Storie di donne che viaggiano i loro mondi

La forza delle donne viene anche da lontano. Si raccontano, parlano dei loro sogni, delle loro speranze. Dicono delle sofferenze passate e persino dei sotterfugi studiati perché potessero andare, partire da casa e costruire il loro personale mondo, nuovo per lingua, usanze e solitudine mai fronteggiate prima. Questo è il tema centrale del libro Siamo qui. Storie e successi di donne migranti (Edizioni Bordeaux, 2018). Importante il termine compassione, evidenziato con forza nella prefazione al libro da Piera Degli Esposti, di cui sono onorata di aver avuto le parole di avvio. Piera Degli Esposti non solo è stata grandissima attrice di teatro, oltre che di cinema e televisione, ma è sempre stata dalla parte delle donne e paladina dei pari diritti.
Piera dice delle donne: «Grandi guerriere senza armi con la forza alimentata dalla compassione. Nel mondo di oggi manca la compassione, la disposizione all’aiuto, come manca il dialogo, che non si considera più come un pregio, chiusi come siamo nei nostri apparecchi. La donna – continua la prefazione – che per eccellenza racconta, che legge fiabe, è depositaria di quest’altra grande arte… Il parlare, il dialogo, allunga l’azione e allontana il momento della violenza».

Tutte le donne del libro sembrano seguire queste importanti, oggi direi indispensabili, parole della grande interprete di Molly cara (che ha avuto la regia strepitosa della compianta Ida Bassignano), di Clitemnestra, di Atena, di Cvetaeva e di tante altre figure femminili che hanno attraversato la Storia e i tanti confini del mondo.
Le protagoniste, tutte esclusivamente donne, si susseguono l’una all’altra con molti aspetti simili nelle loro storie, eppure si colgono tante diversità e ogni vita si fa comunque unica.

Trenta storie, tante sono quelle del libro, e trenta donne. Trenta “regine” della vita, come le chiama Piera degli Esposti, non nate in Italia, che hanno incominciato in un “altrove” la loro nuova storia di vita. Uguali e uniche nei loro sogni e nelle loro sofferenze. Donne che hanno viaggiato e viaggiano, con il coraggio di cambiare, di lasciare alle spalle i loro luoghi e le loro vite lontane e arrivare in luoghi ed entrare in vite diverse. Giunte in questo “porto” non sono arrivate alla fine del viaggio, ma hanno scelto ancora e, a volte, sono state costrette a scegliere, a elaborare di nuovo una sorta di ulteriore emigrazione interna nel Paese ospitante.
I loro volti si susseguono davanti a noi segnando le provenienze. Gli sguardi si proiettano lontano perché loro, queste trenta donne, sono state capaci di concretizzare il proprio viaggio in metafora, nell’itinerario di un sogno che tutte e trenta hanno saputo realizzare, lanciando il loro percorso fuori dalle strade comuni, comunque valide e coraggiose, del cosiddetto cliché migratorio che le vede e vuole vederle tutte “etnicizzate”, come badanti, colf, baby-sitter o mogli, madri e sorelle, in una sorta di appendice maschile.
Chi sono, guardandole, incontrandole una per una?
C’è Sonila Alushi, albanese, ma tanto forte nel sentirsi italiana da presentarsi alle elezioni politiche per Bergamo, sua città di adozione, dove sono nati e cresciuti i suoi figli. C’è Silvia Zaharia con la forza del suo sogno di aiuto, capace di sfidare il dolore altrui e ridare a tanti ragazzini e ragazzine della sua Moldova la forza di tornare a correre e abbracciarsi con gambe e braccia nuove, se le avevano perse per la crudeltà di un destino avverso. C’è Sultana Fahmida, psicologa, tra i mille colori dei vestiti orientali che vende ad altre donne, anche italiane, nel suo negozio di Torpignattara, tra i quartieri più etnici della capitale. C’è Ambili Abraham che non voleva venire in Italia, che rifiutava di starci e che invece la sta danzando sotto i ritmi delle coreografie indiane dei film di Bollywood, la Hollywood indiana.

