Le prime testimonianze scritte del mondo cinese, giunte a noi, sono le Memorie Storiche (Shiji) scritte da Sima Qian, riconosciuto a oggi come il primo storico cinese, e risalgono all’anno 1000 a.C.; ci narrano avvenimenti che sono avvenuti in quegli anni, mentre le ricerche archeologiche risalgono a epoche certamente anteriori e proprio queste ci permettono di conoscere le abitudini alimentari della civiltà cinese. Come altrove nel mondo anche qui le popolazioni di cacciatori e raccoglitori passarono progressivamente a una vita stanziale che è stata definita l’inizio della «rivoluzione neolitica». Le culture evidenziate sull’insieme dell’attuale territorio cinese sono quelle insediate nei bacini fluviali, del Fiume Giallo a Nord, del Yangzi a Sud, e testimoniano un orientamento agricolo cerealicolo incentrato sulla coltura del miglio (Setaria italica) e del panico (panicum miliaceum) per ragioni climatiche a Nord, e a Sud le colture erano di riso (Oryza Sativa).

Ovviamente, sono state trovate altre tracce di piante alimentari risalenti tra il 4800 e il 3600 a.C., come il cavolo cinese (Brassica pekinensis), la senape cinese (Brassica juncea) e la zucca, alimenti che erano importanti risorse alimentari, ai quali si aggiungono la selvaggina e i pesci; tra gli animali domestici, i più diffusi erano il maiale e il pollame, mentre la pecora e il bue erano più rari. Gli animali, cacciati o allevati, però erano anche offerte rituali agli dei e una volta terminata la cerimonia venivano consumati dai partecipanti. Il ricco materiale rinvenuto all’interno delle tombe, composto da vasellame in terracotta e strumenti, dimostra che l’alimentazione nell’antica civiltà cinese era fortemente a base cerealicola: il miglio e il riso richiedevano una semplice decorticazione in un mortaio per poter essere cotti, l’attrezzo di cottura più utilizzato era il ding, un vaso di terracotta a tre piedi presente maggiormente nel neolitico che consentiva la cottura a vapore (taozeng) su un focolare a fiamma viva, in seguito perfezionato con il yan, composto da due recipienti cui la parte inferiore conteneva l’acqua ed era separata da una sorta di griglia da quella superiore.
I rinvenimenti di pentolame utilizzato per la cottura a vapore, sembrano confermare che l’Asia Orientale sia uno dei luoghi di origine di questo tipo di cottura, primato condiviso con l’Africa del Nord e l’Africa Sub-sahariana.
Oltre ai cibi, elementi caratterizzanti dell’antica civiltà cinese sono le libagioni, cerimonia dello spargimento di vino offerto agli dei, e la consumazione rituale di bevande alcoliche a base di cereali; la produzione di birra, il consumo di riso e miglio occuparono nell’universo agricolo un posto centrale sia sul piano materiale che simbolico. Il prodotto derivato da una fermentazione era facilmente deperibile per cui occorreva preservarlo con una certa accortezza, per questo i vasi e le bottiglie destinati a questo utilizzo erano elaborati con una fattura molto accurata, si trattava per lo più di recipienti panciuti con coperchio. I più antichi gui provengono da Shandong; successivamente si sono diffusi in tutte le zone settentrionali e in particolare a Jiangsu e Anhui si trova la più grande varietà di vasi per bere; presentavano una varietà di forme e di decorazioni realizzate con una pasta tanto sottile da essere definiti «coppe gusci d’uovo». La terracotta e la ceramica, però, non sono gli unici materiali utilizzati dagli antichi cinesi per la produzione di vasellame e contenitori, infatti le ricerche archeologiche hanno evidenziato che il materiale utilizzato per le offerte alle divinità era il bronzo, utilizzato proprio per quella che è stata definita «cucina degli dei» o «cucina sacrificale».

