Il coinvolgimento delle donne nei processi decisionali, su più livelli della società, è uno degli obiettivi della strategia per la parità di genere 2020-2025 dell’Unione europea. Da diversi anni, ormai, gli studi mostrano che un buon equilibrio di genere nella leadership migliora le prestazioni delle aziende, stimola la crescita economica, contribuisce a una buona governance e a un aumento della fiducia del pubblico. D’altronde, perseguire l’ideale della democrazia significa anche questo: battersi perché donne e uomini siano coinvolti equamente nelle diverse posizioni decisionali della nostra società.
La Commissione ha per questo affermato che si impegnerà, per le elezioni del 2024, a dedicare un’attenzione specifica alla rappresentazione delle donne, e a promuovere azioni specifiche per raggiungere l’equilibrio di genere.
Il Parlamento ha adottato, nel 2022, la proposta della Commissione di modificare il regolamento su statuto e finanziamento dei partiti politici europei, grazie alla quale questi saranno tenuti ad inserire nei loro statuti norme specifiche sulla parità di genere e a includere nelle domande di finanziamento all’Ue prove sull’impegno riguardo alla rappresentanza di genere tra i candidati alle elezioni parlamentari.
Nel 2022, il tema della parità di genere nelle elezioni e nella partecipazione politica è stato ampiamente discusso, studiato e affrontato, grazie anche al fondamentale contributo dell’Eige (European institute for gender equality), che dal 2004, raccoglie tutti i dati più rilevanti sulla questione e ci permette di trarne considerazioni utili.
Ad esempio, la Rete europea per il diritto dell’uguaglianza (EELN), finanziata dalla Commissione, ha condotto uno studio sulla promozione di un processo decisionale politico equilibrato dal punto di vista del genere in alcuni paesi europei, fra cui Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Regno Unito. Lo studio ha evidenziato diversi ostacoli alla partecipazione delle donne alla vita politica, fra cui l’assistenza, il denaro, la fiducia, la cultura e il processo di selezione dei candidati. Nonostante gli Stati membri stiano adottando una serie di misure volte a raggiungere una proporzione più equilibrata, infatti, solo sei di questi possono vantare dei Parlamenti composti da più del 40% di donne. In cima alla lista troviamo la Svezia, con una percentuale del 46,4%, ma dobbiamo anche tristemente constatare che la proporzione scende vertiginosamente se osserviamo altri paesi dell’Unione come l’Ungheria, in cui le donne parlamentari sono solo il 13,1%.
In dieci Paesi i governi sono piuttosto equilibrati dal punto di vista del genere: è il caso di Spagna, Finlandia, Belgio, Francia, Paesi Bassi, Germania, Estonia, Lituania, Svezia e Portogallo; mentre in altri, come Romania, Grecia e Ungheria i governi sono ancora composti in grandissima parte da uomini, e meno del 10% dei ministri sono donne.
C’è da dire, tuttavia, che l’adozione di leggi sulle quote di genere per candidature alle elezioni nazionali ha portato ottimi effetti nel tasso di partecipazione femminile: i dati mostrano come questo sia nettamente più elevato negli undici Stati membri che le hanno introdotte, arrivando ad essere cinque volte superiore rispetto al tasso degli altri Paesi.
A livello regionale, le donne sono leggermente meglio rappresentate: nelle assemblee raggiungono il 35,1% e negli organi esecutivi il 36,1%; meno di un quinto dei sindaci o dei dirigenti comunali, tuttavia, sono donne.
Anche a livello locale non mancano le iniziative volte a promuovere una maggior partecipazione femminile nelle istituzioni. Nell’autunno 2022, è stato, per esempio, lanciato in Austria il progetto “Ragazze in politica”: allo scopo di motivarle a impegnarsi nella politica locale: alle giovani donne, fra i 6 e i 18 anni, è stata data l’opportunità di seguire le sindache di tutta l’Austria in una loro tipica giornata lavorativa, per farsi un’idea del funzionamento dell’amministrazione locale.
