A volte certe frasi ti restano impresse nella mente e dopo tanto tempo realizzi che sono proprio quelle ad averti aperto gli occhi sulla fatica e sul lavoro misconosciuto delle donne. Ricordo un gioco che facevamo in adolescenza e che un giorno proposi insieme a delle mie coetanee a mia madre, reduce da una giornata lavorativa che continuava fino a tarda sera con il lavoro domestico e di cura in famiglia, allora da lei convintamente sentito come dovuto e naturale. Marisa, mia madre, non si era mai lamentata di tutto il lavoro che aveva sulle spalle, compreso l’ascolto paziente di quanto ci era capitato a scuola o con le nostre amicizie perché le piaceva ed era a lei che spettava. Su questo non si discuteva. Alla nostra domanda: «Dove ti piacerebbe essere adesso, se potessi scegliere?», la sua risposta ci spiazzò tutte: «Vorrei essere su una barca, da sola, in mezzo al mare».
Un interessante sondaggio riportato nell’articolo di Ella Marciello What mothers want su La Svolta del 12 maggio a proposito dei regali suggeriti dalle riviste cosiddette femminili alle mamme mi ha fatto venire in mente le parole di mia madre, una donna che quando incontravamo delle coppie senza figli spesso mi faceva osservare quanto era bello che si dedicassero l’uno all’altra, che girassero il mondo, che si occupassero di volontariato e impegno civile. Una madre che mi ha passato l’idea che, come donna, potessi scegliere il mio destino, che fosse quello di single, donna sposata con figli, donna sposata senza figli, nell’esercizio della mia piena libertà. Il sondaggio conferma che i vari regali suggeriti da queste riviste alle madri prescindono dai loro effettivi bisogni. Vi si propongono creme antirughe, rossetti, ombretti, massaggi per coadiuvare cure dimagranti o gioielli. Perché le mamme devono essere belle, magre e non sembrare vecchie, in linea con il giovanilismo imperante nelle nostre società. Dopo una lunga e dettagliata analisi su quanto siano penalizzate le madri in famiglia e sul lavoro, la ricerca rivela che ciò che oggi più desiderano le madri: il riposo, il silenzio e il tempo per sé.
Passata la Festa della Mamma e tutte le dichiarazioni d’amore e riconoscenza che l’hanno accompagnata, vorrei fare delle considerazioni, prendendo spunto da alcuni articoli che mi è capitato di leggere. Non so perché ma tutta questa mistica della maternità, in un Paese che la esalta a parole e l’ha sempre penalizzata nei fatti, mi suona strana. Una premessa è d’obbligo: le considerazioni che farò saranno squisitamente economiche e si muoveranno all’interno della “triste scienza”, con cui tutte e tutti noi siamo costretti e costrette a «fare i conti», senza prendere in esame le motivazioni che spingono una donna ad avere o a non avere figli o figlie. Del resto, è chiaro che le ragioni che sono alla base delle preoccupazioni governative per le «culle vuote» e il cosiddetto «inverno demografico» hanno la stessa impostazione.

Partirei dalla newsletter di Ladynomics. Per una signora economia, il sito di Laura Badalassi e Federica Gentile, che esordisce con una dichiarazione di principio: l’adesione alla concezione di other mothering, elaborata da Patricia Hill Collins. La maternità non si limita a mettere al mondo figli e figlie, secondo le due studiose, ma significa prendersi cura delle persone, dell’ambiente, del futuro, indipendentemente dai legami di sangue. Se è indubbio che oggi le donne che scelgono di fare figli e figlie sono discriminate nel nostro sistema economico, la maternità intesa come cura non deve applicarsi solo alle donne e può essere un paradigma di leadership politica migliore di quello che abbiamo.