La legge ebraica scritta è contenuta nei cinque libri di Mosè, la Torah, consegnati dallo stesso Dio sul Monte Sinai; la Torah è la principale fonte di informazione sulle origini storiche del popolo ebraico e sulle norme religiose che regolano la vita degli ebrei. Tra le varie norme, ci sono minuziose indicazioni circa l’alimentazione. Le scelte alimentari sono fondamenti dell’identità culturale e religiosa ebraica: nel libro sacro sono elencati gli alimenti proibiti e permessi, animali puri e immondi, oltre ai modi di preparare e mangiare i cibi raccomandati o censurati. Il complesso delle disposizioni religiose riguardanti l’alimentazione è detto Kasherut che significa adeguatezza, il cibo commestibile viene denominato Kasher (adatto alla consumazione). Per l’ebraismo il sangue è la sede della vitalità, dal momento in cui tutto ciò che si mangia entra nel sangue, mangiare cibi impuri renderebbe la persona impura. Gli animali puri sono i ruminanti provvisti di zoccolo fesso (la cosiddetta unghia fessa) come la mucca, il bue, la pecora e la capra; i volatili da cortile come le galline, i tacchini, le anatre, le oche e i pavoni; sono proibiti il cammello, la lepre, il coniglio, il maiale; i pesci puri sono tutti quelli forniti di pinne e squame e vivono nei mari, nei fiumi e nei laghi, gli impuri sono tutti quelli che non hanno pinne e squame, crostacei e molluschi. Di ogni animale proibito, ovviamente, ne sono proibiti anche i prodotti che ne possono derivare.
Al di là della purezza dell’animale da consumare, per gli ebrei, così come per i musulmani, è importante la macellazione, perché il sangue non si deve consumare e non deve contaminare la carne macellata: la macellazione (shechitah) è una tecnica rituale che prevede delle norme precise: l’animale viene ucciso con un coltello affilato, senza difetti, che permette di eseguire un unico taglio alla gola, provocando l’immediata morte; l’animale, quindi, viene perfettamente esaminato per valutare le condizioni di salute, dopo la carne viene immersa nell’acqua e poi cosparsa di sale su un piano inclinato forato per non più di un’ora; il fegato, i polmoni e il cuore vengono trattati direttamente sul fuoco per renderli kasher. Il latte e i derivati sono consentiti ma non possono essere consumati insieme alla carne, bensì con un intervallo di sei ore. Questa attenzione è rivolta anche agli utensili impiegati nella preparazione e nella consumazione ed è necessario avere due set di posate, così di piatti e di pentolame. Gli animali proibiti sono simboli di vizi, gli animali permessi rappresentano le virtù: ruminare sta per ricordare, lo zoccolo rappresenta la separazione e la distinzione morale; le squame e le pinne dei pesci la resistenza e l’autocontrollo.
L’attenzione posta alle carni, è identica anche per le verdure che devono essere sottoposte a un lavaggio fatto con cura. Nel periodo della Pesach, otto giorni prima della Pasqua ebraica, è vietato mangiare cibi lievitati, il lievito simboleggia un istinto violento, qualcosa che si gonfia ed esplode. Poiché questa festa è una celebrazione dell’impegno per la libertà, non può esserci traccia di violenza. Probabilmente l’uomo perfetto della Torah era vegetariano, come nell’Eden e astemio come il Nazireo, istituzione religiosa presso gli Ebrei.
Le tradizioni culturali che hanno caratterizzato la civiltà dell’Iran preislamico hanno contribuito a una ricchezza letteraria, religiosa, sui consumi alimentari e sul significato che veniva attribuito al cibo e alle bevande. Purtroppo, la documentazione epigrafica non offre informazioni utili alla ricostruzione dell’alimentazione della corte achemenide né dei funzionari o del popolo comune e dunque è necessario ricorrere alle cosiddette Nebenüberliferungen, ovvero «le tradizioni parallele», in particolar modo quelle greche ed elamiche, concernenti l’Impero persiano.

Diversi autori greci riportano descrizioni relative ai sontuosi banchetti offerti dai sovrani persiani e al complesso cerimoniale che li accompagnava, anche se non è facile valutare l’esattezza di tali fonti. Incredibile risulta la grande varietà di cibi presenti a corte, testimoniata sia da una lista per il pranzo e la cena del sovrano conservata nell’opera di Polieno (Gli Stratagemmi – 4, 3, 32; cfr. Lewis, 1987) e che sarebbe stata vista dallo stesso Alessandro Magno nel palazzo di Persepoli, su di una colonna bronzea dove era incisa insieme alle leggi stabilite da Ciro. Nel lungo elenco riportato da Polieno si trova farina di grano, di prima scelta, e farina di seconda e terza qualità, grano macinato, orzo di prima, seconda e terza qualità, fiocchi d’avena, cardamomo, semi di senape; tra le carni pecore, buoi, cavalli, oche ingrassate, oche piccole, tortore, agnelli, gazzelle; inoltre latte fresco, latte acido addolcito, aglio, cipolle, erba medica, succo di silphium, semi di cumino, succo di mele, conserva di melagrana acida, uva passa nera, fiori di aneto, semi di senape, sesamo di pura qualità, mosto di uva, rafano bollito in salamoia, capperi in salamoia per la preparazione di salsa acida, sale, semi di sedano, olio di sesamo, olio estratto dal latte (forse burro chiarificato), olio di terebinto, olio d’acanto, olio di mandorle dolce, mandorle dolci secche, vino di palma e di uva.
Lo storico riferisce che il re distribuiva alle truppe un pasto a base di grano, di orzo farina di grano finissimo, fiocchi di avena. Il fasto straordinario dei banchetti viene confermato anche da Eracleide di Cuma (in Ateneo, 4,145a-146a), secondo il quale ogni giorno sarebbe stato abbattuto un centinaio di animali come cavalli, buoi, oche, galli e struzzi d’Arabia. Gli ospiti del Gran Re non potevano pranzare alla sua stessa tavola, tranne la madre e la moglie, ma in una stanza adiacente a quella del sovrano così da rimanere invisibile ai loro occhi, mentre il re vedeva i suoi ospiti attraverso un velo.
Altre informazioni sono contenute in documenti amministrativi, nelle tavolette elamiche rinvenute nel sito delle Fortificazioni di Persepoli, dove sono trascritte le razioni quotidiane e mensili o diversa periodicità di singoli o di gruppi di funzionari e di maestranze. L’orzo era l’alimento base ed era consumato arrostito, ma era utilizzato anche per la fermentazione e per la produzione di birra; in queste tavolette compaiono anche vari tipi di grano usati per la preparazione del pane, il vino, vari tipi di frutta, pere, mele, fichi, datteri, sesamo, pistacchi, more, noci. Per quanto riguarda la carne, pecore, capre e il latte da esse ottenuto, inoltre pollame di vario genere; purtroppo non vi sono informazioni utili per ricostruire le ricette e le modalità di preparazione delle pietanze.
Immagini da AA.VV., “Atlante dell’alimentazione e della gastronomia”, I vol. “Risorse, scambi, consumi”, ed. UTET, Torino 2004.
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Articolo di Giovanna Martorana

Vive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo.