In un’intervista rilasciata il 24 gennaio 2004 a Gabriel Mesa per la rivista Fantastic Metropolis –interamente consultabile a questo link e in parte riportata nell’antologia Venti Galassie, Urania Millemondi 44 (luglio 2007) – Angelica Gorodischer così dice di sé stessa: «All’età di trent’anni, il periodo peggiore per fare queste cose, dato che avevo un marito, tre bambini piccoli, una casa, un giardino, un gatto, e un lavoro esterno (come bibliotecaria), mi dissi: “Adesso o mai più” e iniziai a scrivere da professionista. Vinsi un concorso per romanzi gialli, e un altro concorso con un libro di racconti brevi… E un giorno scoprii la fantascienza, e mi dissi: è questo che voglio fare. E ci arrivai, nel corso di quattro o cinque libri. Finora ho pubblicato venti libri, non necessariamente tutti di fantascienza, ma il marchio che la SF lascia su un’autrice è molto profondo, e chiaramente non si può dire che io sia una scrittrice realista».
Cosa ci dice questo passo? Anzitutto che la stessa autrice si considera una narratrice dell’immaginario non realista, e che in quest’ambito ha ottenuto i riconoscimenti più importanti, culminati con il successo planetario del romanzo ciclico – in realtà una sequenza di racconti collegati tra loro, un po’ come nel celebre City dello scrittore statunitense Clifford D. Simak – Kalpa Imperial, tradotto in molte lingue (in inglese dalla celebre Ursula K. Le Guin) e giunto alla fine anche da noi, seppure con molto ritardo e dopo la scomparsa di Gorodisher.
Una narratrice dell’immaginario nel solco di una tradizione che viene da lontano, da Adolfo Bioy Casares e dalla moglie di questi Silvina Ocampo, da Julio Cortazàr e dall’argentino poi divenuto italiano di elezione Juan Rodolfo Wilcock.
Angelica Gorodischer nasce nel 1928 a Buenos Aires, ma si trasferisce bambina a Rosario, la città che costituisce lo sfondo di gran parte della sua narrativa, fantascientifica e non. Si fa notare nel 1964 in occasione di un concorso organizzato dalla rivista Vea y Lea, ottenendo il secondo premio con il racconto poliziesco En verano, a la siesta y con Martina. Nel 1967 pubblica il suo primo lavoro di rilievo, il fantascientifico Opus dos, seguito da Las pelucas (1969) e dal ballardiano Bajo las jubeas en flor (1973): in qualche modo, durante la dittatura di Videla, l’autrice sfugge alla censura, probabilmente perché le sue narrazioni sono inserite «in un genere letterario ritenuto (a torto) avulso dalla realtà» (così Loris Tassi nella bella prefazione all’edizione italiana di Kalpa Imperial, edita nel 2022 da Rina Edizioni).
Non è comunque un caso che l’opera più nota di Gorodischer, dalla scrittura densa e complessa, non priva di immagini forti quasi fino a essere oltraggiose, abbia visto la luce solo dopo la fine della dittatura, in un tempo (1985) successivo a quello dei titoli già citati.
E veniamo a Floreros de alabastro, alfombras de Bokhara (pure dato alle stampe nel 1985). Qui non siamo nell’ambito privilegiato dell’autrice, che torna, per una volta, alle sue origini: il poliziesco avventuroso, lontano sia dalla violenza – delle vicende come del linguaggio – del genere “hard boiled”, sia dalle inquietudini chiaroscurate e prive di lieto fine del “noir”.
Siamo in un ambito per così dire più gentile, ben reso dalla traduzione di Alessandra Riccio, efficace e precisa; nel lancio di presentazione a cura della casa editrice lo si definisce, giustamente, un «divertente giallo» in cui la protagonista «matura ma ancora piacente e in forma, si caccia in situazioni rischiose ma anche molto divertenti. Duecento pagine lievi e molto piacevoli da leggere». Una pausa di levitas in una carriera letteraria in genere virata su una certa gravitas: ne sono esempio alcuni racconti pubblicati anche in Italia: Gli embrioni del violetto (nell’antologia Venti galassie, già citata) e La sposa perfetta, nella splendida antologia Sisters of the revolution curata nel 2015 da Ann & Jeff Vandermeer e apparsa in Italia nel 2018 per la casa editrice Nero con il titolo Le visionarie.
