Pausa pranzo

Mangio fuori, oggi. Anche se ho fatto la spesa e il frigo è pieno. Ma è la mezza passata e di tornare a casa proprio non mi va; così mi fermo al bar, a un tiro di schioppo da casa mia. Giusto una mezz’oretta, a un tavolino all’aperto. Oggi c’è un bel sole tiepido e si sta bene fuori, e poi capita a volte di aver voglia di stare da sole ma in mezzo alla gente. Nel tavolo vicino a me c’è un gruppo di tre persone, giovani: un ragazzo con la barba e due ragazze che si assomigliano, forse sorelle. Le ho intraviste tornando al tavolo dopo una sosta in bagno, sono arrivate dopo di me, e mi siedo al mio posto dandogli la schiena. Le sento parlare dietro alle mie spalle mentre scorro il menu, ordino e poi inizio a sorseggiare la mia birra in attesa dell’insalata che ho scelto.

Le sento? Che dico? Lo sento. Perché a parlare è sempre lui, il barbuto. Ogni tanto una delle due – sempre la stessa – interloquisce per chiedere qualcosa o favorire delucidazioni ulteriori. Sommessamente, ossequiosamente direi. Il barbuto parla con molta convinzione dei problemi incontrati nel suo lavoro, non so quali, non so quale lavoro, ma le due sono tutte orecchi, in religioso silenzio. Il quasi monologo continua per mezz’ora, me ne sto andando quando la più silenziosa delle due prende finalmente la parola e l’ascolto mentre pago e poi aspetto il resto, già in piedi, così posso anche sbirciarla. Parla, a strappi, delle esperienze lavorative che si aspetta, ma non pare tanto convinta, e ridacchia. Come se fosse un po’ a disagio nel parlare di sé, come se volesse dire: mica voglio prendermi sul serio, per carità di dio, so bene che nonne ho diritto, eh! Mi vengono i nervi, anzi no, mi erano già venuti prima. Ma non è che siano proprio nervi, è inquietudine.

A rigirarmi dentro è il dubbio. Sarà proprio vero, mi chiedo, che siamo noi a farli venire su così diversi, i maschi e le femmine? Noi adulte/i, genitori, insegnanti eccetera (molti eccetera), con un’educazione sbagliata, aspettandoci dagli uni esattamente questa bella sicurezza, questa determinazione, questa consapevolezza della propria importanza, questa capacità di mettersi sempre al centro, mentre condanniamo le altre ad accogliere, a supportare e consigliare il maschio di turno – amico, fratello, marito, figlio – nel timore di non essere mai adeguate? E se invece nascessimo proprio programmate e programmati così, femmine e maschi, irrimediabilmente diversi? Non lo so, non lo so, non lo so e non lo saprò mai.

La parità di genere è ormai argomento mainstream, si va nelle scuole a parlarne alle classi, si proiettano filmati, si passano slide, si propongono lavori, ma quando si piazza lì una domandina, si chiede un parere, si propone di raccontare un’esperienza, chi è che risponde? I maschi, sempre loro. E le femmine? Zitte. Ma perché? Eppure lo sappiamo bene che le bambine sono più brave, e che soprattutto nel parlare hanno più facilità. Sappiamo anche che agli esami ottengono voti più alti, che sono le ragazze a vincerei concorsi, che nella magistratura le donne sono ormai la maggioranza, come nella professione medica, e in polizia serpeggia l’inquietudine perché si profila la femminilizzazione (ohibò!) delle forze dell’ordine (ma lo spirito di squadra, che è cosa virile, con tutte ‘ste femmine che fine fa?). Perché tacciono, allora, e lasciano la parola ai maschi? Perché si tirano indietro? Perché è questo che succede: si tirano indietro, e sembra che stiano bene nel ruolo di consigliere, di supporter, di spalla. Ma lo sembra soltanto o ci stanno bene davvero? Non so rispondere con sicurezza, non lo so, non lo so, non lo so. E se fosse che stiamo sbagliando proprio tutto? Mettiamo che sia un errore colossale parlare di emarginazione, che la stragrande maggioranza delle femmine in tutto il mondo sia contentissima di un ruolo subordinato, che desideri con tutte le forze di stare un passo indietro, come le donne musulmane tenute a camminare sempre alle spalle dell’uomo che le accompagna. Potrebbe essere, insomma, che siamo noi a sbagliare, noi donne e uomini convinti che una vera parità è raggiungibile e se ancora non c’è, questo dipende da una società sessista e discriminatoria. Non credo che sia così, ma non posso esserne sicura.

Di una cosa però sono sicura, al cento per cento sicura: che non è così importante sapere come stiano davvero le cose. Ammettiamo pure che noi, donne e uomini (pochi, ma ci sono) che vogliamo camminare fianco a fianco con gli stessi diritti e gli stessi doveri, donne e uomini cui questo sistema del passo indietro non sta bene, siamo una minoranza che si illude. Non credo sia così, ma ammettiamo che lo sia. Ebbene, anche in questo caso sono certa, certissima, che non dobbiamo sentirci dire che il nostro sogno è sbagliato, o peggio che quelli e quelle sbagliate siamo noi. Perché nessuna minoranza, ammesso e non concesso che lo siamo, deve sentirsi obbligata a conformarsi a una realtà che sente estranea, nessuna persona deve rinunciare a se stessa quando il suo agire non danneggia chi le è vicino.

Ci sono persone, uomini e donne, per cui sposarsi e mettere al mondo figlie/i è una priorità, altre per le quali non lo è. Nessun uomo, nessuna donna deve adeguarsi a programmi che non sono i suoi. Nessun governo deve venirci a dire di fare figlie/i perché abbiamo dei doveri nei confronti del Paese. Si occupi, invece, il governo, come è suo compito (e come ora è diventato possibile per decisione di un’Europa concretamente presente in questo campo) di rendere realizzabile l’aumento della natalità con le strutture indispensabili alle famiglie. E lasci che queste (le famiglie, non la famiglia) si orientino a seconda delle proprie inclinazioni. Quando infilo la chiave nella toppa mi accorgo che non ho più i nervi. L’irritazione per il monologo del barbuto e il leggero fastidio per l’inconsistenza delle sorelle, o quel che erano, sono spariti. Pacificata, per ora. Fino alla prossima volta.

***

Articolo di Loretta Junk

qvFhs-fC

Già docente di lettere nei licei, fa parte del “Comitato dei lettori” del Premio letterario Italo Calvino ed è referente di Toponomastica femminile per il Piemonte. Nel 2014 ha organizzato il III Convegno di Toponomastica femminile. curandone gli atti. Ha collaborato alla stesura di Le Mille. I primati delle donne e scritto per diverse testate (L’Indice dei libri del mese, Noi Donne, Dol’s ecc.).

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