Nel novembre scorso la commissione Toponomastica del comune di Pistoia ha deliberato di dedicare uno spazio verde in via degli Orti a una concittadina illustre, di cui tuttavia nel tempo si era quasi perso il ricordo.

Eppure il convento francescano di Giaccherino, appena fuori città, nel chiostro maggiore ospita fra le tombe il bel monumento funebre fatto erigere dal marito per Louisa Grace, adornato da un pregevole medaglione di Giovanni Duprè, da un’epigrafe e da versi tratti da una sua poesia. Dotata di naturale finezza, di profonda fede politico-religiosa, «nata a ogni cosa gentile / amò i fiori / coltivò le arti belle e la letteratura»: l’amico Giuseppe Chiarini così la ricorda sulla stele marmorea nel giardino interno della sua casa nella centralissima via della Madonna, al n.52, casa che – con tutto ciò che ancora contiene – fu riconosciuta “bene culturale” e sottoposta a vincolo dalla Soprintendenza, purtroppo non visitabile né in buone condizioni.

Ora finalmente la proposta si è concretizzata e salutiamo un nuovo nome femminile per un piccolo grazioso giardino, che a Louisa sarebbe piaciuto.
Ma chi era questa donna fine, garbata, colta di cui, a nome di Toponomastica femminile, ci siamo occupate più volte? Louisa Grace era nata a Bristol nel 1818, secondogenita di una nobile famiglia cattolica irlandese che vantava antiche origini italiane di cui era assai fiera e che coltivava con i viaggi e lo studio della lingua. Dicevano addirittura che l’antenato fosse giunto da Firenze, attraverso la Normandia, nel 1016, e che da un pronipote, un certo Gros o Gras, viceré d’Irlanda, derivasse il cognome Grace. Nel 1828 Louisa andò a vivere con la madre a Sorèze, in Francia, per curare la salute malferma; lì studiò arti figurative, pianoforte, lingue straniere, in particolare l’italiano, sotto la guida di Pellegrino Arrighi. Compì vari viaggi in Italia e visitò Livorno e Siena, dove conobbe il patriota padre cappuccino pistoiese Angelico Marini (1799-1866), seguace di Vincenzo Gioberti, che fu suo istitutore e guida spirituale per tutta la vita. Nel 1840 visse a Siena e poi a Pisa e pubblicò una canzone dedicata alla regina Vittoria. Nel 1841 scelse Pistoia come sua dimora, risiedendo nel palazzo della famiglia Puccini; gradualmente ma con determinazione si inserì nella vita culturale cittadina e iniziò a partecipare a cenacoli letterari, feste, celebrazioni, diradando fino a sospenderli i rapporti con la madrepatria, dove si recò raramente. Dal 1847 si trasferì in un’abitazione più ampia, quella definitiva, e aprì il suo salotto a intellettuali toscani come Renato Fucini, Atto Vannucci, Ferdinando Martini e a pittori, fra cui spiccano i nomi di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini.

Per un certo periodo, fra questi ospiti abituali, vi fu Giosuè Carducci, nel 1860 giovane ed esuberante insegnante presso il Liceo classico Forteguerri; con lui sviluppò un bel sentimento di reciproca stima e vera amicizia destinato a durare nel tempo, anche quando il poeta si trasferì a Bologna. È proprio Carducci a lasciarci un ritratto fisico di Louisa, descritta nei Ricordi molto pallida, «quasi di perla», con «una folta capigliatura castagna», caratterizzata dalla «solennità dello splendore quieto e contemplativo degli occhi neri nella fronte pura e spaziosa». Nell’omaggio la ricorda anche come abile traduttrice dall’inglese in italiano e maestra nell’uso dei versi sciolti, capace di cogliere l’essenziale, di «cogliere i fiori che resistono al trapiantamento» con «facilità e armonia» uniche.
Sappiamo poi che – grazie ai suoi eclettici interessi – Louisa si dilettava nel suono del pianoforte e nella composizione di delicate romanze e amava dipingere, magari nel piccolo appartato giardino, utilizzando svariate tecniche e scegliendo i soggetti più diversi: dal paesaggio alla natura, al ritratto. Fra le sue frequentazioni vanno citate anche due donne importanti nella Toscana dell’epoca: Erminia Fuà Fusinato, poeta e patriota veneta, moglie dell’autore della nota poesia L’ultima ora di Venezia, e la celebre improvvisatrice Giannina Milli, con cui «condivide l’amore delle lettere e della patria», come ha scritto lo studioso Fabio Flego, al quale si deve in gran parte la riscoperta di Louisa grazie alle sue ricerche pubblicate nel 2006 e nel 2013. Come molte anglosassoni, fu vicina alla causa italiana e scrisse poesie di argomento storico e patriottico, per esempio l’ottava Alla spada di Castruccio (1845), il sonetto A Vincenzo Gioberti (1848), i versi Alla sacra memoria de’ martiri lombardi del 1848 (1848), la canzone All’Italia (1860), il canto A Garibaldi (1862), pubblicato postumo a cura del marito.