C’è Hu Lambo, coltissima giornalista di origine cinese che ha cominciato il suo viaggio da Pechino su una macchina d’epoca italiana e, dopo essere approdata a Parigi, trova l’amore che la porterà a Roma. Da qui per lei partirà la grande esperienza di creare ponti di conoscenza reciproca tra i due popoli, l’italiano e il cinese, attraverso appunto la rivista “Italia Cina” da lei voluta e creata.

C’è Maria Oglinda con la sua struggente storia di due anni di strada per poi “tessere” le sue poesie nei merletti e nelle perle degli abiti da sposa cuciti tra i canali della Serenissima. C’è Tata Tandoori dal nome d’arte allacciato doppiamente alla professione legata al cliché migratorio delle ragazze e al cibo d’Oriente. Destinata a un matrimonio combinato con un uomo più grande di lei, si è riscattata ammaliando i clienti del suo ristorante e chi la chiama a casa propria a sentire la miscela di odori e sapori speziati di cucine lontane. C’è poi Saska Jovanovic Fetahi, ingegnera rom che rompe con tutti I preconcetti e anche lei costruisce coraggiosamente ponti per il suo popolo. L’affianca Jugana Sladic che doveva diventare magistrata, ma la guerra dei Balcani l’ha spinta in Italia, prima a Ferrara, poi, seguendo l’amore, a Rovigo dove ha aperto un’associazione con altre donne per la traduzione e l’insegnamento delle lingue.

C’è Sujita Iba Lama con colori portati a Roma dalla sacralità delle terre più alte del mondo. Viene dall’India la medica Nancy Miladoor che si è laureata in Italia, ma cura i suoi pazienti con la saggezza della medicina Ayurvedica. Margarita Perea arriva dal continente sudamericano, ora ha un negozio di sartoria, ma ha cucito per Valentino. Galia Citoroaga ha portato nella sua sartoria solidale la macchina da cucire appartenuta alla professoressa che aveva preso in cura quando aveva lasciato la sua casa in Moldova ed era arrivata a Napoli e alla quale si era ed è splendidamente affezionata.

Nel viaggio che noi facciamo tra le donne del libro conosciamo, sfogliandolo, Charito Basa, l’economista filippina che è andata via dalla sua terra a causa di Marcos e che qui è stata sempre dalla parte delle donne, non solo del suo Paese. La seguono le storie di vita di Danijela Babic con la sua radio, di Nadege Lele con il suo amore per l’Italia e la sua gente, filo di unione che cuce i suoi abiti tra Africa ed Europa, di Siham El Faragui che da piccola sognava un paio di pantaloni nuovi. Incontriamo la splendida Sujita Yba Lama venditrice di tessuti dal suo Nepal, e Tatiana Nogalic che mi ha aiutato tantissimo per la ricerca delle protagoniste del libro ed è un autentico angelo delle donne moldave in Italia.

Tatiana Nogalic

Orenada Dhimitri, albanese, è diventata una scrupolosa psicologa superando anche i traumi di un incidente stradale che le ha letteralmente distrutto una gamba. Poi Lidia Bolfosu, che era preside di una scuola di musica, è qui badante, ma anche creatrice di un corpo di ballo folkloristico richiesto in tutta Europa. Silvia Suman era insegnante universitaria, ma qui ha pulito gli uffici postali finendo, però, per aggiustare i loro computer e oggi lavora a Trieste con una delle sue lauree. Il meticciato delle sue danze ce lo fa conoscere Ashai Lombardo Arop, unica del libro a essere nata in Italia da un’unione mista. Ci spiegano ancora il mondo rom due giovani artiste: Ivana Nikolic, bosniaca e serba insieme, che insegna danze zigane, ma anche impegnatissima nel sociale, e Rebecca Covacu che nella vita ha conosciuto tanti campi rom, ma è riuscita ad andare a scuola e ora dipinge e suona in un’orchestra l’amato violino. La scrittura, tra i versi e la prosa, è l’appiglio alla vita di Rosana Crispin Da Costa, Valbona Jakova e Kerene Fuamba con la sua triste avventura di profuga che ha visto la mamma inghiottita dall’acqua del Mediterraneo dove erano naufragate insieme a tante altre vittime.

