Carissime lettrici e carissimi lettori,
prima c’è stata Venere, non quella, seppure le somiglia nel viso e nei capelli al vento, rappresentata da Botticelli nell’attimo della sua nascita, nuda, stupenda, che abbiamo visto, datata 1485, a Firenze tra i capolavori della Galleria degli Uffizi. Poi è arrivato uno spot, più azzardato di una campagna elettorale. Una sorta di mini-fiction presidenziale messa in onda proprio per la festa del Primo Maggio come rappresentazione del Governo che si prepara a mettersi al lavoro. Forse, però, in contraddizione con lo spirito celebrativo della giornata, in opposizione al significato comunitario della festa stessa.
Il resto è accaduto sul Palco per eccellenza celebrante il Lavoro, quello di piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, dove si ripete come da sempre (il Concertone è nato ben trentatré anni fa, nel 1990), organizzato dai tre sindacati confederati con tanta musica , una volta di grande qualità (si esibivano Fabrizio De André, Francesco Guccini, La Premiata Forneria Marconi, Roberto Vecchioni, gli Area) e impegno di parità tra tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori e per chi il lavoro ancora non ce l’ha e ai tanti e tante giovani che studiano per conquistarlo, nel modo più corretto e consono alla propria preparazione.
Invece da quel palco romano è arrivato un messaggio avvilente per tutte le donne, cancellate nella grammatica del diritto di esistere nella loro/nostra qualificazione professionale. Ci ricordiamo la lezione di chi si occupa professionalmente della lingua, del suo uso e delle questioni di genere: si nomina solo ciò che esiste e, rivoltando il concetto, esiste solo ciò che si nomina. Dunque: se viene usato il termine avvocato, scrivendolo/pronunciandolo con la “o” finale si indica in italiano una persona di genere maschile. L’italiano contempla grammaticalmente il femminile, dunque se deve indicare una professionista di genere femminile dirà: avvocata così come ingegnera, architetta, infermiera, maestra, tanto quanto giornalista e giudice. Non c’è nulla da «… barattare con il diritto al lavoro e un’uguale retribuzione tra i generi». Al contrario si può e non si deve prescindere da questo. Dovrebbe essere una presa di coscienza… sindacale. Se non si nomina, se non si femminilizzano le professioni, non si ammette l’esistenza di quel genere. Un’operaia è donna, un operaio è uomo.
Sempre da quel palco uno scienziato, Carlo Rovelli, fisico e divulgatore scientifico, conosciuto nel mondo e non solo qui da noi, anche se un senatore con importante carica nel Governo, ha detto di non averlo mai conosciuto «perché non sono un fisico» (!). Rovelli ha parlato di quello che, come Fisico, gli concerne: la necessità di salvare il pianeta soprattutto dalla guerra, con soluzioni di pace urgenti quanto irrinunciabili perché il mondo si salvi e venga consegnato in pace e più sano possibile alle generazioni che verranno. Un problema che riguarda, però, soprattutto noi, oggi, nel presente, nell’Europa che rischia una guerra ancora più dura e nel mondo dove i conflitti sono tanti e spesso ignorati. Lo scienziato e divulgatore, nel suo dire professionale, ha obiettato anche su alcune mancanze del Governo. Subito è stato redarguito dalla presentatrice ormai storica (è il quinto anno che Ambra Angiolini conduce la rappresentazione) e poi, nei giorni successivi, come si dice, a mezzo stampa, Rovelli è stato rimproverato dal Ministro indicato, seppure non espressamente nominato. Ne è seguito un polverone che rischia persino di cancellare l’appuntamento sindacale che si ripete da anni e, comunque, non per la prima volta al centro di polemiche.
Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sentendosi fortemente e direttamente colpito, ha invitato ironicamente, dalle colonne dei giornali, Carlo Rovelli a cena. Un pretesto perché – dice – lo scienziato possa conoscerlo meglio e di persona per sapere di chi parla. Poi, al di là della battuta, affonda con la raccomandazione allo scienziato a «rimanere al proprio posto, fare il fisico e l’uomo di scienza» mentre lui, da ministro, pensa alla pace. Rovelli non tarda a rispondere: «Apprezzo molto la cortesia del ministro della difesa e il suo gentile invito a cena, e lo ringrazio. Ma la questione che ho posto nel mio intervento il Primo Maggio non è personale fra lui e me. È politica, riguarda il futuro di noi tutti, e vorrei se ne discutesse nel paese, non a cena in due».
Il fisico e divulgatore scientifico sul palco di piazza San Giovanni aveva detto: «Stiamo andando verso una guerra che cresce e, invece, di cercare soluzioni i Paesi si sfidano, invadono, soffiano sul fuoco della guerra e la tensione internazionale non è mai stata così alta come adesso». Poi ha puntato il dito, pur senza nominarlo direttamente, contro il ministro della Difesa Guido Crosetto, che in passato è stato presidente della Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza: «In Italia, il ministro della Difesa è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi nel mondo». Indicando in tal modo, un evidente conflitto di interessi con la carica politica attuale.
Ricominciamo con ordine. Dalla Venere, quella che ricorda, perché non è la stessa, la protagonista della tela del Botticelli. Niente a che vedere con la dea nata secondo il mito dalla spuma dell’acqua marina, la dea dell’amore e della bellezza, sospinta dai venti Zefiro e, forse, Aura. Quella dea che nella tela di Sandro Botticelli è in piedi, completamente svestita, sopra la valva di una conchiglia, «pura e perfetta come una perla».
La campagna promozionale delle bellezze del Paese Italia fatta dal ministero per il Turismo ha davvero sollevato (e per noi giustamente) un buon numero di osservazioni, cariche di polemiche. Non solo la scelta dubbia di trapiantare il volto del capolavoro del pittore fiorentino, vissuto tra il XV e il XVI secolo (Sandro Botticelli muore nel 1510), su un corpo estraneo, non più senza veli, come la dea sempre si è presentata nell’atto della sua nascita dal mare, ma da indossatrice/modella che via via, località dopo località, tutte quelle più belle e conosciutissime universalmente (allora a che serve la campagna?!) che indossa abiti da improbabile influencer. Si aggiunge l’obbrobrio della scelta del nome, miscelato tra uno stentato inglese (confermato da chi è madrelingua) e un termine italiano. Stavolta una certa rigidità sull’uso dell’italiano (che i turisti più appassionati della nostra penisola si dilettano e si sforzano di comprendere e fare proprio) sarebbe stata davvero provvida!
«È infatti proprio il Ministero della piemontese Santanché che avrebbe seguito la realizzazione del sito internet, e che quindi si sarebbe occupato di gestire la compilazione dei testi e delle didascalie che in questi giorni stanno facendo molto discutere. Così come i riferimenti storici e le traduzioni sul sito. Parliamo di «errori clamorosi», spiega Donato Arcaro, guida turistica e guida escursionistica valdostana, anche ex bibliotecario in pensione. È stato tra i primi a notare le imprecisioni, sulla sua pagina Facebook ne segnala alcune come «Saint Vincent e Chatillon, molto vicine tra loro, offrono stupendi castelli, primo fra tutti il Forte di Bard», quindi non un castello e nel comune di Bard, non Saint Vincent né Chatillon».
Vediamo il significato. Il Forte, è secondo il dizionario, «un’Opera difensiva, di limitate dimensioni, racchiudente nel suo interno solo costruzioni militari; attualmente è per lo più una costruzione in calcestruzzo, interrata, ove le artiglierie sono sistemate sotto cupole corazzate. Può essere isolato, adibito alla sorveglianza e difesa di una località o di un passaggio obbligato, o far parte di un campo trincerato o di una regione fortificata; spesso, cessata la necessità di una funzione difensiva, queste opere sono destinate ad altri usi (per esempio a luoghi di detenzione). La parola è elemento frequente di toponimi di località sorte attorno a opere di fortificazione (per esempio Forte dei Marmi».
