferma che sia nata a Bologna, dove ha vissuto tutta la sua vita, e chi a Modena. L’anno di nascita si può collocare intorno al 1490. L’artista proveniva da una famiglia benestante: il padre Girolamo era notaio, e probabilmente Properzia fu avviata agli studî che tipicamente seguivano le giovani donne di buona famiglia tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, e che prevedevano l’educazione religiosa, l’apprendimento di elementi di letteratura e la pratica di attività ritenute appropriate per le donne, principalmente ricamo e tessitura. Per la sua formazione pare che abbia frequentato la bottega di Marc’Antonio Raimondi, cosa che tuttavia è impossibile da verificare.

Si sa che ebbe un marito, ma anche un amante, Anton Galeazzo Malvasia, che sarà podestà di Imola. Fu lui a raccomandare la scultrice presso l’amico Alessandro Pepoli, presidente della Fabbrica di San Petronio, per assicurarle il lavoro. Properzia ottenne di entrare a far parte del cantiere solo dopo aver portato a termine un ritratto in marmo del conte Guido Pepoli, padre di Alessandro, così somigliante al vero da suscitare grande ammirazione nei confronti dell’artista.

Basilica di S. Petronio, Bologna

Properzia poté lavorare così affianco dei più grandi artisti del suo tempo nel cantiere bolognese di S. Petronio, unica donna in un ambiente di maschi. Il suo stile coniuga l’elegante naturalismo raffaellesco con un vigoroso rilievo plastico di derivazione michelangiolesca, aggiungendovi un raffinato erotismo.

Le due formelle che narrano la storia biblica di Giuseppe e la moglie di Putifarre restano il suo capolavoro, eseguito intorno al 1526 fra i lavori per la decorazione dei portali laterali della facciata di San Petronio. Nella prima formella, certamente di sua mano, è ritratta la moglie di Putifarre che trattiene lo schiavo Giuseppe per la veste nel disperato tentativo di sedurlo e trascinarlo nella propria alcova. Nella seconda, che non tutti attribuiscono a Properzia, si vede invece Giuseppe che proclama la propria innocenza davanti a Putifarre, mentre la moglie di quest’ultimo lo accusa ingiustamente di averla violentata.

Giuseppe e la moglie di Putifarre,
Properzia de’ Rossi
La moglie di Putifarre accusa Giuseppe,
Properzia de’ Rossi (attr.)

Così il Vasari «Ella finí, con grandissima maraviglia di tutta Bologna, un leggiadrissimo quadro, dove (perciocché in quel tempo la misera donna era innamoratissima d’un bel giovane, il quale pareva che poco di lei si curasse) fece la moglie del maestro di casa di Faraone che, innamoratosi di Iosep, quasi disperata del tanto pregarlo, a l’ultimo gli toglie la veste d’attorno con una donnesca grazia e piú che mirabile. Fu questa opera da tutti riputata bellissima et a lei di gran soddisfazzione, parendole con questa figura del vecchio Testamento avere sfogato in parte l’ardentissima sua passione»

In quest’ultimo passo, lo storico aretino fa intendere che l’amore di Properzia per l’affascinante Anton Galeazzo Malvasia non fosse corrisposto, ma si tratta di un’invenzione letteraria, smentita da quanto si legge in un procedimento processuale, nel quale l’artista viene indicata come “pubblica concubina” proprio del futuro podestà di Imola, suo complice per averla aiutata a guastare l’orto di un vicino di casa.

L’episodio descritto nelle due formelle è quello raccontato nel libro della Genesi: il patriarca Giuseppe, da giovane, viene venduto dai fratelli come schiavo in Egitto, e acquistato da Putifarre, capo delle guardie del faraone. La moglie di Putifarre, attratta dall’avvenenza del ragazzo e innamoratasi di lui, cercò di sedurlo, ma lui si divincolò e fuggì: la donna, rifiutata, volle vendicarsi, accusandolo di aver voluto violentarla, e Putifarre lo fece imprigionare.

Entro uno spazio angusto ma ben equilibrato, la moglie di Putifarre è protagonista assoluta, mentre Giuseppe è relegato ai margini della scena. Con una presa possente la donna si lancia verso l’amato afferrandogli la veste: nonostante le braccia muscolose che esprimono una profonda sicurezza, il particolare della camicia, naturalmente aperta sul seno, le conferisce una nota erotica. La moglie di Putifarre è delineata secondo modelli michelangioleschi, al contrario del giovane che invece  segue modi raffaelleschi. Properzia, immedesimandosi nell’eroina biblica, rivela tutta la forza del suo carattere e la determinatezza della sua indipendenza.

Giorgio Vasari racconta anche della sua grande abilità a incidere noccioli di ciliegie o pesche con scene affollate di figure. «E perciò ch’era di capriccioso e destrissimo ingegno, si mise ad intagliar noccioli di pesche, i quali sí bene e con tanta pazienzia lavorò, che fu cosa singulare e maravigliosa il vederli, non solamente per la sottilità del lavoro, ma per la sveltezza delle figurine che in quegli faceva e per la delicatissima maniera del compartirle».

