Non sono bastate due guerre mondiali nella prima parte del 1900 per convincere Stati e popoli che i diritti umani spettano ad ogni persona per il fatto stesso di essere venuta al mondo in ogni parte del Pianeta e che bisogna vigilare e attivarsi perché siano effettivamente riconosciuti. Non sono bastate Dichiarazioni, in primis quella Universale dei diritti umani del 10 dicembre 1948 e Convenzioni internazionali che li proclamassero, come pure l’articolo 2 della nostra Costituzione. Battersi per il loro riconoscimento dovrebbe essere un dovere di ogni cittadino e cittadina riconosciuto e premiato dai Governi, soprattutto ma non solo da quelli che si definiscono democratici e comunque da tutti quelli che hanno ratificato la Dichiarazione Universale dei diritti umani. C’è proprio un articolo, il 30, l’ultimo, di questa Dichiarazione, che così recita: «Nulla nella presente Dichiarazione può essere interpretato nel senso di implicare un diritto di un qualsiasi Stato, gruppo o persona di esercitare un’attività o di compiere un atto mirante alla distruzione di alcuno dei diritti e delle libertà in essa enunciati.» Inoltre, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Difensori dei diritti umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 53/144, 8 marzo 1999, esplicita diffusamente il diritto/ dovere di Stati, individui, gruppi e ong, di promuovere, individualmente ed in associazione con altri, e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale. Purtroppo, non esiste una condivisa e diffusa pedagogia dei diritti umani, soprattutto nelle cosiddette democrazie, anche se quando si usa questo termine ci si riferisce a realtà molto diverse tra loro. In Italia se ne parla, quando se ne parla, a scuola nelle ore di alcune/i volonterose/i docenti, oppure in interventi spot in cui si incontrano le associazioni a difesa dei diritti umani, incontri che lasciano il tempo che trovano se non sono ripresi all’interno delle lezioni di tutti/e i/le docenti dei consigli di classe ogni volta che si presenti l’opportunità di farlo. E i media ansiogeni in questo non aiutano. Le autocrazie hanno cura di diffondere le loro “dottrine”. Una “dottrina” della democrazia non esiste, come ci ricorda Zagrebelski, ma non è difficile capire che i suoi valori universali sono custoditi nelle Costituzioni e nelle Convezioni internazionali e che i media dovrebbero metterci in guardia ogni volta che i governi se li dimenticano.

Dimostrazione sul consenso Amsterdam
A scuola insegniamo ai giovani e alle giovani che occorre diventare attivisti e attiviste dei diritti umani, nello spirito della nostra Costituzione. Lo facciamo per consegnare loro la speranza in un futuro migliore. Eppure, fuori da scuola difendere i diritti umani sta diventando in molte parti del mondo un’azione che i Governi reprimono in vario modo e sicuramente non valorizzano, in aperto contrasto con quanto da loro ratificato in passato. A ricordarcelo è il Rapporto di Amnesty International, che purtroppo conferma il deterioramento dello Stato di diritto nel mondo da dieci anni a questa parte. Quello che più preoccupa di questo approfondito studio su 156 Stati che si articola in una introduzione, in un’analisi globale e in diversi Focus sulle varie zone del mondo (Africa subsahariana, Americhe, Asia e Pacifico, Europa e Asia Centrale, Italia, Medio Oriente e Africa del Nord) è la risposta dei governi, spesso repressiva, alle proteste delle persone che si battono per i diritti umani. In 77 dei 156 Stati analizzati, gli attivisti e le attiviste