Secondo un’indagine di Federconsumatori mantenere un figlio o una figlia fino ai 18 anni (ma se sceglieranno di andare all’università dovranno essere mantenuti/e più a lungo) costa in media 175mila euro. Questo richiede che all’interno della famiglia, salvo casi rarissimi di redditi molto elevati del/la bread winner, almeno due persone lavorino e che i lavori non siano precari ma duraturi e soprattutto non siano sottopagati come spesso accade in Italia per le persone giovani. Quando i figli e le figlie arrivano aumenta il lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia, lavoro che, soprattutto nelle coppie eterosessuali, ricade prevalentemente sulla donna. Come è noto il lavoro di cura e domestico, che, se fosse svolto da una lavoratrice, sarebbe pagato, se svolto all’interno della famiglia, non solo non viene retribuito, ma la narrazione vuole che sia gratuito perché svolto “per amore”. Recentemente, «a metterci il carico da undici» ci ha pensato l’attrice Laura Chiatti, che, a proposito della suddivisione del lavoro di cura e domestico all’interno della famiglia, ha sostenuto che l’uomo che fa le pulizie non sarebbe sexy. Con somma soddisfazione le autrici della newsletter M’amma non M’amma riferiscono una indagine del Time secondo cui nelle coppie in cui si condivide il lavoro domestico e di cura in modo più egalitario si fa più sesso.
Questo lavoro invisibile non è riconosciuto nemmeno forfettariamente nel calcolo del Pil, che invece a livello forfettario prevede la cosiddetta ricchezza proveniente dal lavoro sommerso, cioè irregolare e da quello illegale (proprio così, avete letto bene!). Ciò si deve alla visione maschile e patriarcale dell’economia che discende da Adam Smith, anche se già nel 1941 una ricercatrice molto in gamba, Phyllis Deane, aveva proposto il riconoscimento economico del lavoro di cura e domestico, nel disinteresse generale dei suoi professori. Sul punto si veda anche il pensiero di Ina Praetorius, pubblicato per la nostra serie Credito alle donne nel numero 217 di vitaminevaganti e la puntata di Les salonnières virtuelles dedicato a Economia politica e società in cui si riportano dati dal libro Invisibili di Caroline Criado Perez.
Se si decide di allattare al seno per almeno sei mesi il tempo dedicato a questa attività varia dalle 17 alle 20 ore a settimana, con un risparmio di spesa per lo Stato che le due economiste quantificano sulla base di ricerche citate e che lo Stato si guarda bene dal riconoscere.
Al rientro al lavoro le madri saranno penalizzate, mentre ai padri non succederà nulla. In alcuni Paesi, come gli Usa, addirittura potrebbe verificarsi per il padre una situazione economica migliore. Nel frattempo, ai bambini dovrebbero pensare i nidi, agenzie educative fondamentali per la formazione e la crescita. Purtroppo, in Italia siamo al 26% di copertura dei posti nei nidi e il Governo che invita le donne a fare figli non pare intenzionato ad assicurarne di più, visto anche il ritardo di quanto previsto a questo proposito dal Pnnr. Ricordiamo che la proposta dell’istituzione degli asili-nido in Italia ha avuto come prima firmataria la Madre Costituente Angiola Minella, che li riteneva necessari «a fronte dell’entrata massiccia delle donne nel lavoro produttivo, uno dei fenomeni più caratteristici, importanti e irreversibili della società moderna». Minella dovette attendere il 1971, nonostante il miracolo economico italiano, per vedere attuata l’istituzione degli asili nido.
Le donne che sceglieranno di avere comunque figli, anche 2 o 3, vedranno peggiorare il loro lavoro, alcune saranno licenziate, altre si licenzieranno perché conciliare il ruolo di moglie e di madre e il lavoro è impossibile. Altre saranno costrette ad accettare il part time, che non le renderà mai indipendenti. «La donna si fa flessibile, fa rinunce, per avere figli. Sarà penalizzata per questo», ricorda nel suo articolo per La Svolta Se essere madri significa diventare povere l’economista Azzurra Rinaldi. E se passati gli anni a una donna capiterà di separarsi? La vita, ricorda Rinaldi, sarà ancora più dura. Perché quando ci si separa, si diventa più poveri, ma la donna di più, perché è quella che quasi sempre guadagna meno e dovrà continuare a dipendere da qualcuno che ha lasciato o che l’ha lasciata, magari sentendosi anche accusare dai figli o dalle figlie di essere povera, rispetto a un padre che si preferisce perché dà ai figli/e più cose. Donne che subiranno violenza economica, di cui purtroppo si parla ancora pochissimo, una violenza che non colpisce solo le madri separate ma anche le non separate, che dipendono economicamente dal marito o compagno. Di solito ci si separa intorno ai 50 anni e difficilmente si troverà un lavoro e se lo si troverà non ci si potrà permettere un aiuto domestico, a causa dei soldi, che sono sempre pochi. Le donne saranno penalizzate anche sulle pensioni, perché scegliendo il part time o essendo state lontane dal lavoro per alcuni periodi per crescere i figli e le figlie nei primi anni di vita hanno guadagnato meno. «Essere anziane e povere è una cosa terribile, un prezzo altissimo, troppo alto per essere diventate madri nel Paese che le madri le punisce» continua l’economista che sul Il Sole 24 ore cura la rubrica Econopoli. Ci vorrebbero lavori veri e garantiti dalle tutele del welfare sia per le donne che per i e le giovani, ci vorrebbe un salario minimo, che non c’è, ci vorrebbe un reddito di cittadinanza nei periodi anche lunghi di disoccupazione involontaria, ma media e politici lo hanno talmente sbeffeggiato e ridotto al punto che ormai quasi nessuno prova a ricordarlo e ci siamo quasi convinti/e della sua dannosità, nonostante autorevoli voci come quella di Chiara Saraceno e dati oggettivi dimostrino che senza questo sostegno economico, previsto in molti Stati dell’Ue, le persone cadute in stato di povertà oggi sarebbero molte di più. Ci vorrebbe una politica massiccia di case per i giovani.

