Tina Anselmi, paladina dei diritti e della democrazia

«Il quattro novembre 2016 il duomo di Castelfranco Veneto è gremito di gente. Gente comune, cittadini di ogni ceto sociale e di ogni generazione, uomini e donne rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali, parenti e amici della donna che si è spenta qualche giorno prima nella cittadina da cui tanti anni prima era partita su un treno alla volta di Roma. Castelfranco era rimasta sempre nel suo cuore, ogni volta che le era possibile ritornava tra la sua gente. “La Tina” come affettuosamente era chiamata da tutti nel paese, dove ha vissuto non in buona salute gli ultimi anni della sua vita, lontana dalle luci della ribalta, viene a mancare poco dopo la mezzanotte, il giorno dei santi, come ricorda con un velo di commozione il capo dello stato, Giorgio Napolitano. La città è tappezzata di manifesti che la salutano e recitano: «Ciao Tina. Una donna castellana che ha fatto l’Italia».

Inizia così il libro scritto da Marcella Filippa per la Collana “Italiane”, da me diretta, che Pacini Fazzi pubblica dal 2016, dedicato a Tina Anselmi. Prima ministra della repubblica italiana, fu partigiana, combattente, donna di politica e libertà. «In uno spettacolo sui 150 dell’Unità d’Italia, Roberto Benigni l’aveva ricordata: “cattolica, partigiana, una donna memorabile”». Al suo funerale «niente retorica. Lei non amava la retorica. E poi l’ultimo viaggio verso il cimitero – un lungo e silenzioso corteo a piedi – dove l’accoglie la tomba della famiglia Anselmi. Essenziale, spoglia. Piante povere e contadine intorno ad essa. Chissà quante volte nel tempo si è fermata a pregare in quella imponente chiesa ottocentesca dedicata a San Liberale, davanti alla pala del Giorgione, che raffigura una bella e pensosa Madonna col Bambino. Lei che si laureò proprio con una tesi su quello straordinario e innovativo artista. Fili che legano esistenze, ricerche che danno senso e compimento alla sua lunga vita. Tanti sono i discorsi che la commemorano in quei giorni di novembre. I giornali, di differenti posizioni politiche, ci restituiscono una immagine più nitida e un ritratto con lievi pennellate di colore. Una donna allegra e ottimista, anche nei momenti più difficili e dolorosi, scrive qualcuno».

Tina Anselmi fu donna impegnata e determinata. Con il nome di battaglia “Gabriella” fu staffetta partigiana della brigata Cesare Battisti poi al Comando regionale veneto del Corpo volontari della libertà. A dicembre 1944 si iscrisse alla Democrazia Cristiana e fu sempre partecipe della vita del partito. Nel 1948 si laureò in lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, fu insegnante elementare. Prima alla Cgil e poi, dalla sua fondazione nel 1950, alla Cisl, dedicò anni ed energie alla difesa delle lavoratrici e dei lavoratori. 
Nel 1963 fu eletta componente del comitato direttivo dell’Unione europea femminile, della quale divenne anche vicepresidente. Fu deputata dal 1968 al 1992, fece parte delle commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali. Si deve a lei la legge sulle pari opportunità. Per tre volte sottosegretaria al ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal 29 luglio 1976 fu ministra del lavoro, la prima ministra in Italia.

Alle donne e ai loro diritti dedicò il suo impegno. Costante. Nel 1977 fu tra le prime firmatarie della legge italiana che apriva alla parità salariale e di trattamento nei luoghi di lavoro, con l’obiettivo di abolire le discriminazioni di genere fra donna e uomo. Fu poi ministra della sanità. Donna di fede profonda, difese sempre la laicità dello Stato. Nel 1978 firmò, come Ministra della Salute, la Legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza. Nel ’92 e nel 2006 fu proposta per la presidenza della Repubblica. «Non posso concludere – scrive Carole Beebe Tarantelli, nella postfazione al libro di Marcella Filippa – senza parlare di quello che ho percepito come l’energia ispiratrice che ha determinato tutto il corso della vita di Tina. Questa forza, secondo me, era la sua profonda fede. Che lei fosse una cattolica fervente era evidente a chiunque la conoscesse. Dovunque si trovasse non rinunciava mai alla messa domenicale, ma la sua non era certo un’adesione acritica alla Chiesa. Ogni volta che apprendeva di qualche scandalo che riguardava il Vaticano, diceva che gli uomini di chiesa potevano a volte mettere a dura prova la fede, ma quando le avanzavo qualche pur timida critica diceva che un’istituzione che durava da 2000 anni doveva per forza avere qualcosa di profondo da comunicare. Mi sembrava e mi sembra che, oltre a essere devota alla Chiesa, la fede profonda che strutturava il suo essere riuscisse a darle una visione sub specie aeternitatis del mondo, delle donne e degli uomini che lo popolavano. In altre parole, la sua fede le comunicava la sicurezza che, alla fine, il bene avrebbe prevalso sul male, o, per dirla in modo laico, che la creatività umana avrebbe prevalso sulla distruttività. Giovanissima aveva sperimentato di persona di quanta distruttività sia capace il genere umano: ragazzina aveva visto il fratello della sua compagna di banco impiccato dai nazisti insieme a molti altri giovani. Come ha scritto il teologo Dietrich Bonhoeffer, “Nelle decisioni etiche, un uomo deve considerare le sue azioni sub specie aeternitatis e poi, proceda come proceda, procederà in modo giusto”. E Tina era una donna giusta».

Marcella Filippa
Tina Anselmi
Lucca, Pacini Fazzi 2019
pp. 96

***

Articolo di Nadia Verdile

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Nadia Verdile è nata a Napoli, vive a Caserta, le sue origini sono molisane. Scrittrice e giornalista, collabora con il quotidiano «Il Mattino». Ha diciannove libri all’attivo, molti suoi saggi sono stati pubblicati in riviste nazionali  ed  internazionali. Relatrice in convegni e seminari di studio, come storica, da anni, dedica le sue ricerche alla riscrittura della Storia delle Donne. È direttrice della Collana editoriale “Italiane” di Pacini Fazzi Editore.

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