La storia di Kaoutar Badrane è quella di una giovane avvocata di origine marocchina che segna le seconde generazioni, ostinata nel suo progetto di vita, anche lei ponte e sostegno delle donne e degli uomini del suo popolo e di quello italiano, di cui si sente fortemente parte, quasi di sangue, che vuole conoscere e lavorare con il Marocco e tutta l’Africa affacciata sul mare nostrum. Ursula Gama Kipulu è venuta piccolissima dal Congo. Qui è rimasta intrappolata, come troppe volte è successo, nella rete della burocrazia che la fa unica straniera in una famiglia diventata tutta italiana, quando è arrivata la risposta positiva alla domanda di cittadinanza del padre. Ursula era maggiorenne da pochi giorni, così è rimasta l’unica esclusa nella sua famiglia dai benefici dell’automatismo implicito di estensione per coniuge e figli e figlie minori. La rabbia di Ursula scoppia in teatro, la sua grande passione. Il teatro si fa forza, dà vita, diventa catarsi e placa, curando.

Ashai Lombardo
Valbona Jakova
Ursula Gama

Storie, tutte queste trenta, interessanti perché avvincenti e appassionanti sono queste vite. Storie di donne, racconti di tante tra noi che hanno vissuto con la forza delle donne e della sorellanza che è in noi, che hanno saputo sostenersi da sole e cambiare i mondi che hanno frequentato.
L’incontro con Claudileia è stato subito amicizia. Abbiamo preso un caffè in via Merulana, la via dell’ingegnere Emilio Gadda e del suo Pasticciaccio. Si era appena trasferita da questa in un’altra zona della città e ancora non aveva finito di scrivere il suo penultimo romanzo, Anatomia del maschio invisibile (L’Erudita, 2015) su un marito “scoperto” nei suoi nascosti rapporti segreti con un trans. Oggi ha all’attivo un altro titolo emblematico Biografia non autorizzata di un marito narcisista (Youcanprint, 2019) che parla di nuovo di un coniuge risultato improvvisamente “sconosciuto” alla propria moglie, dopo trenta anni di ignara convivenza. Storie di famiglia che sono sempre al centro delle opere di questa scrittrice scopertasi tale dopo aver vinto un concorso “per sole donne” e, soprattutto, quasi esclusivamente straniere: Lingua Madre, creato da un’altra donna, la giornalista Daniela Finocchi, e legato da sempre al salone del Libro di Torino. Un trampolino eccezionale.

Premiazione al Concorso Lingua Madre, Torino, 2012

A Claudileia la passione per il diritto è scaturita dentro fin da piccola, appena si è resa conto dell’atrocità e delle ingiustizie che ogni giorno subivano i braccianti brasiliani, dei quali lei stessa era figlia, che per secoli si erano rotti la schiena nelle piantagioni di caffè o in quelle di canna da zucchero. E così, Claudileia Lemes Dias, che è arrivata in Italia, nel 2005, e oggi è una scrittrice affermata, ha guardato dentro le altre ingiustizie che tagliano fuori chi le subisce, spesso senza possibilità di appello.