dei diritti umani sono stati arrestati. In 85 stati è stato fatto uso illegale della forza. Anche in Italia, recentemente, dopo la pubblicazione del Report, una proposta di legge, composta da un solo articolo, che modifica l’articolo 635 del Codice penale, a firma del senatore Marco Lisei di Fratelli d’Italia, prevede dai sei mesi ai tre anni di carcere per chi sporca edifici pubblici, di culto o sottoposti a tutela. Nel mirino ci sono le proteste degli ambientalisti, termine che, nello Stato che ha inserito la tutela dell’ambiente e gli interessi delle generazioni future all’articolo 9 della sua Costituzione, finisce per assumere paradossalmente una connotazione negativa e «criminale». La risposta dei governi alle crisi economica e climatica e all’aumento delle disuguaglianze è stata parziale, inefficace e «viziata da doppi standard». Lo afferma l’introduzione al Rapporto, ricordando che nel 2022 sono scoppiati nuovi conflitti, altri sono ripresi e alcuni, di lunga data, sono continuati. Sono circa 40 le guerre in corso, ma si è finito per parlare in modo continuativo e martellante solo della guerra in Ucraina, che vedeva coinvolti la Nato e gli interessi dell’Occidente, con una sproporzione tale da incidere sulla percezione dell’opinione pubblica in modo distorto. La guerra in Etiopia ha mietuto centinaia di migliaia di vittime, diventando uno dei conflitti più sanguinosi della storia recente. Questa carneficina è stata nascosta dai media così come la campagna invisibile di pulizia etnica contro i tigrini del Tigray occidentale. Lo stesso è accaduto per le 153 vittime della Cisgiordania, tra cui donne e bambini/e, uccise dalle forze israeliane, per le stragi compiute dall’esercito in Myanmar, tra cui una anche molto recente e successiva alla pubblicazione del Report, per quelle in Yemen, in Mali, in Venezuela e Haiti.
Nei Paesi in guerra, le violazioni del diritto internazionale umanitario hanno causato terribili tragedie umane. Così si legge nell’analisi globale del rapporto: «I temi emersi con più forza dalla ricerca su 156 paesi nel 2022 sono profondamente connessi tra loro. La repressione del dissenso ha facilitato il percorso verso i conflitti. I conflitti armati e i colpi di stato del 2021 hanno aperto la strada al giro di vite sulla società civile. La violenza sessuale contro donne e ragazze è stata una caratteristica brutale dei conflitti armati. Guerra, crisi politiche, aumento del costo della vita, restrizioni al diritto di aborto, violenza sulle donne e discriminazione sono stati fattori chiave delle proteste. All’interno di alcuni di questi schemi di violazioni, la ricerca di Amnesty International ha mostrato prove dei danni sempre più gravi che derivano dal modello di business dei colossi tecnologici e ha sottolineato l’urgente necessità di azioni più coraggiose per affrontare la crisi climatica e il degrado ambientale».
La violenza di genere è stata un elemento trasversale a moltissime situazioni nel mondo. In Italia i femminicidi sono stati 100, 59 dei quali commessi da partner o membri della famiglia e l’accesso all’aborto in alcune parti del paese non è stato garantito, in forza dell’escamotage dell’obiezione di coscienza, spesso sollevata dal 100% dei medici ginecologi. Anche sulla tortura l’Italia suscita gravi preoccupazioni come pure sul mantenimento anche da parte di questo Governo degli accordi con la Libia, definiti “vergognosi” e sulle nuove norme emanate dal governo più a destra della storia italiana sugli ostacoli posti alle ong sui soccorsi in mare.
