Quando i lupi e le lupe raccontano

L’idea di questo spettacolo teatrale per l’infanzia, volto alla parità, nasce dal voler usare l’arte come veicolo. Entrare nelle scuole proponendo il teatro, in questo caso nella forma della messa in scena, significa non solo allenare i piccoli e le piccole ai linguaggi artistici, ma soprattutto utilizzarli inserendoli in una pratica routinaria e istituzionalizzata (l’andare a scuola), per costruire contenuti ispirati ai valori di cittadinanza e democrazia. Spesso, il cambiamento ci chiede di decostruire l’ovvio.

L’ovvio è ciò che i bambini e le bambine vedono tutti i giorni: donne (100% dai dati Istat) che si occupano della cura nei nidi, donne (99%) che si occupano di loro nelle scuole dell’infanzia, fino a trovare ancora donne (circa il 95%) che svolgono la professione di maestre.
L’ovvio è vedere i campi di calcio, accanto alle strade, con pochissime bambine, vedere spesso l’uso del rosa nelle femmine e l’uso dell’azzurro nei maschi. Immersa in questa realtà, non mi stupisco più di tanto se in classe mi capita, da giovanissimi alunni e alunne, sentir ancora ancora dire «maestra, lo sanno tutti che esistono colori femminili e colori maschili».

“Lo sanno tutti” significa che questo è ciò che vedono, almeno nei loro primi dieci anni di vita. Da adulti e adulte sappiamo che i fatti culturali (le mode, le influenze del mercato, fino ai modi di dire, i luoghi comuni) sono figli del tempo e dunque modificabili. Il teatro, in questo caso nella forma della messa in scena, è un’occasione per creare nuove esperienze in grado di modificare “quell’ovvio” che appartiene all’esperienza di tutti e tutte noi, ma ancora di più appartiene all’esperienza dei più piccoli e delle più piccole, condizionandone l’immagine di sé, la capacità di immaginare sé stessi e sé stesse in una pluralità di dimensioni, professioni, attività (Questo rischio è bene evidenziato nel libro, Gabbie di genere, retaggi sessisti e scelte formative, di Biemmi e Lionelli, di cui consiglio la lettura).

Mosse dalla voglia di portare il teatro a scuola in una cornice volta alla parità, (anche grazie alla fiorente letteratura per infanzia sensibile al genere sviluppata negli ultimi 10 anni) è nato, nel 2019, il primo progetto, in collaborazione con Damiana Solinas, violista e direttrice de Le stanze della musica: StorieSenzaStereo(tipi). Si tratta di un percorso per i bambini e le bambine della scuola primaria. Gli incontri si svolgono a scuola, con due brevi spettacoli teatrali e due letture animate, il tutto seguito da momenti laboratoriali che prevedono la costruzione di manufatti (la barchetta dei sogni).

I racconti sono liberamente ispirati a narrazioni per l’infanzia sensibili al genere. Ricordiamo Cosa farò da grande, Federico e Federica e Il trattore della nonna. L’entusiasmo dei bambini e delle bambine, in questi anni, ci ha sempre permesso di credere in questo progetto e anche grazie al sostegno degli e (soprattutto, visto il numero sensibilmente maggiore) delle insegnanti, abbiamo raggiunto 300 alunni e alunne in due scuole del territorio saronnese, in provincia di Varese, che hanno partecipato a StorieSenza Stereo(tipi). Il percorso è preceduto da una formazione di quattro ore sulla pedagogia di genere per gli e le insegnanti che aderiscono al progetto. In questa sede, vengono esplorati sia gli studi di genere da un punto di vista interdisciplinare, sia gli studi sul sessismo nei libri di testo, fino a proporre strumenti e metodologie di lavoro sensibili al genere. Nell’ultimo anno la formazione si è arricchita anche grazie alla presenza di Ilaria Gaudenzio, insegnante esperta in albi illustrati. Il voler moltiplicare le narrazioni, il voler creare nuovi modelli, attraverso un immaginario lontano da stereotipi legati ai ruoli sociali, per ampliare “i mondi possibili” e dunque i margini di pensabilità di bambini e bambine, ci ha portato a scommettere ancora sul teatro ed è cosi nato, nel 2022 Quando i lupi e le lupe raccontano.