In rosso lo Stato del Paranà, Brasile

Si è interessata ai problemi e ai diritti civili in senso più ampio, senza trascurare assolutamente quelli dei braccianti, cui tanto si era appassionata fin da ragazzina e che saranno argomento della sua tesi di laurea, all’Università cattolica di Paranà, nel sud del Brasile. Claudileia ha poi toccato altre realtà emarginate, e non solo quelle del suo Paese. Ha cominciato, da giurista (ma anche prima della laurea), a guardare le ingiustizie nei confronti degli omosessuali, le realtà in cui vivono i transessuali, sia in Brasile sia fuori dalla loro terra, dove spesso vanno a prostituirsi. Proprio sulla prostituzione transessuale, sulla famiglia spezzata dal silenzio dell’inganno Claudileia, tanti anni dopo questo suo primo interessamento, incentrerà il tema del suo romanzo. In Italia, con il master all’Università La Sapienza sulla Mediazione familiare, Claudileia ha continuato la stessa strada e si è specializzata nell’aiuto alle situazioni complesse e spesso psicotiche che nascono in seno alla famiglia quando, da luogo dell’amore, diventa malata e luogo della sofferenza. S’impegnerà su questo versante e farà entrare questi temi nei suoi libri. Il successo le darà, volta per volta, ragione. Crea un blog, L’arte di salvarsi, che è tradotto anche in spagnolo, dove le questioni psicologiche e familiari si discutono insieme via internet. Ma Claudileia, classe 1979, non aveva cominciato le scuole in tempo come le altre bambine. Nata a Rio Brilhante, al centro del Brasile, abitava con la sua famiglia in una fattoria lontano dalla strada principale, quindi lontana dagli autobus per la scuola. Così, come altre ragazzine (e ragazzini) venute al mondo lì, aveva dovuto aspettare il momento giusto. Aveva imparato a casa, dalle sorelle più grandi, a leggere e a scrivere. Quando finalmente aveva raggiunto l’età per arrivare in modo autonomo a piedi fino all’autostrada, aveva iniziato e recuperato alla grande e in fretta tutti gli anni perduti. Lo studio e la lettura, infatti, sono stati un punto di riferimento costante. Quando, appena sedicenne rimane incinta della sua prima figlia, oggi con lei in Italia, ed entra in conflitto con i suoi, va ad abitare a casa dei suoceri, nello Stato di Paranà, a ben 1.800 chilometri a sud del luogo dove era nata, ma riesce a conciliare casa, famiglia studio.A ventitré anni si laurea.

Cerimonia di Laurea di Claudileia

Vince una borsa di studio per un master all’università “La Sapienza” e sente esaudirsi due sogni culturali: lo studio della romanità e l’impatto straordinario con la città millenaria. Il diritto romano la affascina e studia l’italiano per poter vivere un giorno l’entusiasmo di trovarsi nei luoghi dove ha avuto origine. Dopo dieci anni di vita coniugale, fiaccata dalle menzogne e dai sotterfugi del marito, si separa. Alla figlia, che è ormai una ragazzina alle soglie dell’adolescenza, fa intensamente assaporare la bellezza del suo mondo di cultura giuridica e l’abitua all’ascolto delle discussioni intorno ai diritti civili che, giustamente, pensa siano dovuti a tutte e a tutti senza nessuna distinzione, non solo anagrafica, ma anche di genere e di scelte sessuali. A cavallo del periodo della preparazione della tesi, Claudileia fa anche altre cose che l’interessano e la coinvolgono molto come lo stage in cui partecipa attivamente, con un gruppo molto combattivo e ancora attivo in Brasile, sulla parità dei diritti degli omosessuali. È il 2003, il momento in cui nel parlamento brasiliano si sta discutendo una legge che contempli i diritti degli omosessuali: dalle unioni civili, alle adozioni, alla parità. Ma l’Italia ormai l’aspettava! Claudileia crede che questo sarebbe stato un viaggio intenso, interessante, ma lungo tanto quanto la durata del master. Così è tranquilla e decide di lasciare la piccola Lisa a casa dei suoi genitori, con i quali si era ormai rappacificata. Porta con sé anche un’immagine molto romantica dell’Italia. Ha in mente le parole delle canzoni, cantate spesso a memoria, dei suoi artisti preferiti: Laura Pausini ed Eros Ramazzotti. I loro testi, com’è naturale, l’avevano aiutata anche in una più immediata acquisizione della lingua. Comincia il suo cammino nella capitale italiana, inconsapevole che qui troverà il suo destino: in un Paese e in una città dove sarà accolta e amata per la vita. Nei primi quindici giorni va ad abitare all’ostello studentesco di Ponte Milvio, poi trova una sistemazione più stabile in un appartamento sulla via Prenestina, non troppo lontano dal centro della città e dalla prima università romana. Deve fare in fretta, come tutti gli stranieri, a mettere in ordine i documenti. Così il giorno dopo il suo arrivo a Roma va subito in questura. In fila cominciano le solite quattro chiacchiere con chi è ugualmente lì in attesa del proprio turno. In coda con lei c’è anche un ragazzo brasiliano che le racconta di essere da parecchio tempo in Italia e le dice che spesso va, con altri coetanei, italiani e stranieri, a offrire servizio di volontariato con la Caritas romana, per distribuire i panini ai poveri e ai clochard della stazione Termini. Affascinata dal suo racconto, Claudileia inizia ad andare con lui già dalla sera successiva. Proprio all’inizio della sua vita nella capitale italiana tanto sognata, si trova così a incontrare un folto gruppo di nuovi amici, tutti volontari della Caritas. Nasce la simpatia con un ragazzo, un ingegnere che per lavoro gira un po’ il mondo, un ragazzo che le appare un po’ timido, o almeno le sembra tale. La simpatia è reciproca. Claudileia appena arrivata, ha già conosciuto il suo futuro marito, la persona che la accompagnerà sempre a ogni premio letterario, a ogni presentazione di un nuovo libro. Che la incoraggerà a ogni concorso da fare, che ascolterà sempre tutti i suoi dubbi facendosi primo lettore oltre che amico fidato.

