Cambiare paradigma: Ina Praetorius e l’economia come cura

Dopo avere illustrato il difficile cammino delle donne per ottenere credito all’interno della scienza economica, è arrivato il momento di presentare alcune figure di economiste “non allineate” al pensiero unico neoliberista d’impronta neoclassica. In questo excursus la prima donna di cui voglio parlare è Ina Praetorius, perché rispetto a tutte le altre che incontreremo è portatrice di un pensiero che definire rivoluzionario è riduttivo.
Ina Praetorius , classe 1956, è una teologa economista svizzera, che si definisce «una rompiscatole post patriarcale”. Come ricorda Annalisa Zabonati, Praetorius, che coniuga sapere biblico e interesse per la politica delle donne «ha scoperto durante gli studi quello che definisce “l’ordine simbolico androcentrico”, vale a dire il modo sistematico di sminuire il femminile. Con questo concetto indica la divisione sociale latente legata al sesso e al genere che dichiara di volere analizzare e studiare per onestà intellettuale».

Del suo pensiero colpiscono la radicalità e il coraggioso «accendere la miccia sotto la sedia”, affrontando di petto, per rivoltarla dalle fondamenta, quella che è unanimemente considerata “una scienza cardine” nel nostro mondo, una scienza dominata per secoli dal pensiero maschile (pensate che solo due donne hanno vinto il Premio Nobel per l’economia, Elinor Ostrom nel 2009 e dieci anni dopo Esther Duflo, la prima insieme a un uomo, la seconda addirittura a due, di cui uno era il marito, come se da sole le donne quando scrivono di economia, avessero sempre bisogno di essere affiancate da un uomo.). Praetorius si prefigge di cambiare paradigma e sostiene, nel suo libretto prezioso, L’economia è cura. Una vita buona per tutti: dall’economia delle merci alla società dei bisogni e delle relazioni che l’oggetto dell’economia non è quello che ci è stato tramandato da quando si è affermato il sistema capitalistico.

Ina Praetorius sottolinea un dato di fatto incontestabile, che ho potuto constatare anche personalmente nella mia professione di docente: la maggior parte dei libri di economia a pagina 1 dà questa definizione di economia, dopo averne precisato l’etimologia: il termine deriva da due parole greche, oíkos e nómosOíkos significa casa, nómos significa legge o insegnamento. Quindi l’oiko-nomia è la pratica e la teoria della gestione appropriata della casa. E il Manuale di economia a pagina 1 aggiunge: «L’economia è la totalità di tutte le istituzioni e le azioni che servono alla soddisfazione pianificata dei bisogni». Quando leggo queste definizioni sento risuonare dentro di me la voce e le parole di un’altra intellettuale italiana che si è cimentata con l’economia politica, Lidia Menapace, nel suo libretto prezioso Economia politica della differenza sessuale, in cui parla dell’apporto delle donne all’economia come della Scienza della vita quotidiana. Tuttavia, a partire da pagina 2, i libri di economia comunemente usati si dimenticano di questa definizione e presentano il mondo non come casa ma come mercato.

Al centro di questo mercato troviamo una persona sana e ben informata, l’homo oeconomicus, individuo razionale già adulto e dotato di tutto il necessario, che non rimane mai incinto e che decide sempre liberamente quali merci produrre, dove e quando, e con chi scambiarle per quanto denaro. L’economia domestica (eppure è questo il significato letterale di oikonomia e ce l’hanno “scippato” subito, un po’ come è avvenuto per la cucina, mondo da sempre assegnato alle donne ma che riserva agli uomini, gli chef, la cucina stellata) e l’ambiente circostante rimangono al margine del discorso: il centro dell’economia non è più la soddisfazione dei bisogni di tutti, ma «il libero gioco della domanda e dell’offerta». Come mai questo clamoroso cambio di argomento tra la prima e la seconda pagina dei libri di testo, per giunta mai motivato? Cosa significa il fatto che apparentemente viviamo con un doppio concetto di economia? Con un’economia taciuta, nascosta, l’invisibilità dell’evidente, come l’avrebbe definita Sciascia, incentrata sul bisogno e un’economia appariscente incentrata sullo scambio? Quella che la filosofa Giorgia Serughetti, in Democratizzare la cura, curare l’economia definisce una società dell’individualismo e della competizione contrapposta a una società solidale della cura? «Se qualcuno ha parlato durante la pandemia di scelte tragiche tra chi continuare a curare e chi lasciar morire, è perché il modello economico dominante negli ultimi 30 anni ha subordinato le ragioni della vita a quelle dell’economia, promosso lo sfruttamento della vita a fini economici, favorito l’espansione del mercato privato a scapito del pubblico anche in campi delicati e preziosi letteralmente vitali come la sanità» (Serughetti).