Si tratta di uno spettacolo di narrazione con musica dal vivo, per bambini e bambine dai cinque anni in su (con Christian Di Trocchio, Damiana Solinas e Patrizia Danieli).
In questi due anni la rappresentazione ha raggiunto quasi 200 bambini e bambine. Un lupo e una lupa portano i piccoli e le piccole in un viaggio liberamente ispirato alle fiabe tradizionali, per riscrivere il finale o per modificare, insieme, alcuni particolari legati ai ruoli. È importante per noi mantenere la struttura della fiaba, poiché solo questo ci permette di collocarla nel tempo, di vederne le sfaccettature, gli stereotipi sessisti legati al periodo storico in cui la fiaba è stata prodotta.

È così possibile sperimentare agentività Agency, un concetto sociologico, definito come la capacità degli individui di agire in modo autonomo e di prendere decisioni proprie in particolari situazioni. Le strutture del sistema sociale, posizione sociale, contesto, invece, possono limitare la capacità di agire delle persone partendo dal campo di pensabilità di ogni singolo individuo, ossia la capacità di ritenere possibile l’essere protagoniste/i di un cambiamento che coinvolga l’ambiente, ma anche la sfera professionale e personale – modificare un finale, immaginare nuove possibilità. Si tratta di una dimensione di profonda trasformazione che il teatro rivela, con la sua capacità di creare esperienze di incontro, di relazione. Ecco allora nuovi modelli: uomini (o lupi) timidi, sensibili, delicati e felici, accanto a donne (o lupe) a volte un po’ brusche, combattive, abituate a esplorare il mondo. La musica, il clima ilare e divertente, lo stile a comico hanno sempre reso lo spettacolo ricco di risate e di coinvolgimento da parte del giovanissimo pubblico. L’ironia è un mezzo di cui lo spettacolo si avvale fin dalle prime battute grazie soprattutto all’attore e insegnante Christian Di Trocchio, che ha lavorato in spettacoli di cabaret fin da giovanissimo. L’ironia è, inoltre, una delle virtù che ci rende “attenti al reale”.
«Consente le contraddizioni, le incertezze del vivere, educa a conoscere e a essere tolleranti verso le proprie e altrui difficoltà, a mitigare anche le sofferenze». E ancora: «[…] se chi educa, riesce a fare proprie le virtù dell’ironia, a partire dall’autoironia che è autopedagogia, può tentare di condividere alcune risposte, apprezzare insieme la leggerezza di un conoscere ed essere nella vita che insegna la parzialità e con essa l’autorizzazione all’interpretazione» (Barbara Mapelli, Nuove virtù, Guerini, 2004).
È grazie a questa ironia che abbiamo sempre apprezzato anche il sorriso e le risate degli e delle adulte poiché la trama si presta a diverse letture. Proporre un immaginario sensibile ai ruoli di genere aiuta a immaginare sé stessi nel futuro.

Oltre ai piccoli e alle piccole vogliamo ringraziare insegnanti e famiglie per aver sostenuto, in questi anni un progetto teatrale così particolare e legato al nostro tempo. Speriamo che altre scuole e altri/e insegnanti abbiano voglia di scommettere sull’arte teatrale come veicolo. Il linguaggio artistico, come esperienza di relazione, può essere infatti prezioso veicolo per l’emancipazione e l’educazione delle persone. Il teatro moltiplica i campi di pensabilità, suscita emozioni reali nella magica finzione di un luogo che genera significati condivisi. In questo senso può agire sulla cultura, sui modi di dire, sul senso comune anche lontano da stereotipi e pregiudizi.

«Ogni teatro quindi è pedagogia» (Jacques Copeau).

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Articolo di Patrizia Danieli

Nata nel 1980, Patrizia Danieli è educatrice alla teatralità e insegnante. Laureata in scienze dell’educazione e della formazione primaria, da diversi anni si occupa di pedagogia di genere, attraverso percorsi di formazione per adulti e adulte, ma anche attraverso laboratori di narrazione per bambini e bambine. Nel mese di marzo 2020 ha pubblicato Che genere di stereotipi? Pedagogia di genere a scuola. Per una cultura della parità, Ledizioni. Scrive sul blog http://www.questionidigenere.com

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