Elogio della maternità

In generale possiamo affermare che, quando si riflette sull’esistenza femminile e sulla sua compiutezza, il punto cardine prospettato nelle nostre menti è la maternità. Lo pensiamo, nonostante si possa classificare tale considerazione comune come un bias cognitivo. Questo errore di valutazione si compie non solo a danno delle donne, che possono autodeterminarsi indipendentemente dalla maternità, ma anche a danno di ogni individuo poiché neghiamo che procreare sia divenuto oggettivamente svantaggioso per chiunque.

Ogni persona che sceglie di non avere figli e figlie conosce i pregiudizi e le critiche cui può essere sottoposta a causa di questa decisione. Comprendere perché non abbiamo figli o figlie, e non ne vogliamo, dovrebbe essere facile per chiunque invece, in pratica, resta inaccettabile. Sono poche le persone effettivamente coscienti, da principio, di cosa accadrà alla loro vita quando diventeranno genitori e genitrici. Le valutazioni diffuse circa la genitorialità sono quasi sempre edulcorate, crediamo che diventare genitore o genitrice sia la scelta necessaria e sublime da compiere per celebrare l’esistenza dell’essere umano.

Nel caso in cui figli e figlie si vogliono, pur tentando tutto il possibile per averle ma senza successo, il senso di inadeguatezza e la crisi d’ identità emergono e ci pervadono. Forse per i maschi adulti risulta meno difficile emanciparsi dal ruolo di ‘padre mancato’ o di ‘persona incapace di procreare’. Se è possibile procreare, sono le persone anatomicamente e fisiologicamente dotate di utero a farsi carico delle gravidanze. Quanto ci costa, non solo fisicamente, la gravidanza? Durante la gestazione il corpo cambia, si trasforma e si deforma. Quasi sempre quello che ne risulterà non ci piacerà. Poi, il parto: che sia naturale o cesareo, nessuna sarà esente dal provare il peggior dolore fisico. Non dimentichiamo i postumi del parto e l’allattamento: niente affatto piacevoli.

Il nostro corpo e la nostra identità saranno stravolti senza alcuna possibilità di ripensamento. Neanche quelle donne che identificano la perfezione fisica con la gravidanza saranno soddisfatte poiché non resteranno gravide per sempre. Se alcune riusciranno ad accettare e abbracciare questa esperienza, altre se ne pentiranno per sempre. Se alcune ne esibiranno i segni come un trofeo, altre rimpiangeranno il corpo del passato a colpi di chirurgia e cure estetiche costose, superflue, dolorose, purtroppo vane. Persino chi non ha portato avanti la gestazione e partorito probabilmente manifesta fisicamente e psicologicamente i segni della stanchezza cronica e dello stress causati dalla genitorialità.

Quando si decide di mettere al mondo un essere umano lo si fa quasi sempre con ottime intenzioni, ma le buone intenzioni non servono a prevedere come andranno effettivamente le cose. Figli e figlie non sono che la proiezione delle nostre aspettative. Siamo persone così egocentriche e presuntuose da pretendere che ogni nostra creatura risulti perfetta, cioè a nostra immagine e somiglianza. Nella maggior parte dei casi la perfezione estetica, fisica e morale non resterà che un’utopia. Figli e figlie puntualmente realizzeranno vite completamente diverse da quelle che avevamo immaginato e plasmato per loro, se non diametralmente opposte.

Prima di decidere di procreare in coppia è bene ricordare che matrimoni e unioni civili diminuiscono mentre divorzi e separazioni aumentano. Riprodursi non sembra aiuti ad invertire questo fenomeno. Figli e figlie potranno essere brandite come scudi e/o come armi sia in caso di unione sia in caso di separazione. Potrebbero essere la causa della nostra infelicità e insoddisfazione, che si resti insieme o meno all’altro genitore.

