«Il sol dell’avvenire» di Nanni Moretti. Poche speranze, tante nostalgie

Amo Nanni Moretti. Non sopporto Nanni Moretti.
Eh sì, i film di Nanni Moretti, si amano o si odiano. È sempre disturbante, fastidioso, anche nella trilogia dell’inadeguatezza: Il caimano, Habemus Papam, Mia madre. Nel primo è un uomo ridicolo nella vita privata e nel lavoro, nell’affrontare un amore finito e nel dirigere un film su Berlusconi che non sente suo. Nel secondo quel cardinale, eletto Papa, sa di non essere tra quelli che possono condurre, ma devono essere condotti. Nel terzo, Mia madre, Moretti è “poeta” dell’inadeguatezza, quell’inadeguatezza che urlava già nei suoi primi film e che qui, come già aveva fatto con La stanza del figlio, si àncora alla realtà e diventa ognuno di noi. Un Moretti meno verboso e meno sapientino, sincero e umile, quasi irriconoscibile, che descrive delicatamente le nostre vite e i nostri sentimenti sospesi tra inadeguatezza e stordimento di fronte alla vita e alla morte.

Lasciando da parte Tre piani, secondo alcuni il peggior film di Moretti perché poco morettiano, Il sol dell’avvenire è una mirabile summa dei linguaggi dell’arte cinematografica del Nostro.
Due parole sulla trama: il regista Giovanni sta girando un film ambientato nell’Italia del 1956 su Ennio (interpretato da Silvio Orlando), redattore dell’Unità e segretario di quartiere del PCI, messo in crisi dall’invasione sovietica dell’Ungheria. Parallelamente il matrimonio di Giovanni con Paola (la sempre presente Margherita Buy), la moglie produttrice, va in pezzi senza che lui se ne renda conto. Infine, la trama di un nuovo film sulla storia di una giovane coppia, scandita da canzoni italiane famose, prende corpo nella sua fantasia.

È una sorta di ritorno a casa questo film, alle modalità e ai toni più congeniali a Nanni Moretti, che riscuotono l’affetto di chi lo ha sempre seguito e amato. Se da un lato la riproposizione delle sue solite idiosincrasie, insofferenze e nevrosi rappresenta un comodo rifugiarsi in sé stesso, dall’altro si percepisce il dolore, l’amarezza nel confronto con un presente in cui è difficile riconoscersi e col quale diventa quasi impossibile rapportarsi. Insomma, quello che pensiamo e sentiamo tutte/i noi che condividiamo tempi e storie con Nanni Moretti. Moretti continua a fotografare le derive morali del nostro paese, connettendosi in modo implacabile alla realtà storica e sociale che viviamo, ma ne Il sol dell’avvenire il regista descrive una realtà che non riesce più a decodificare, e forse neppure gli interessa. Meglio dunque rifugiarsi nella capacità tipica del cinema di riscrivere la storia e di rendere credibili le utopie, in questo caso quella di un PCI emancipato da Mosca. Così, reimmaginando il finale, Il sol dell’avvenire si colora di un’espressione contagiosa di gioia, leggera e profonda, che caratterizza da sempre il cinema di Moretti.

Bellissimo, onirico e commovente questo finale. Ci sono tutti gli attori e le attrici non solo di questo, ma di tutti i suoi film, che marciano, come Il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo, verso un augurio: trovare nuove traiettorie e modalità per narrare ancora il nostro presente, le nostre speranze e il nostro smarrimento. La sua espressione, sorniona e sorridente sembra dirci: “Sognare non è mai troppo, i sogni sono importanti, tengono il nostro sguardo largo”. Ecco perché, da buona nostalgica over sessanta, amo questo “faticoso” Moretti.

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Articolo di Vera Parisi

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Scientifico Dell’IIS Matteo Raeli di Noto. È referente dei progetti PTOF Toponomastica femminile – Sulle vie della parità ed Educazione relazionale-affettiva e C.I.C. Parte del gruppo Noto/Avola di T.f, è attualmente interessata alle tematiche relative alla comunicazione relazionale, alla cittadinanza attiva e alle pari opportunità, sulle quali svolge il ruolo di formatrice.

Un commento

  1. Mentre in Ecce bombo il sole sorge alle spalle degli amici che vorrebbero rifare il mondo ma si sentono falliti, il film Il Sol dell’avvenire si conclude con il corteo dei fedeli partecipi al cinema Morettiano che guardano verso il sole e ne sono illuminati. È un segno di speranza?

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