Nell’antica Grecia – spiega Praetorius – quando i filosofi introdussero il concetto di economia, si accettava l’idea che le società umane fossero composte da persone libere e da altre dipendenti. «Il compito di quelle dipendenti era di provvedere a tutte le necessità della vita e di generare la prole per l’oíkos. In questo modo queste persone hanno generato, oltre la vita, anche la libertà dei proprietari di schiavi, che controllavano ciascuno una famiglia e potevano così dedicarsi ad attività “superiori”: la politica, la costruzione di teorie, la guerra. In questo ordine sociale gerarchico è nata logicamente la visione del mondo su cui ancora oggi gli economisti fedeli alla loro disciplina amano fare affidamento: il libero cittadino autoctono possiede una casa privata in cui la moglie, casomai con il supporto del personale di servizio, badanti immigrate/i, asili nido, ragazze alla pari, nonne o bambinaie, garantisce, possibilmente in modo invisibile, che la cena sia pronta, il bambino allattato, l’anziano e l’anziana curati, la casa ben sistemata e l’atmosfera armoniosa quando il cosiddetto capofamiglia (in tedesco: Ernährer, colui che nutre(sic!)) torna a casa la sera da quell’attività chiamata “lavoro”». «Come è potuto accadere?», si chiede Praetorius.

Nel corso della storia del pensiero occidentale, “una” storia, non “la” storia, – in particolare dal XVIII secolo con Adam Smith, il cui pensiero peraltro è stato recepito solo parzialmente, ignorando tutto quello che il filosofo aveva scritto nella Teoria dei sentimenti morali – «economico» è stato equiparato a «produttivo» nel senso di scambiabile sul mercato, monetizzabile e portatore di guadagni. Smith lascia fuori dalla considerazione economica tutte quelle attività, «tutte quelle mani, tutte quelle persone – essenzialmente donne – che, non lavorando nei vari settori produttivi non producono beni scambiabili sul mercato – merci – e perciò fonte di guadagno. In questo tutte le attività che hanno a che fare con la sfera della riproduzione e che sono in qualche modo propedeutiche, preparatorie, condizione necessaria per lo svolgersi delle attività produttive, rimangono fuori della sfera economica sono considerate pre-economiche o extra-economiche».

Questa esclusione dalla sfera delle attività economiche si innesta su una concezione — che possiamo far risalire al pensiero greco — che divide il mondo, le attività e gli esseri umani, in superiore e inferiore, alto e basso spirito e corpo, maschio e femmina, padrone e schiavo, pubblico e privato, ecc., cultura e natura, scienza e fede, ragione e sentimento, teoria e pratica, pubblico e privato. Questa distinzione relega le donne e le attività di cura nella sfera privata,” inferiore”, affine alla natura, disprezzata anch’essa. In questo modo l’economia si allontana definitivamente da quello per cui era nata, ovvero la soddisfazione dei bisogni umani, si formalizza, si tecnicizza, si matematizza e diventa una scienza triste», per addetti ai lavori.

Nel gennaio 2020, poco prima del 50° World Economic Forum di Davos, l’organizzazione britannica per lo sviluppo Oxfam ha riferito: «Le donne guadagnano in media il 23 per cento in meno (rispetto agli uomini) e sono più frequentemente colpite dalla povertà estrema. Questo è il risultato di un sistema economico in cui le donne e le ragazze dedicano più di 12 miliardi di ore al giorno al lavoro domestico non retribuito, alla cura e all’assistenza senza che il valore di questo lavoro sia riconosciuto. Se si ipotizzasse il salario minimo per questo lavoro, ammonterebbe a 11 trilioni di dollari all’anno». Nel Pil italiano si è inserito forfettariamente il valore dell’economia sommersa e dell’economia illegale, comprendendovi anche quanto deriva dall’attività della prostituzione. Perché non si riesce a fare inserire forfettariamente anche l’apporto delle attività di cura o domestiche non retribuite, come suggeriscono alcune studiose? Questa correzione, aumentando il valore del Pil, ridurrebbe automaticamente il rapporto debito pubblico/Pil. Ma questa è un’altra storia, di cui prima o poi scriveremo.