Conoscere una persona che avrebbe tutte le carte in regola per diventare un (grande?) amore, o anche solo l’avere il desiderio di trascorrere una serata romantica o una gita fuori porta per suggellare un momento e per evadere dalla monotonia risulterà impossibile a causa di una febbre improvvisa, della babysitter irreperibile, della partita di pallone o della recita scolastica a cui proprio non possiamo mancare. Dopo la prima, la seconda e la terza buca, persino il più grande degli amori finirebbe per arenarsi. Le nostre relazioni saranno poste a sacrificio perenne sull’altare della genitorialità. Come praticare sesso che, se prima è una delle tante fondamentali componenti della vita, dopo diventerà raro come vincere alla lotteria: uno su mille ce la fa. Ogni momento, anziché essere impiegato per il sesso, sarà impiegato per preparare la pappa, fare il bagnetto, la lavatrice, cambiare il pannolino, cullare, coccolare, aiutare nei compiti e nello studio, organizzare la festa di compleanno, fissare il colloquio con le maestre o, quando va proprio bene, dormire. Di certo non fare sesso, quasi mai.

Se alla comune coppia, costituita da genitori eterosessuali cittadini italiani, sostituiamo genitore o genitrice single, coppie omosessuali, famiglie allargate o poliamorose, immigrati senza cittadinanza, le difficoltà quotidiane che incontreremmo, causate dall’inadeguatezza e dall’arretratezza politica e sociale, emergono in tutta la loro evidenza. Potrebbe succedere di dover lottare tutta la vita per tentare di vedersi riconosciuta la responsabilità genitoriale con i diritti derivanti. Ogni genitore o genitrice, solo quando diventa tale, realizza la mancanza di supporto sociale e politico allo svolgimento del suo compito. La società educante, teoricamente auspicata per ogni essere umano, viene all’atto pratico intesa come la totale dedizione e alienazione di madri e padri per la progenie. In Italia, madri e padri dovranno farsi carico della prole sotto ogni punto di vista. Potremmo confrontare il conto in banca di chi ha uno, due o tre discendenti con quello di chi non ne ha. A parità di stipendio e di spese personali, è facile intuire quale sarà potenzialmente il conto in rosso.

Chi ha figli e figlie pagherà sempre per loro di tasca propria e, di conseguenza, l’avere minore disponibilità economica comporterà la rinuncia a vivere esperienze personali altrimenti possibili e a rivolgere attenzioni di risparmio a ogni centesimo.

Pensiamo, inoltre, quanto sia difficile garantire la buona educazione della prole. Lavoratori e lavoratrici, che trascorrono fuori casa tutto il giorno, non possono fisicamente e mentalmente seguire come dovrebbero bambine e bambini nel percorso di educazione, crescita e formazione. Per educare serve tempo, investito e impiegato proporzionalmente all’importanza del compito da svolgere. E cos’è che, indipendentemente dalla presenza di figli e figlie, inseguiamo perennemente, affannosamente e senza successo, a causa della sua eterna mancanza? Impossibile crescere una generazione di fenomeni investendoci solo una o due ore al giorno e i fine settimana. Di conseguenza, la piaga delle dimissioni di genitori lavoratori non va a ridursi. Il momento in cui ci troveremo a un bivio per scegliere tra carriera o genitorialità sembra inevitabile. Il mondo del lavoro non è affatto flessibile né conciliante: essere genitore, oltre che lavoratore, è ancora considerata solo una colpa e mai un merito; è una scelta sciocca fatta a discapito della produzione. Se, anziché di genitore lavoratore parliamo di genitrice lavoratrice, domandiamoci quale ricatto morale risulta altrettanto efficiente con una donna se non quello di ricordarle il suo stato di madre. Quando si vuole impedirle di svolgere determinati ruoli professionali o di ricoprire ruoli sociali diversi da quelli di cura del nucleo familiare basta farle presente che una buona madre non potrebbe aspirare a nulla di meglio se non a essere proprio quello e che, l’essere tale, esclude la possibilità di poter essere anche altro.