Della carica femminista e libertaria dell’autrice c’è comunque traccia anche in questo poliziesco: sicuramente nella scelta della protagonista, che non è un investigatore maschio alla Raymond Chandler o alla Dashiell Hammett, ma neppure una tranquilla signora borghese per bene come Miss Marple: la «Signora», che resterà senza nome, ha un’età compresa tra i cinquantacinque e i sessant’anni, ha quattro figlie – tutte sposate – e sta per diventare nonna; viene contattata da un antico compagno di avventure (resistenza contro i nazisti? forse, non è molto importante), sicuramente non si tira indietro nel compiere azioni rischiose e illegali, e tuttavia non si mette in gioco per un ideale. Ma per soldi, molti soldi.
La prima parte, nella quale si viene introdotti nella ramificata famiglia della protagonista e nelle vicende delle quattro figlie – Inés, Judith, Flavia e Atala – dei loro mariti e della cameriera Zulema, è leggera, forse fin troppo leggera; poi appare il «committente», il dottore in scienze politiche Marcelo J. Kerr, che evidentemente conosce bene la «Signora» e ne conosce capacità, abitudini e interessi e la convince a recarsi in Messico per spiare un milionario del luogo. Qui compaiono altri personaggi: tra questi il gigolò gay Rolito e il suo compare Alfredo e un «tipo estremamente figo» di nome Victor.
Come in ogni poliziesco che si rispetti, le persone non sono sempre quello che sembrano, ma non è dato rivelare altro senza colpevolmente spoilerare la trama.
La parte più interessante è certamente quella centrale: la dettagliata narrazione in prima persona, quasi in forma di diario, della detenzione della «Signora», in una situazione senza spiegazione e senza comunicazione alcuna con la carceriera Conchita, ci riporta a una Gorodischer più femminista che femminile. E alla pagina 141 dell’edizione italiana c’è un singolare riferimento ironico, quando uno dei protagonisti si rivolge alla «Signora» dicendole: «Lei ha letto troppa fantascienza».
Chissà che non abbia pensato la stessa cosa chi ha scelto di presentare al pubblico italiano Angelica Gorodischer (il che è apprezzabile e condivisibile), proponendo però un testo poliziesco e non fantascientifico… Personalmente sono convinto che la letteratura dell’immaginario non realista sia ancora, ingiustamente, relegata all’ultimo posto tra le cosiddette scritture di genere, e che in questo ambito la science fiction sia oggetto di un pregiudizio ancora più pesante. Basti a titolo esemplificativo riportare un passo della scrittura di Gorodischer in ambito fantastico, tratto dalla nona storia delle undici che compongono il più volte citato Kalpa Imperial: «[…] il grasso Signor Bramaltariq se ne stava rigido, disperato, a guardare il ragazzo. La sua faccia pareva gonfiarsi e i lineamenti gli tremavano e si disfacevano come quelli di un cadavere giustiziato molto tempo prima. E le braccia e le gambe del ragazzo riempivano il salone di svolazzi, cifre, sogni, ricordi, colpa, fame e febbre. Due delle donne si trascinavano sul pavimento, una terza cadde sui cuscini con gli occhi chiusi e la lingua penzoloni. Il Signor Bramaltariq sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico. Il commerciante batté le mani, fece segno al ragazzo di seguirlo e se ne andarono. La seconda volta pretese che le donne non fossero presenti: – Ti privano di metà del piacere – disse al Signor Bramaltariq. – Te lo succhiano via, se lo bevono, te lo divorano. È meglio che sia solo tu a guardare».

Angélica Gorodischer
Vasi di alabastro, tappeti di Bukara
Iacobelli, Roma, 2023
pp. 172
In copertina: opera di Barbara Bertolin.
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Articolo di Roberto Del Piano

Bassista (elettrico) di estrazione jazz da sempre incapace di seguire le regole. Col passare degli anni questo tratto caratteriale tende progressivamente ad accentuarsi, chi vorrà avere a che fare con lui è bene sia avvertito.