Lasciamo per una volta le donne del mito e dedichiamoci a una donna vera, in carne e ossa, la prima di cui siamo in grado di ricostruire almeno in parte la storia, una donna d’eccezione, perché poeta e grandissima. Di Saffo di Mitilene abbiamo perduto quasi completamente l’opera: troppo scandalosa la sua poesia, per chi curava nei monasteri la trascrizione manuale dei testi antichi, era l’inizio del secondo millennio della nostra era, un’epoca in cui si guardava con sospetto all’intelligenza e alla cultura femminile e con disgusto ipocrita all’amore omosessuale. I grammatici alessandrini avevano messo insieme nove libri di poesie di Saffo, organizzati per lo più in base al metro: nel primo erano raccolte quelle in strofe dette saffiche proprio dal suo nome.
Saffo era celebrata già dai poeti contemporanei, come Alceo, suo conterraneo, e per quasi duemila anni non cessò di essere letta, imitata, e insieme chiacchierata: perché una donna celebre suscita facilmente il desiderio di denigrarla, di incrinarne in qualche modo l’immagine. E così, una volta fallito il tentativo di dimostrare che in realtà era un uomo, di Saffo si disse che era “piccola e nera”, brutta insomma, e che, non essendo ricambiata da Faone, il vecchio barcaiolo cui Afrodite stessa aveva donato un unguento che lo rendesse all’occorrenza giovane e bello, si sarebbe gettata in mare da uno scoglio. I versi che possiamo leggere derivano per lo più da citazioni di autori successivi. Ma la sabbia del deserto e le antiche biblioteche continuano a regalarci emozioni restituendo ogni tanto frammenti di papiri che ampliano le nostre conoscenze. Uno dei più recenti ritrovamenti aggiunge qualche notizia a quelle che già avevamo sulla poeta, nata nell’isola di Lesbo, a poche miglia dalla costa colonizzata e resa florida da Greci di stirpe ionica, che fu per i Romani l’Asia Minore, ed è per noi la Turchia. Saffo apparteneva a una delle famiglie aristocratiche che quando lei nacque, negli ultimi decenni del VII secolo, lottavano per mantenere la loro autonomia contro chi cercava di tenerle sotto controllo, presentandosi come campione dei diritti dei molti contro i pochi.
Di lei sappiamo che aveva una figlia, Cleide, cui aveva dato il nome di sua madre, e tre fratelli che erano un po’ la sua disperazione: il primo, Carasso, cui è affidato il benessere economico legato all’esportazione del vino prodotto a Lesbo fin nel lontano Egitto, si lascia sedurre e irretire da cortigiane esperte; il secondo, Licari, certamente un bel ragazzo se fungeva da coppiere nel pritaneo, sembra volersi trastullare in un’adolescenza prolungata invece di assumersi le responsabilità che il suo rango e il suo sesso comportano.
Non riusciamo invece a ricostruire con precisione il ruolo che Saffo aveva in quello che tempo fa gli studiosi chiamavano tiaso, per analogia con il corteo di donne in preda all’ebrezza che seguono Dioniso. Per evitare questa associazione che rinvia inevitabilmente all’idea di sfrenatezza e promiscuità sessuale e, in mancanza di notizie certe sulla denominazione della ‘cerchia’ di Saffo, dei gruppi di giovani donne che si formavano sotto la sua guida, sono stati proposti termini come scuola, collegio, confraternita, consorteria o etería, evidenziando di volta in volta più l’aspetto educativo o quello religioso, certamente presenti entrambi. Il termine etería, invece, trascrive alla lettera dal greco la parola che designa gruppi di uomini legati dagli stessi interessi e appartenenti alla stessa fazione politica, che si chiamano tra loro hetairoi, compagni, a sottolineare la mancanza di gerarchie. Anche Saffo usa a volte la parola hetaira in riferimento alle donne cui è legata, ma il significato assunto in seguito dal termine (analogo a quello di escort), ne rende problematico l’uso in questo contesto.
Mettendo da parte la questione terminologica, dei gruppi di adolescenti che venivano affidate a Saffo sappiamo con certezza che, sotto la sua guida, apprendevano la danza, il canto, la poesia, l’eleganza, la cura del corpo e l’amore. Erano ragazze aristocratiche, destinate a sposarsi di lì a poco, con un uomo scelto beninteso dalla famiglia, che avrebbero seguito in una città o in un’isola lontana. Nel frattempo la loro vita si svolge sotto il segno di Afrodite, dea della bellezza e dell’eros, cosa che giustifica la prevalenza della tematica amorosa nei versi che la ‘maestra’ compone per loro, dando voce a desideri e sentimenti incanalati in forme codificate o a emozioni più personali e soggettive.