La violenza sessuale è stata perpetrata in tutti i conflitti e usata anche come arma di guerra: «Sia nella Repubblica Centrafricana che in Sud Sudan, decine di donne e ragazze hanno raccontato di essere state stuprate nel contesto degli scontri tra forze governative e gruppi armati o negli attacchi da parte dei gruppi armati. In Etiopia, le forze tigrine sono state responsabili di molteplici episodi di stupro e altre violenze sessuali legate al conflitto. In Ucraina, oltre alle denunce di violenze sessuali da parte delle forze russe, le donne hanno subìto altre minacce legate al genere poiché gli attacchi alle strutture sanitarie hanno contribuito pesantemente alla riduzione dei servizi di salute materna». La violenza contro donne, ragazze e persone Lgbti è rimasta un problema per i diritti umani a livello mondiale, anche in situazioni di pace e in contesti domestici. In Messico ci sono stati centinaia di femminicidi, riflettendo una situazione ricorrente in tutta la regione delle Americhe. Le rifugiate venezuelane sono state vittime di violenza di genere e discriminazione in Colombia, Ecuador, Perù e Trinidad e Tobago. Le donne native hanno denunciato le sterilizzazioni forzate compiute in Canada negli anni precedenti e negli Usa hanno continuato ad affrontare livelli di stupri e violenza sessuale alti e sproporzionati. In Pakistan, il parlamento non è riuscito a approvare una legge sulla violenza domestica, pendente dal 2021, nonostante i numerosi omicidi di donne da parte di membri della loro famiglia. In India, la violenza contro le donne dalit e adivasi, tra gli altri crimini d’odio basati sulle caste, è stata commessa nell’impunità generale.
Per contro, in Europa, sono entrate in vigore nuove leggi sullo stupro che stabiliscono il principio del consenso in Belgio, Finlandia e Spagna. Tuttavia, troppo spesso, in molti paesi del mondo, le autorità non sono riuscite nei fatti a proteggere donne e ragazze dalla radicata violenza di genere o ad affrontare l’impunità per questi crimini. È gravissimo che in Medio Oriente e Africa del Nord, le autorità in Arabia Saudita, Egitto, Iran, Iraq e Yemen abbiano sottoposto le difensore e le attiviste per i diritti umani a procedimenti giudiziari e altre forme di vessazione per aver protestato contro la violenza sessuale. La discriminazione persistente e diffusa contro donne, ragazze e persone Lgbti, presente nelle leggi e nella prassi ha fatto da sfondo a questo tipo di violenza, accompagnata dal consenso sociale. In Afghanistan c’è stato un significativo deterioramento dei diritti di donne e ragazze a opera dei talebani, che hanno impedito a donne e ragazze di viaggiare senza un uomo ad accompagnarle, vietato loro l’ingresso nei parchi pubblici e proibito loro di frequentare le scuole secondarie e le università e di lavorare per le Ong.
Nel 2022 ci sono stati arretramenti e progressi nell’ambito dei diritti all’aborto. Diversi stati americani ne hanno vietato o ridotto l’accesso, mentre altri hanno votato a larga maggioranza per tutelarlo, rivelando la spaccatura profonda che esiste tra gli Stati Usa. Se l’aborto è rimasto un reato in cinque paesi delle Americhe una sentenza della Corte costituzionale in Colombia lo ha depenalizzato fino alla 24ᵃ settimana di gravidanza mentre una nuova legge in Ecuador ne ha previsto la depenalizzazione nei casi di stupro. Anche l’Unione Europea si è spaccata sull’aborto: Polonia, Slovacchia e Ungheria hanno adottato nuove misure per limitarne l’accesso, mentre Germania e Paesi Bassi hanno eliminato alcune restrizioni. Andorra e Polonia hanno incriminato le attiviste per i diritti umani per avere difeso il diritto all’interruzione della gravidanza.
A proposito di ipocrisia e doppi standard dell’Occidente, l’Unione Europea si è dimostrata accogliente con i profughi provenienti dall’Ucraina, dopo l’aggressione della Russia, ma ha persistito in un atteggiamento razzista verso i migranti provenienti da paesi in cui si combattevano guerre silenziate dai media. I Governi si sono dimostrati sordi e inadeguati anche rispetto alle conseguenze della crisi climatica. «Alluvioni, siccità, ondate di caldo e incendi hanno causato morti, perdita di alloggi e mezzi di sostentamento, oltre a una crescente insicurezza alimentare», aggravata anche dalle conseguenze della guerra che Limes definisce “russo-americana”. La Cop 27 è stata un fallimento, soprattutto perché gli Stati non hanno voluto o saputo contrastare la produzione e l’uso di combustibili fossili, causa principale del riscaldamento globale. Purtroppo, i 100 miliardi di dollari Usa annui di finanziamenti legati al clima, che i paesi ricchi hanno promesso ai paesi in via di sviluppo dal 2009, non sono ancora stati erogati. Nel 2022, le sei maggiori compagnie petrolifere occidentali hanno raggiunto profitti stratosferici: oltre 200 miliardi di dollari Usa, al lordo delle imposte, senza che queste multinazionali si ponessero il problema di riparare in qualche modo ai danni sul clima e sulle conseguenze del riscaldamento globale.