Differente, solo per certi aspetti coincidente, il significato del nome Castello che viene invece spiegato diversamente: «Nel Medioevo il nome di castello passò alla residenza fortificata, che costituì la dimora del signore feudale. Dapprima fu un fortilizio isolato nel quale l’abitazione del feudatario si riduceva a pochi vasti ambienti ricavati all’interno delle torri e delle muraglie. In seguito divenne un organismo complesso, del quale fecero parte l’apparato difensivo – costituito dalla cinta muraria per la difesa esterna e dal mastio per la sorveglianza dell’intero edificio e l’eventuale estrema difesa — il nucleo soldati — la cappella, magazzini e servizi comuni» (enciclopedia Treccani).
La campagna abbonda dunque di errori simbolici, e come si è visto, addirittura di sbagli nelle didascalie. Ad accorgersene sono stati un po’ tutti, oltre le/gli osservatori della regione Valle D’Aosta da cui è partita una vera e propria messa a punto di tutto ciò che è sbagliato. Ma c’è altro ancora: «Questo sospetto, diciamo, viene corroborato da un altro elemento centrale scelto dalla comunicazione ministeriale: la pizza. Cioè il frutto della più estrema banalizzazione di una qualsiasi peculiarità dei luoghi, della cucina, delle unicità di qualunque angolo d’Italia. Pur squisita e indubbiamente evocativa del nostro Paese, l’effetto-pizza sarà anche il più immediato veicolo per comunicare una certa idea (antiquata) di Italia in tavola allo straniero, ma dubitiamo possa esistere un simbolo di specificità più abusato, inflazionato e massificante della fetta di Margherita associato alla bella ragazza a metà tra il genio di Botticelli e i post di Ferragni. Per carità, rappresentare la polenta unica forse sarebbe stato troppo (e magari graficamente non semplice) ma chissà — commentano da Como — una corona di missoltini stesi ad asciugare al sole avrebbe magari dato un tocco più rustico ma unico, meno facile ma più intimo, rispetto alla meraviglia dei territori che si voleva comunicare all’estero. Troppo? Possibile. Ma perché, almeno, la pizza non la si è riservata a Polignano a mare, giusto per dire? Si, certo, sono discorsi oziosi in buona parte. Ma si tenga conto che per stimolarli, lo Stato italiano ha speso complessivamente 9 milioni di euro». Per tutto il resto, aggiunge il commento, c’è il nome di una famosa carta di credito, proprio come detta la pubblicità!
In chiusura una poesia di Bertold Brecht (1898-1956). È un inno alla terra e alla primavera con un velo di malinconia (presente già nel titolo) di ciò che si sta distruggendo.
Molto tempo prima.
Che ci gettassimo su petrolio, ferro e ammoniaca
C’era ogni anno
Il tempo degli alberi che verdeggiavano irresistibili e violenti.
Noi tutti ricordiamo
I giorni più lunghi
Il cielo più chiaro
L’aria mutata
Della primavera destinata a venire.
Ora leggiamo nei libri
Di questa celebrata stagione
E pure da molto tempo
Non sono stati scorti sulle nostre città
I famosi stormi di uccelli.
La gente ancora seduta sui treni è la prima
A sorprendere la primavera.
Le pianure la mostrano
Nell’antica chiarezza.
Certo negli alti spazi sembrano passare tempeste:
Esse toccano solo le nostre antenne”.
(La primavera non c’è più di Bertolt Brecht)
Buona lettura a tutte e a tutti.
La scorsa settimana, il 27 aprile, nella bellissima cornice dell’Università di Roma 3, all’interno della Facoltà di Scienza della Formazione, si è svolta la premiazione della X edizione del concorso Sulle vie della parità promosso da Toponomastica femminile, in cui sono state premiate le scuole che hanno approfondito figure femminili spesso in controtendenza con l’epoca in cui sono vissute. Chi ha partecipato all’evento ha potuto vedere la mostra sulle Musiciste, un’occasione per scoprire tra le tante anche le direttrici d’orchestra. Se ne parla nella nostra Sezione Juvenilia, con Nuove generazioni sulle vie della parità.