In generale, nel 2022, la Commissione ha finanziato diversi progetti per la parità di genere nei processi decisionali politici ed economici; fra questi citiamo “HerStory” che, guidato dall’Università di Salamanca, si propone di raccontare, tramite i nuovi media e i canali digitali, il contributo delle donne nel corso della storia e di affrontare la loro mancanza di visibilità nelle storie locali delle città di tutta Europa.
Inoltre, anche se l’Eige afferma che le donne sono state in prima linea nel processo decisionale della lotta contro la pandemia da COVID-19, rappresentando il 43,3% dei membri degli organismi scientifici consultivi a fianco dei governi degli Stati membri, il quadro non è altrettanto brillante in altri settori e la Commissione si dovrà impegnare per raggiungere la parità di genere su tutti i livelli.
Pensiamo, ad esempio, alla scarsa rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle imprese e nelle posizioni dirigenziali, dove i progressi sono molto lenti e disomogenei in tutta l’Ue. Ed è importante sottolineare che questo avviene nonostante il livello di istruzione delle donne oggi sia nettamente più alto di quello degli uomini e queste siano quindi, a tutti gli effetti, qualificate, ambiziose e disposte ad assumersi responsabilità di leadership. Le barriere che ostacolano l’accesso alle posizioni decisionali più rilevanti, note come “glass-ceiling”, continuano a persistere, e certamente non scompariranno senza ulteriori interventi.
In realtà, bisogna riconoscere lo sforzo di alcuni Paesi, che hanno raggiunto ottimi risultati: in Francia, Italia, Paesi Bassi e Danimarca le maggiori società quotate in borsa hanno almeno il 40% di ciascun genere nei loro consigli di amministrazione e otto Stati membri hanno fissato quote di genere per la formazione degli organi societari.
Nel 2012, la Commissione europea aveva proposto una legislazione per affrontare il problema della sottorappresentazione delle donne nella gestione aziendale e la mancanza di trasparenza nei processi di selezione, indirizzata alle maggiori società quotate dell’Ue. Dieci anni dopo, la Direttiva 2022/2381 è stata finalmente adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio segnando una svolta nodale nella politica dell’Unione in materia di uguaglianza di genere. L’obiettivo, sostanzialmente, è che il sesso sottorappresentato costituisca almeno il 40% dei membri non esecutivi dei consigli di amministrazione o il 33% di tutti gli amministratori entro il 30 giugno2026. È tuttavia interessante notare che nessuna donna in Ue è a capo di una Banca Centrale, nonostante la Presidente della Bce sia Christine Lagarde, la prima donna dopo una serie di uomini alla guida dell’importante istituto dell’Unione.

Gli obblighi riguardano anche il processo di selezione e la relativa rendicontazione: l’analisi dei/lle candidati/e deve applicare criteri chiari, neutri e non ambigui e, qualora due soggetti risultino egualmente qualificati, la scelta deve essere fatta a favore del sesso sottorappresentato.
Perché la Direttiva risulti efficace, gli Stati membri, che hanno il compito di recepire le sue disposizioni nel diritto nazionale entro due anni, devono anche prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per le società che non rispettano tali indicazioni.
La convinzione di fondo è che misure più “rigide”, in quanto impongono obiettivi legalmente vincolanti, possano avere un impatto maggiore rispetto ad approcci più “morbidi”, che invece si limitano a incoraggiare l’assunzione volontaria di taluni comportamenti, lasciando alle singole società ampia discrezionalità di indirizzo.
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Articolo di Chiara Giacomelli

Laureanda in Management presso l’Università di Pavia. Ama le cene in compagnia e leggere un libro che la tenga incollata fino ad addormentarcisi sopra. Ha tanti sogni nel cassetto, ma non sa da quale cominciare… perciò per adesso si limita a “fare la fuorisede” e a scrivere la tesi, sempre in compagnia delle sue cuffiette, da cui non si separa mai, e di una tazza di tè fumante.