«Afrodite immortale, dal trono dipinto/figlia di Zeus, che trami gli inganni, ti supplico/non tormentare con angosce e dolori/signora immortale, il mio cuore. Ma vieni qui, tu che già una volta/sentendo da lontano il mio grido/mi hai ascoltato […] Sorridendo nel tuo volto immortale/domandavi perché ancora soffrissi/e perché ancora ti chiamassi/e che cosa soprattutto volesse/il mio folle cuore: “Chi ancora devo condurre al tuo amore? Chi, Saffo,
ti fa torto?”» (fr. 1).
Spesso la poesia di Saffo risuona del mormorio delle acque che scorrono in un boschetto di meli, profuma di rose e di viole, di prati fioriti e dell’incenso che brucia sugli altari, risplende dei pleniluni e incanta come il cielo stellato, ma non indulge a leziosità e romanticherie. Eros «dolceamaro, che scioglie le membra, irresistibile strisciante creatura» (fr. 130) è violento «come tempesta che si abbatte sulle querce tra i monti» (fr. 47), è smania insopportabile che brucia il corpo e fa impazzire, se non si è ricambiati. La descrizione degli effetti fisici dell’amore è stata paragonata a quella che si trova nei trattati di medicina.

«Mi sembra che sia come un dio/quell’uomo che siede davanti a te, vicino/e ti ascolta mentre parli con dolcezza/e ridi in modo che affascina./Perché a me invece questo fa balzare il cuore nel petto;/se ti vedo anche per un attimo/perdo la voce, la lingua si spezza,/un fuoco sottile mi corre sotto la pelle, gli occhi non vedono più,/le orecchie rombano, un sudore gelido m’inonda,/mi prende tutta un tremito/e divento più verde dell’erba,/mi sembra di stare per morire» (fr.31).
Quest’ode, forse la più famosa, citata dall’anonimo retore autore del trattato Sul Sublime, come esempio, appunto, del sublime nell’arte, è nota come Carme della gelosia. Ma se questo titolo può apparire adeguato alla rielaborazione che ne fa Catullo, è quanto meno discutibile per l’originale, dove il forte rilievo dato alla parola uomo, sembra piuttosto voler sottolineare le differenti reazioni di un uomo e una donna all’innamoramento: per lui divina imperturbabilità, per lei l’esperienza devastante della perdita totale di sé, una sensazione simile alla morte.
Vale la pena di ricordare che nel mondo greco, e non solo, l’esperienza dell’eros era vissuta in tutta la sua pienezza nelle relazioni omoerotiche, mentre la sessualità tra uomo e donna era finalizzata quasi unicamente alla riproduzione. Fino all’età della pubertà è Artemide, la vergine dea cacciatrice sorella di Apollo, a sovrintendere alla fase ‘selvatica’ della vita di bambini e bambine – paides e parthenoi – in cui non è ancora avvenuta la differenziazione dei ruoli in base al sesso, e la separazione degli spazi assegnati in base al sesso. Ma quando con la pubertà arriva il momento della separazione, i ragazzi passano buona parte del loro tempo nei ginnasi (qualcosa di più delle moderne palestre), insieme a maschi adulti incaricati della loro educazione che comprende l’iniziazione sessuale e l’addestramento militare; le ragazze, almeno quelle di buona famiglia, vengono invece preparate al matrimonio in strutture come quella diretta da Saffo, dove tra le altre cose imparano a conoscere il loro corpo, e il piacere che ne possono trarre, prima di essere consegnate al marito designato, beninteso, dalla famiglia. Cosa che di solito avviene in età precoce, intorno ai tredici anni – la prima volta, almeno, perché essendo lo sposo molto più vecchio, dopo la sua morte, c’era tempo per farle sposare una seconda e anche una terza volta.
Il gamos, cioè l’unione eterosessuale, era l’istituzione cui veniva assegnata in modo esclusivo la funzione riproduttiva, che prescinde dal godimento sessuale e ha lo scopo di mettere la comunità al riparo dal rischio di estinguersi: in alcune città la legge obbligava gli uomini ad avere rapporti con le mogli almeno tre volte al mese.