C’è un filo rosso che lega gli articoli di questo numero di maggio: il racconto di donne che si sono battute contro gli stereotipi o hanno cercato con la loro vita di dimostrare che si può uscire dai ruoli che sono stati pensati per noi da un pensiero maschile e patriarcale. Vanno in questo senso i consigli di lettura che proponiamo: Le Fuggitive. Riflessioni sul romanzo Ragazze perbene «una sorta di biografia di tutte le donne che, come la protagonista, hanno cercato la propria salvezza fuori dai canoni»; Uno sguardo nuovo sul 25 Aprile. Le donne della Resistenza recensione di La Resistenza delle donne di Benedetta Tobagi, «un proliferare di atti di ribellione, di battaglia, di forza, di resistenza a tutto (violenze fisiche e psicologiche, privazioni, torture, stupri) finanche di lotta armata». Non solo. In Bayonetta: andare oltre gli stereotipi si recensisce un videogioco in cui «la protagonista è celebrata come esempio di female empowerment e modello da imitare per chiunque voglia creare un personaggio femminile videoludico forte, senza per questo rinunciare a una estetica sensuale». E infine Media e diversità. Babadook, tra horror e maternità, recensione del film cult Babadook della regista Jennifer Kent, che affronta il tema della diversità in un modo non solo innovativo, ma soprattutto autentico e genuino.
Un’altra donna che smentisce gli stereotipi è nella nostra Sezione Calendaria 2023: Barbara McClintock, Premio Nobel per la Medicina 1983, cui l’ambito premio fu assegnato «Per la sua scoperta dei geni mobili». Credito alle donne ci presenta Cambiare paradigma: Ina Praetorius e l’economia come cura, articolo in cui incontreremo «una rompiscatole postpatriarcale» che scardina dalle fondamenta l’oggetto della «triste scienza», proponendo un’idea di economia rivoluzionaria quanto ovvia, anche se completamente oscurata dall’impostazione neoclassica dominante. In Pausa pranzo si avrà occasione di chiedersi perché alle donne è così difficile prendere la parola e ci si interrogherà, con molti dubbi, su come certi stereotipi continuino a essere veicolati. Allarghiamo lo sguardo e analizziamo il Report annuale sulla parità di genere dell’Unione Europea, esaminando stereotipi e violenza di genere, nell’articolo dal titolo Free from violence and stereotypes, mantenendo l’inglese in cui il Report è scritto.
Di Conservazione e innovazione nella lingua italiana si parla in questo articolo, che affronta un dibattito sempre più sentito sul come nominare il femminile nel linguaggio.
Armi e distrazioni di massa, è una interessante approfondimento sui modi attraverso i quali «l’attenzione dell’opinione pubblica è dirottata da problemi strutturali, da rischi incombenti, da responsabilità reali a faccende marginali, a episodi frivoli, a dettagli irrilevanti, facendo aggio sui preconcetti più comuni e sulle dinamiche tipiche della psicologia di massa e della percezione umana della realtà».
Le nostre intitolazioni toponomastiche questa volta si svolgono in Toscana e se ne parla in Un giardino pistoiese ricorda Louisa Grace, “pellegrina d’oltremare “ morta il 3 maggio 1865; mentre le iniziative della nostra associazione avvenute nel mese appena trascorso saranno raccontate nel Report del mese di aprile.
Chiudiamo, come sempre, per la serie La cucina vegana, con la ricetta della settimana: Caviale di melanzane con salsa al pomodoro: «si prepara molto facilmente e in poco tempo, e soprattutto in estate, servito freddo, offre una bella carica all’appetito».
A rileggerci presto, con un augurio di pace, forza, gioia.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.