Quasi tutte le madri si sono sentite o sono state bollate come inadeguate ogni volta che hanno manifestato il desiderio di vivere una vita indipendente e indipendentemente da quella di figli e figlie. Mentre ogni donna fantastica sulle innumerevoli possibilità di espletare il ruolo di madre, al resto del mondo pare ovvio che, dal momento stesso in cui si diventa madre, la propria esistenza debba ruotare attorno a quella della prole. Il diritto di esistere come donna cessa là dove comincia il diritto di figli e figlie di pretendere che l’esistenza materna sia tutta per sé.

Potersi occupare di altro resta ancora una prerogativa maschile. La madre potrà assentarsi solo dopo aver assicurato un’adeguata cura, alternativa alla propria, socialmente accettabile ed economicamente sostenibile (dato che dovrà quasi sempre autofinanziarsela). E, quasi sempre, la donna-madre sarà sostituita da un’altra donna-tata.

La genitorialità pone fine alla nostra libertà d’azione e di pensiero. Da quando diventiamo madre o padre, non possiamo più né essere né comportarci come meglio crediamo senza doverne dare conto. Il passaggio da tutto quello che eravamo a genitore o genitrice non avviene, come si può credere e sperare, in maniera automatica e atraumatica. Quando abbiamo creature che ci osservano e ci giudicano, ci si chiede continuamente se tutto quello che facciamo e diciamo comporterà un buon risultato. Siamo le prime e fondamentali persone con cui nuovi esseri umani si interfacciano. L’esempio che offriamo alla prole viene continuamente messo in discussione dal nostro senso critico ed essere esenti da errori, sia di valutazione sia di azione, è praticamente impossibile. Con il tempo si saprà se i ruoli, le opere e le parole sono state adeguate e se hanno fornito un valido contributo all’equilibrio esistenziale della prole. In caso contrario, non faremo che trascorrere il resto dei nostri giorni a rimuginare e a ripercorrere il percorso educativo lastricato di errori per tentare di porvi rimedio. Ogni erede ci identificherà come causa dei suoi turbamenti emotivi. Se anche non dovessimo esserne noi la causa, sarà difficile non sentirsi comunque in colpa e impotenti per qualsiasi tipo di problema o conflitto che non saremo riusciti a risolvere.

È innegabile che crescere persone in un Paese collocato nel settentrione del globo avrà un costo ambientale maggiore rispetto a quello che comporterebbe crescere esseri umani in un Paese collocato globalmente a meridione. Il nostro sistema economico (il capitalismo, attuale neoliberismo), che governa il nostro stile di vita, non è compatibile con la salvaguardia e la prosecuzione della vita umana nel mondo che abitiamo. Ciò significa che, perseverando nel consumare ogni risorsa e nel causare la distruzione di ecosistemi in nome della continua crescita cui il sistema conduce ininterrottamente, riprodurre altri esseri umani che perpetuano il nostro comportamento non solo non ha senso ma significa anche sottoporli, scientemente, a sofferenze indicibili che noi attualmente cominciamo solo a intuire. La fine ormai si avvicina sempre più e, se saremo fortunati, noi non vi assisteremo. Se avremo figli e figlie quasi certamente toccherà a loro fare i conti con questa brutta storia.

La vita comporta la morte. Ogni genitore e genitrice sa che, un giorno, verrà seppellita dalle proprie creature. Ognuno sa che potrebbe verificarsi anche il contrario e cioè sopravvivere alla propria figlia o figlio. Nel caso, saremo travolti da una tortura infinita causata dal dolore straziante, l’incompatibilità con ogni senso e ragione di vivere caratterizzerà la nostra esistenza. Sopravvivere a figli e figlie è il dolore più grande che potremmo mai trovarci ad affrontare, ma possibile.

Questi elencati sono solo alcuni dei motivi che potrebbero indurci a non procreare. Sono certa che a voi ne siano venuti in mente molti altri: quando e con chi ne possiamo discutere?

In copertina: opera di Barbara Bertolin.

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Articolo di Michela Di Caro

Originaria di Matera, vivo a Firenze da 15 anni. Studente, femminista, docente di sostegno di Scuola secondaria di II grado, sono fisioterapista libera professionista e mamma di tre piccole donne.

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