Nella primavera del 2020, una pandemia globale ha rivelato quale lavoro è superfluo e quale è rilevante per la vita e il futuro: come sostiene Praetorius «non sono le compagnie aeree, i banchieri, il calcio e gli accademici a tenere in piedi la vita umana e la convivenza nel vulnerabile ambiente della terra, ma i genitori, i nonni e le nonne, il personale di assistenza, le contadine, le infrastrutture pubbliche, i servizi di pulizia, di smaltimento dei rifiuti e di consegna». Secondo Praetorius è ora di scardinare l’economia divisa in due. Come per ogni casa, la gestione della grande casa-mondo deve garantire che tutti coloro che vivono sotto il tetto comune ricevano ciò di cui hanno bisogno per vivere senza danneggiare l’ambiente in cui la casa è inserita e da cui dipende. Economia e ecologia sono per Praetorius vicine e connesse.

Richiamando la teoria di Kuhn, filosofo della scienza, del cambio di paradigma, Praetorius sostiene che è venuto il momento di smascherare l’equivoco in cui è caduta l’economia, cambiare paradigma e sostenere che l’economia è cura. Ma quando ci accorgiamo dell’arrivo del cambio di paradigma? Secondo Kuhn: «Le rivoluzioni politiche sono introdotte da una sensazione sempre più forte, spesso avvertita solo da un settore della società, che le istituzioni esistenti hanno cessato di costituire una risposta adeguata ai problemi posti da una situazione che esse stesse hanno contribuito in parte a creare […] Lo stesso accade per le rivoluzioni scientifiche. Sia nello sviluppo sociale che in quello scientifico, la sensazione di cattivo funzionamento che può portare a una crisi è un requisito preliminare di ogni rivoluzione».

L’economia così come la conosciamo non riesce più a dare risposte adeguate ai problemi che dovrebbe risolvere. Il sistema su cui si fonda è in crisi, così come il patriarcato: crisi sanitaria, economica, climatica, bellica. Quando questo accade occorre cambiare paradigma, nel pensiero e nella pratica economica, senza temere il Durcheinander, il caos che si creerà. Occorre riconoscere che l’economia è cura. Cura del futuro del pianeta e contrasto a un sistema predatorio che ne distrugge le risorse. Cura come giustizia sociale, welfare universale, rispetto di tutti gli esseri viventi, creazione di comunità. Praetorius, non dice semplicemente che l’economia della cura deve diventare una delle tante branche dell’economia, come propongono ai Dipartimenti di economia le economiste della cura, tra cui Joan Tronto, ma che l’economia deve tornare alla sua definizione e al suo ruolo originali, che sono stati abbandonati da una visione patriarcale del mondo e deve potersi affermare, osando essere radicali, che l’economia è cura. Proprio per questo Praetorius invade le accademie pone domande agli economisti e alle economiste ortodosse e attende risposte.

Proprio per questo si è battuta affinché l’economia domestica ritornasse a essere una disciplina all’interno delle scuole. Quando si parla di cura non la si deve intendere in senso restrittivo, ma come «care», parola inglese che nella traduzione tedesca significa cura, ma anche attenzione, protezione, assistenza e «premura». Da un lato ci si riferisce alla consapevolezza della dipendenza dello stato di bisogno e dell’essere in relazione quali elementi costitutivi degli esseri umani, dall’altro a concrete attività di cura in senso lato, un «preoccuparsi per il mondo» non solo attraverso attività di cura e lavoro sociale e domestico ma anche attraverso «l’impegno per una trasformazione culturale». Occorre riconoscere una volta per sempre che l’economia è cura. Cura del futuro del pianeta e contrasto a un sistema predatorio che ne distrugge le risorse. Cura come giustizia sociale, welfare universale, rispetto di tutti gli esseri viventi, creazione di comunità.