I Paesi del ricco Occidente hanno quindi usato doppi standard, sia nell’accaparramento dei vaccini anti Covid che nella condanna delle guerre in corso e delle violazioni dei diritti umani. Secondo il rapporto di Amnesty International «L’aggressione russa contro l’Ucraina è anche una guerra contro valori universali e i sistemi multilaterali progettati per sostenerli. Per vincere questa guerra, il mondo occidentale non può davvero tollerare un’aggressione simile fatta in altri paesi, solo perché non ci sono in gioco i suoi interessi. Infatti, i doppi standard dell’Occidente sono stati evidenti nel silenzio assordante sulle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita ed Egitto, nelle risposte incoerenti al grave impatto sui diritti umani di altri conflitti, in alcuni casi equivalenti a crimini contro l’umanità, e in merito alla protezione dei rifugiati che da questi contesti fuggivano, come gli Afgani e i Siriani». In Israele si è affermato, nel silenzio quasi generale, un sistema di apartheid nei confronti dei palestinesi, silenzio seguito anche alle espulsioni Usa di più di 25.000 haitiani, alle detenzioni e alla tortura e a maltrattamenti perpetrati dagli Usa verso altre persone, maltrattamenti e torture «che hanno radici nel razzismo contro le persone nere». Anche la Cina si è sottratta ai provvedimenti delle Nazioni Unite per le persecuzioni degli uiguri e di altre minoranze musulmane.
L’aggressione russa all’Ucraina, che ha compattato l’alleanza atlantica avrebbe potuto essere l’occasione per ridisegnare un ordine internazionale basato su regole efficaci e applicate con coerenza. Di fronte all’incapacità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di agire rispetto a molti conflitti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha messo in evidenza l’inadeguatezza del diritto di veto da parte di membri permanenti del Consiglio di sicurezza e ha adottato ad aprile una risoluzione che impone all’Assemblea generale di riunirsi automaticamente ogni volta che viene usato il veto in seno al Consiglio. Nel ventesimo anniversario dalla sua istituzione il Consiglio dei diritti umani dell’Onu è stato efficace nel promuovere pubblicamente la sua indagine sulla situazione ucraina, mentre ha impiegato pochissime risorse in altre indagini, come quelle sulla situazione in Nigeria e Palestina. Un altro esempio di grave incoerenza del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite è stato rappresentato dal mancato accertamento delle responsabilità delle violazioni dei diritti umani in Yemen.
Secondo Amnesty International, «le parti coinvolte nei conflitti armati devono rispettare il diritto internazionale, indagare sulle accuse di violazioni e perseguire i sospetti responsabili. Tutti gli altri governi dovrebbero fare sistematicamente pressione in tal senso e agire per rafforzare la messa in atto della Risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede misure speciali per proteggere donne e ragazze dalla violenza sessuale legata ai conflitti, oltre ad affermare l’importanza della piena ed equa partecipazione delle donne nella risoluzione dei conflitti e nella costruzione della pace. Il Consiglio dei diritti umani deve garantire che i fondi per le indagini siano allocati in modo non discriminatorio. Tutti i governi devono assicurare che ogni persona che scappa dalla persecuzione abbia accesso a sicurezza e protezione internazionale e porre fine ai doppi standard nel trattamento di chi cerca protezione.»