Spilla delle cento teste, 1520 ca., Properzia de’ Rossi

La spilla delle cento teste presenta un nocciolo di ciliegia con incise più di cento teste, racchiuso all’interno di una corona d’oro smaltato con diamanti e perla, ed è conservata a Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli Argenti. Amico Aspertini, notissimo pittore dell’epoca, la perseguitò in tutte le maniere, arrivando a screditarla seriamente e a farle versare uno stipendio assai meno congruo rispetto a quello che percepivano i suoi colleghi di sesso maschile che lavoravano con lei nella Fabbrica di San Petronio. Si sa per certo che la scultrice fu coinvolta in un paio di processi, forse colpita dall’invidia dell’Aspertini. Nel 1520 fu citata in giudizio da un suo vicino di casa, che la accusava di aver distrutto alcune piante (filari di viti e un ciliegio) nel suo orto, in complicità con il suo amante, Anton Galeazzo Malvasia. Non sappiamo come si concluse la lite, ma probabilmente le parti si accordarono. Un altro documento riguarda un processo per una lite tra artisti avvenuta nel 1525. Amico Aspertini, il principale rivale di Properzia, testimoniò che nella rissa era coinvolta la nostra artista, che avrebbe graffiato il volto a uno dei due litiganti.

La donna lavorò nel cantiere della basilica fino al 1526: il carattere intemperante dell’artista e i suoi rapporti prevalentemente conflittuali con i colleghi spiegherebbero il suo allontanamento volontario dal cantiere.  

Sono solo tre le opere che si possono riferire con una certa sicurezza a Properzia de’ Rossi. La prima è la formella con la moglie di Putifarre che tenta di sedurre Giuseppe, la seconda è l’altro bassorilievo, che raffigura l’episodio dell’accusa mossa dalla moglie di Putifarre a Giuseppe. È un’opera che nella storiografia è menzionata molto meno di quella che raffigura l’episodio della tentazione, tanto che in passato è stata attribuita anche ad Amico Aspertini. La critica oggi si è assestata su un’attribuzione a Properzia.

La terza opera è un singolarissimo lavoro di oreficeria, conservato al Museo Civico Medievale di Bologna: si tratta dello stemma della famiglia Grassi, un’opera in filigrana d’argento, cristallo di rocca e legno di bosso, nella quale sono incastonati undici noccioli d’albicocca intagliati con figure di santi.

Stemma della famiglia Grassi,
Properzia de’ Rossi e Giacomo e Andrea Gessi
Stemma della famiglia Grassi,
dettaglio con la figura di san Pietro
Annunciazione, Porperzia de’ Rossi

Proprio la stravaganza dei noccioli di frutta intagliati ha portato la critica ad ascrivere l’opera alla mano di Properzia de’ Rossi (eccezion fatta per la montatura che si tende ad assegnare ai fratelli Giacomo e Andrea Gessi, orafi bolognesi del primo Cinquecento che lavorarono per la famiglia Grassi). A Properzia de’ Rossi studi recenti attribuiscono anche un tondo, datato tra il 1510 e il 1540, conservato al Museo Civico Medievale di Bologna, raffigurante un’Annunciazione, e ancora degli Angeli e delle Sibille nella Basilica bolognese di San Petronio, un nocciolo di pesca intagliato con la Passione di Cristo, un altro con un Presepe e infine uno con volti che ridono, conservato a Dresda.

Il 24 febbraio 1530 Papa Clemente VII, trovandosi a Bologna per l’incoronazione di Carlo V, chiese di incontrare la scultrice, ma gli fu risposto che era morta di peste quella stessa settimana.

Sibilla, Properzia de’ Rossi

In copertina: Nicolas de Larmessin, Ritratto di Properzia de’ Rossi, 1682, particolare.

***

Articolo di Livia Capasso

foto livia

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.

Un commento

  1. Mi ha fatto piacere leggere quest’articolo su Propezia De Rossi, molto esaustivo. E’ un’artista che ho raccontato, tra le altre, in un’iniziativa di quartiere nella mia città a Padova. Raccontiamo storie di artiste, letterate, scienziate (ci alterniamo in tre, ognuna per il suo settore) e ci accorgiamo che, veramente, molte di queste donne straordinarie sono poco o nulla conosciute. Su Propezia De Rossi, sono rimasta negativamente stupita che nella mia Garzantina dell’arte, edita nel 1986, non sia citata. Mi chiedo, dove abbia appreso a scolpire Propezia, non essendo figlia di artisti ma di un notabile. La scultura su marmo richiede un lungo e faticoso e costoso apprendimento. Si narra anche di un’altra scultrice assai misteriosa, Sabina von Steinbach, autrice secondo le dicerie popolari di due belle statue presso la Cattedrale di Strasburgo (XIV sec.). La tendenza secolare a cancellare la presenza delle donne nella vita sociale ha fatto perdere molti documenti e conoscenze, purtroppo. Grande merito vostro il pubblicare articoli su queste donne eccezionali.

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