È Saffo stessa a comporre per le sue ragazze che vanno spose gli epitalami, canti corali che accompagnano ogni fase della cerimonia nuziale, enfatizzando i diversi momenti del passaggio dalla casa paterna a quella del marito; in essi serpeggiano le emozioni legate alla curiosità e ai tremori che preludono alla scoperta di un nuovo modo di vivere la sessualità, cui si allude con leggerezza venata di umorismo. Non di rado si mette l’accento sulla perdita della verginità, invocando Imeneo, il dio preposto alla prima notte.
Ma fino al matrimonio erano normali le relazioni omoerotiche, sia fra le coetanee che tra le giovani e le donne adulte che le accompagnavano nel percorso formativo; quelle relazioni erano anzi incoraggiate e in molti luoghi istituzionalizzate, nell’ambito di un progetto educativo che non prevedeva separazioni artificiose tra corpo, mente, cuore. Da questo punto di vista i costumi di Lesbo e delle isole ioniche non erano molto diversi da quelli di altre zone della Grecia, come testimoniano in particolare i canti corali di Alcmane, destinati a essere eseguiti da gruppi di ragazze in competizione tra loro, che si contendono l’amore e le attenzioni della più bella, mentre gareggiano nella corsa, come cavalle lanciate al galoppo nelle pianure del Peloponneso.
Nel periodo che precede le nozze, i componimenti di Saffo danno voce alle emozioni, alle fantasie, ai desideri suoi e insieme delle ragazze che vivono sotto la sua guida, con qualcuna delle quali si sviluppa una relazione particolare, più intensa forse, o più duratura; ma anche alla gelosia nei confronti di una rivale, o alla frustrazione per un amore non ricambiato: «Tramontata è la luna e le Pleiadi, è già trascorsa metà della notte, l’ora è passata e io dormo sola» (fr. 168B).
Quando giunge il momento del distacco il rimpianto per la felicità perduta e la nostalgia per l’amata lontana diventano a loro volta oggetto del canto: «Voglio morire/lei piangendo mi lasciava/o Saffo, che pene terribili soffriamo/devo lasciarti ma non voglio…/ricordati di me…/i bei momenti che abbiamo vissuto/corone di rose e di viole accanto a me ti cingesti…/ghirlande fatte di fiori al tenero collo intrecciate/e con unguento prezioso ti cospargesti, come una regina/e sui giacigli morbidi placavi il desiderio» (fr 94).

Così la poesia si fa anche strumento della memoria perché consente di mantenere viva la relazione anche nell’assenza. Ma soprattutto assicura l’immortalità a chi, come Saffo, l’ha ricevuta in dono dalle Muse, figlie di Mnemosyne, dea della memoria.
Ed è ancora la poesia a salvare Saffo dal destino che vuole le madri relegate nella stanza del fuso e del telaio, incapaci di avere un ruolo significativo nella vita delle figlie: a lei, e forse a poche altre come lei, è concessa la gioia di guardare con emozione la propria bella figlia che cresce: «ho una bella figlia, simile a fiori d’oro, Cleide amata, che non cambierei con tutta intera la Lidia» (fr 132); il piacere di scegliere per lei gli ornamenti e gli abiti che le donano di più, in un passaggio dei saperi da madre a figlia: «Colei che mi generò [diceva] che nella sua giovinezza era un grande ornamento un nastro di porpora che legasse i capelli. Ma se una ragazza ha i capelli fulvi più di una fiaccola deve adornarli con fiori vivaci; però ora è arrivata alle città ioniche la fama di mitre colorate […] Ma io per te, Cleide, non ce l’ho una mitra variopinta… dove trovarla?» (fr. 98).
Anche un nastro può bastare a condividere l’orgoglio di essere donna e a costruire una genealogia femminile.
In copertina: ritratto di Saffo, Palazzo Massimo alle Terme, Roma.
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Articolo di Gabriella de Angelis

Docente di latino e greco nei licei e nei corsi dell’Università delle donne Virginia Woolf, si è dedicata alla rilettura dei testi delle letterature classiche in ottica di genere. All’Università di Aix-Marseille ha tenuto corsi su scrittrici italiane escluse dal canone. Fa parte del Laboratorio Sguardi sulle differenze della Sapienza. Nel Circolo LUA di Roma intitolato a Clara Sereni, organizza laboratori di scrittura autobiografica.