Claudileia Lemes Dias

Sarà stato il clima italiano, ma Claudileia da subito sente il bisogno di scrivere. Un bisogno nuovo per lei, con cui prima non si era mai confrontata, a parte la serie di articoli, esclusivamente di carattere giuridico, scritti in Brasile. Pubblica in poco tempo un libro di racconti sull’immigrazione: Storie di extracomunitaria follia. I racconti certo non si discostano da ciò che ha sempre interessato Claudilea: parlano, uno a uno, di un’umanità “respinta e marchiata col ferro e col fuoco dello stereotipo”, dunque di un’umanità dolente che urla il suo diritto alla vita.
Claudileia vince moltissimi premi: Lingua Madre, il premio Sabaudia cultura, il Premio Internazionale europeo e ancora altri, ponendosi nella rosa dei finalisti con i suoi successivi romanzi, fra cui Nessun requiem per mia madre, una storia stridente, narrata in prima persona dal terzo dei figli della protagonista, iniziata a raccontarsi nel giorno della morte di questa madre arida e dispotica. Una donna, questa sua protagonista che si racconta dal giorno della sua scomparsa, dispotica verso i tre figli maschi che annulla, fino però a incontrare l’opposizione, appunto, della voce narrante, del terzo figlio che le porterà in casa una ragazza brasiliana. Sarà la messa in discussione del suo, fino allora, illimitato potere. Torna nella scrittura di Claudileia la sua testimonianza, atavica, di figlia di braccianti senza diritti della terra brasiliana, che descrive l’esistenza, sconosciuta, degli uomini e delle donne senza nome che non sanno neppure chiedere aiuto e hanno bisogno di un’alleanza. L’alleanza che Claudileia ha sempre offerto prima con il cuore di ragazza, poi dalla sua ottica di giurista e quindi attraverso il forte mezzo della scrittura. «Se bastasse una bella canzone a far piovere amore si potrebbe cantare un milione, un milione di volte basterebbe già… Se bastasse una vera canzone per convincere gli altri basterebbe cantarla più forte visto che sono in tanti. Fosse così!».
Davvero: fosse così e avessero ragione le parole di Ramazzotti, il cantante che si era portato nel cuore dal Brasile, Claudileia Lemes Dias scriverebbe che il mondo è finalmente ormai cambiato.

In copertina: Ambili. Foto di Simone Conti.

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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