Come fare a cambiare paradigma in un mondo che è ancora dominato dal patriarcato? Dopo una disamina accurata del pensiero filosofico e politico espressione di una cultura patriarcale che ci ha condotto fino a qui, Praetorius prende a prestito dalla economista Friederike Habermann l’espressione «penisole contro la corrente», spazi geografici, come le comuni, o sociali, come le reti, in cui gli esseri umani cercano di vivere meglio. Spazi in cui le persone cercano per quanto possibile di creare un’altra realtà e di sperimentare dove può portare. L’errore in cui la scienza economica ortodossa è caduta è stato considerare oggetto del suo studio «solo ciò che è monetizzabile, che porta soldi». Includervi il lavoro di cura non vuole necessariamente dire “monetizzare tutto”, perché non è il denaro l’unità di misura di tutto.

Esistono altri modelli di remunerazione, praticati per lungo tempo o pianificati per il futuro, ore in cambio di prestazioni, nuove monete all’interno di comunità come quelle suggerite dall’economista Margrit Kennedy, reddito di base incondizionato, senza eliminare lo scambio che avviene col denaro, «ma ritenendo questo scambio destinato a diventare secondario». Occorre ri-centrare l’economia che si è allontanata dal suo compito essenziale e a questo deve ritornare: «soddisfare il bisogno umano di preservare la vita e la qualità della vita, dell’ambiente, di tutti gli esseri viventi, riscoprendo l’importanza della relazione con l’altro/a, «non solo quello che è presente, ma anche le generazioni future». Allora ognuno/a di noi può scegliere di essere una Penisola contro la corrente provando a fare qualcosa di nuovo. Ma una cosa è certa, di fronte ai fallimenti del sistema capitalistico e patriarcale e a un’economia psicotica che porta a pratiche distruttive e ce lo ricorda anche Naomi Klein, la cura è l’atteggiamento fondamentale che ci è richiesto, non solo nell’economia ma nell’intero modo di esistere.

L’economista svizzera elenca una serie di iniziative, «Penisole contro la corrente”, sovversioni pacifiche e trasformazioni silenziose che sorgono in molte parti del mondo, spesso portate avanti dalle donne. Non sempre sono collegate tra loro ma presto lo saranno .Queste iniziative svelano la verità ovvia da sempre celata dalla scissione dell’economia: un’economia appariscente, incentrata sullo scambio e una taciuta, nascosta, la riscoperta dell’ovvio, incentrata sul bisogno:« il fatto che noi siamo tutti/e parte della natura, bisognosi/e, finiti/e, limitati/e e allo stesso tempo liberi/e di organizzare la nostra esistenza nel fragile spazio vitale del nostro pianeta in modo che sia possibile una convivenza sobria e godibile». 

Eccone alcune: i Guerrilla Gardening, forme di giardinaggio politico e attivismo pacifico, normalmente ispirate alla permacultura, che, senza aspettare le lungaggini burocratiche abbelliscono con fiori e aiuole i luoghi degradati delle città, le Urban Tactics, azioni dal basso che coinvolgono i cittadini di una zona e rendono le piazzette degradate abitabili, riempendo le piazze dello spaccio di donne con i loro bambini e con i loro giochi; il Plogging, il camminare per strade e sentieri raccogliendo i rifiuti e rendendo più pulite e accoglienti le nostre città, la richiesta alle istituzioni di zone 30 e di aumento di piste ciclabili sicure, l’esempio delle città a misura di donna tra cui Vienna, l’organizzazione di campagne per strade più illuminate, lo studio di percorsi di mezzi pubblici che tengano conto degli spostamenti delle donne, che accompagnano i figli a scuola, vanno al lavoro, a fare la spesa, a trovare l’anziano; le Banche del tempo, il consumo critico dei Gruppi di acquisto solidale o dei negozi di Palermo Pizzofree,  il Care Collective di Londra che ha realizzato Il Manifesto della cura, il pensiero di economisti/e alternative come Piketty o Mazzucato, organizzazioni di scambi e baratti, il turismo responsabile, enciclopedie come wikipedia, le sovversioni pacifiche delle donne Maori nelle Università, che ci ha ricordato nel suo bel libro Chiara Carbone (mense pubbliche o assistenza sanitaria per i migranti, una biblioteca di condominio o di quartiere, gruppi che propongono la filosofia del camminare, il riscoprire il silenzio e la lentezza, che ci connettono con noi stesse/i e che ci spingeranno a chiedere, nelle nostre città, zone verdi, parchi, a opporci al consumo di suolo, a piantare alberi per l’assorbimento della CO2, a fare petizioni per salvaguardare il territorio e gli oceani invasi dalla plastica. Praetorius ci invita a scegliere quale economia vogliamo. Probabilmente abbiamo già deciso. L’elenco delle ribellioni pacifiche è aperto e noi possiamo continuarlo, nello spirito della nostra Costituzione, con pazienza, come per tutti i cambiamenti culturali.