Allora forse bisogna dire chiaro e tondo alle donne che se decideranno di avere figli il prezzo che pagheranno potrebbe essere la povertà. Se non vorranno rischiare di diventare povere, dovranno scegliere di non avere figli. A meno di optare per l’espatrio. Rinaldi ricorda che sono ormai 100mila le persone che ogni anno se ne vanno dall’Italia, non solo giovani. Anche là, se pur in certi Stati più sostenute, le donne pagheranno il prezzo di crescere i bambini e le bambine lontane dai loro nonni e nonne. Quale soluzione è preferibile?
Il testo di Ladynomics si chiude con una riflessione molto interessante, già enunciata in apertura della newsletter: la maternità ha anche un aspetto politico; Gentile e Badalassi lo dimostrano citando le Madri e le Nonne di Plaza de Mayo e la March of the Mummies che si è svolta in Gran Bretagna per enunciare i costi insostenibili dei servizi all’infanzia. Esiste una leadership materna di cui le nostre società hanno urgente bisogno. Le economiste non si riferiscono «alla leadership della madre del Mulino Bianco, o della sofferente madre-colf-badante, tutte chiuse nella sola dimensione privata e alle quali nessuno darebbe in mano le sorti di un paese», ma a una leadership politica «che abbraccia un concetto di materno inteso come potere di procreazione, di vita e di cura in senso lato. É arrivato il tempo della riparazione e della ricostruzione, di anime prima che di infrastrutture, della crescita paziente e inclusiva, che richiede leader materni/e con l’obiettivo ultimo della sopravvivenza della specie (perché di questo si tratta nel lungo termine, tra pandemie, crisi climatiche epocali, apocalissi tecnologiche e finanziarie, e tutte/i, in qualche modo, lo percepiamo). Abbiamo bisogno – e subito – di leader materni/e». Questo discorso, che Badalassi aveva già esposto in occasione di una puntata del bellissimo programma La cura di Radiotre di Marino Sinibaldi, in tempo di pandemia, non riesce ancora a entrare nella narrazione veicolata dai media mainstream, come nemmeno quello della other mothering, purtroppo e men che meno in questi periodi in cui impera il linguaggio bellicista, usato da uomini e donne di potere. Un discorso sulla maternità fortemente politico, adattabile anche agli uomini, che con la Festa della Mamma non ha proprio nulla da spartire. Forse perché c’è ben poco da festeggiare.
Qui il collegamento alla newsletter di Ladynomics M’amma non M’amma.
Alcuni video di ciò che le madri vorrebbero per la Festa della Mamma:
What we REALLY want for Mother’s Day di WhatsUpMoms;
What do mothers want for Mother’s Day; the answer is ‘TIME’ di Fox 26 Houston;
Why moms are miserable di Sheryl Ziegler, TEDx Talks.
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Articolo di Sara Marsico

Giornalista pubblicista, si definisce una escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la maiuscola. Docente per passione, da poco a riposo, scrive di donne, Costituzione, geopolitica e cammini.