Non trascurò altre tematiche, come gli affetti familiari che dettero vita ai versi del Canto elegiaco in ricordo dell’amato padre sir William, e la fede, con la canzone A Santa Caterina de’ Ricci (1846) e vari sonetti (Pel Venerdì Santo, A Gesù crocifisso, Alla Madonna del Soccorso).Collaborava alla Rivista di Firenze di Atto Vannucci, a riviste femminili con novelle e prose, a periodici con articoli sulle arti figurative. A proposito di novelle, da segnalare Povera Rosina (1862) in cui affronta con originalità il tema non facile di un processo ingiusto, ai danni di una giovane accusata di omicidio; sorprendente poi che l’autrice sembri, da buona cattolica, prendere posizione contro la crudeltà della pena di morte. Nel 1860 lesse all’Accademia letteraria di Firenze e poi pubblicò la canzone Roma a favore dell’unità italiana; lo stesso anno sposò il brillante ingegnere e architetto pistoiese Francesco Bartolini (1831-1914), più giovane di lei di tredici anni, che si era nel frattempo occupato della ristrutturazione della casa, in vista delle nozze imminenti. Nel 1863 Louisa partecipò all’ultima edizione delle “Feste parentali” pistoiesi, istituite nel 1824 per celebrare i grandi d’Italia; a lei l’onore di ricordare con delle terzine la figura di Machiavelli.
I due sposi trasformarono il loro salotto in una «fucina politica di nuove idee liberali e patriottiche, un cenacolo letterario e artistico, ma anche musicale» (ancora Flego). Tuttavia la felicità matrimoniale di questa «buona e amabile donna», come la definì Isidoro del Lungo, fu assai breve perché non riuscì a portare a termine una tardiva gravidanza e la cronica malattia di petto la condusse alla morte a soli quarantasette anni, il 3 maggio 1865.

Il marito, l’anno seguente, fece pubblicare il volume Prose e rime a ricordo di Louisa Grace Bartolini, quindi la sua traduzioni dall’inglese di poesie di Macaulay e Longfellow, infine le Rime e prose originali e tradotte di Louisa Grace Bartolini (1870) con prefazione di Carducci. Nel 1913 donò alla Biblioteca Marucelliana di Firenze carte, lettere, album di disegni, ritratti, dipinti della moglie perché venissero degnamente conservati in una elegante libreria da lui stesso disegnata e fatta realizzare.
Un dato di grande interesse ci viene fornito dall’atteggiamento di questa bella figura di intellettuale, che amava definirsi “pellegrina d’oltremare”, nei confronti dell’Italia e della sua storia, della cultura, della lingua. A differenza di molte persone straniere che avevano scelto nel XIX secolo di vivere nel nostro Paese, chiuse nel loro mondo, nelle loro ville, nei loro giardini, in un sogno astratto che idealizzava le bellezze artistiche in maniera prettamente romantica e “sentimentale”, Louisa cercò invece di diventare una vera «patriota italiana» (così la definì lo zio George Brooke), anzi volle sentirsi pistoiese, abbandonando totalmente la lingua e le tradizioni inglesi, leggendo e scrivendo in italiano, circondandosi con molta semplicità e gentilezza delle care amicizie italiane, svolgendo «un’ambiziosa azione stimolatrice della cultura locale» (come ha sintetizzato Giuliana Bonacchi Gazzarrini). La sua biblioteca ne è preziosa testimonianza: i classici inglesi (da Shakespeare a Scott, da Byron a Sterne), francesi e tedeschi, sono sì presenti, ma quasi tutti in traduzione italiana; poi troviamo i grandi della cultura latina e greca, da Apuleio a Cicerone, da Eschilo a Plutarco, ma soprattutto gli italiani: Dante, Petrarca, Ariosto, Tasso, Alfieri, Manzoni, Leopardi e molti altri.
Con tutto l’affetto e la simpatia che merita rendiamo omaggio a questa “pellegrina d’oltremare” che in Toscana ritrovò la sua vera patria e leggiamo le sue stesse parole, l’incipit dell’ode All’Italia:
«E qui ritorno ai lari,
Qual rondinella al suo natio balcone,
Ov’ebber cuna i padri miei!»
Per approfondire:
Marta Beneforti, Laura Candiani, Laura Galigani, Pistoia. Tracce, storie e percorsi di donne, Roma, EUS, 2017.
Fabio Flego, Louisa Grace Bartolini «coltivò le arti belle e la letteratura», Pistoia, Brigata del Leoncino, 2006.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.