«Gli Stati applicano le norme sui diritti umani caso per caso, mostrando in modo sbalorditivo la loro clamorosa ipocrisia e i doppi standard. Non possono criticare le violazioni dei diritti umani in un luogo e, un minuto dopo, perdonare situazioni analoghe in un altro solo perché sono in ballo i loro interessi. Tutto questo è incomprensibile e minaccia l’intera struttura dei diritti umani universali», ha detto Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. L’invasione russa dell’Ucraina ha causato una grave crisi umanitaria, sfollamenti di massa, insicurezza alimentare ed energetica globale. La risposta dell’Occidente è stata rapida: sanzioni economiche per Mosca, invio di armi a Kiev, indagine sui crimini di guerra e la condanna delle Nazioni Unite. Ma tutto questo non era mai stato fatto in passato in situazione analoghe, ad esempio in occasione dell’invasione russa in Cecenia o nei confronti di altri Paesi in altre guerre in corso, come quella in Etiopia o in Cisgiordania.
«Le risposte all’invasione russa dell’Ucraina ci hanno detto qualcosa su ciò che si può fare quando c’è la volontà politica di farlo: condanna globale, indagini sui crimini, frontiere aperte ai rifugiati. Quelle risposte devono essere un manuale su come affrontare tutte le massicce violazioni dei diritti umani», ha detto Callamard.
Un altro tema messo in evidenza dal Rapporto di Amnesty International è quello della repressione della libertà di espressione nel mondo, una tendenza chiave a livello globale, attuata anche con l’uso della tecnologia. In Russia i dissidenti sono stati processati e gli organi di informazione indipendente sono stati chiusi per aver parlato della guerra in Ucraina. Anche in Ucraina è accaduto lo stesso, come ha più volte ricordato la rivista Limes. I giornalisti continuano a essere arrestati in Afghanistan, Etiopia, Myanmar, Russia, Bielorussia e in decine di altri Paesi del mondo, insieme agli attivisti per il clima. In Australia, Indonesia, India e Regno Unito sono state adottate nuove leggi per limitare le manifestazioni. In Iran la repressione del dissenso è stata violentissima con l’utilizzo di proiettili veri, gas lacrimogeni e pestaggi e centinaia di persone uccise, tra cui molti minorenni. In Perù le proteste di popoli indigeni e campesinos sono state represse con la forza. Anche in Italia la polizia ha fatto un uso eccessivo della forza contro i manifestanti in diverse occasioni: a gennaio, a Torino, gli agenti in tenuta antisommossa hanno picchiato con i manganelli gli studenti che protestavano per la morte di un ragazzo di 18 anni in alternanza scuola-lavoro. Venti persone sono state ferite, di cui una in modo grave.
Il Rapporto di Amnesty International sullo stato dei diritti umani, per ogni area del mondo studiata, dopo una panoramica generale, si divide in sezioni, relative a guerre, uccisioni illegali, diritti dei migranti, diritti e violenze sulle donne e sulle persone Lgbt, risposte alla crisi climatica, libertà di espressione, riunione e associazione. L’analisi globale si chiude con un imperativo che è purtroppo difficile leggere solo anche come auspicio: per i 75 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani, il 2023 deve diventare il punto di svolta per la difesa dei diritti umani. «Se i leader mondiali non andranno in questa direzione, sarà un tradimento che potrebbe portare il mondo verso l’abisso».
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Articolo di Sara Marsico

Abilitata all’esercizio della professione forense dal 1990, è docente di discipline giuridiche ed economiche. Si è perfezionata per l’insegnamento delle relazioni e del diritto internazionale in modalità CLIL. È stata Presidente del Comitato Pertini per la difesa della Costituzione e dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano. I suoi interessi sono la Costituzione , la storia delle mafie, il linguaggio sessuato, i diritti delle donne. È appassionata di corsa e montagna.