Se, come ha dimostrato l’Onu nel 1980,  le donne «rappresentano il 50 per cento della popolazione adulta mondiale […] svolgono circa due terzi di tutte le ore lavorative, ricevono solo un decimo del reddito mondiale e possiedono meno dell’uno per cento della proprietà mondiale», se noi sappiamo che la povertà delle donne e dei bambini sono collegate tra loro da rapporti di causalità, o qualcosa deve essere andato irrimediabilmente storto o gli economisti devono specificare meglio ai bisogni di chi riferiscono i loro calcoli. Non dobbiamo temere il Durcheinander, che significa caos, disordine confusione che ogni cambio di paradigma porta con sé. Se includiamo nell’oggetto dell’economia tutte queste attività, accanto a quelle remunerate con denaro in cambio di prestazione, chissà che in futuro non si possa arrivare ad alternative a questo meccanismo della retribuzione.

La parola Durcheinander può anche essere spezzata in due parole Durch einander. Allora indica in una prima accezione «il modo in cui tutti gli esseri umani vengono al mondo: attraverso un/una altro/altra, dal corpo di un particolare essere umano della generazione precedente». Giocando con la parola Durcheinander Praetorius suggerisce la soluzione per un’economia che è cura: Durch ein ander ,«una relazione immediata con l’altro, quello che è presente, ma anche quello che deve ancora nascere, le generazioni future e l’ambiente con tutti gli esseri viventi». Dall’economia delle merci all’economia delle relazioni, questa è la strada, ancora lunghissima, perché piena di ostacoli creati dal patriarcato, che occorre smascherare con forme di alleanze collettive, fatte di donne ma anche di uomini che avvertono il disagio di un mondo che non gli corrisponde più. Gli scritti di Praetorius sono moltissimi, non da ultimo un testo sulla merdologia (sì, avete letto bene), come una delle forme della cultura dello scarto, a cui si rinvia. La visione di Praetorius ci guiderà anche alla scoperta del pensiero delle economiste che continueremo a incontrare, perché non dobbiamo mai dimenticare qual è il vero oggetto dell’economia politica e tenerlo sempre sullo sfondo, in direzione ostinata e contraria, da vere «rompiscatole postpatriarcali»: occorre ri-centrare l’economia che si è allontanata dal suo compito essenziale e a questo deve ritornare: «soddisfare il bisogno umano di preservare la vita e la qualità della vita, dell’ambiente, di tutti gli esseri viventi», in modo particolare oggi che il patriarcato è arrivato al capolinea.

Per saperne di più: 

Penelope a Davos. Idee femministe per una economia globale. Quaderni di via Dogana, Milano, 2011.
Ritorno ai dati economici fondamentali, in “via Dogana”, giugno 2009.
La filosofia del saper esserci, in “via Dogana”, marzo 2002.
L’economia è cura. La riscoperta dell’ovvio, IOD Edizioni, 2016.

https://www.youtube.com/watch?v=mAmXpDuDx_o Qui è possibile guardare un video della lezione in inglese sulla Care-Centered economy (Conference “Doing Global Gender | Perspectives on Gender and Re-Globalization”, 2 – 6 May 2022) che Ina Praetorius ha tenuto per Eurac research.

https://www.youtube.com/watch?v=cYyG6RwcGXo Qui la Conferenza I care a cura dell’associazione La Rosa Bianca del 2017.

***

Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...