Malenia e il problema del giornalismo videoludico

La casa di produzione FromSoftware è rinomata per la grande difficoltà dei suoi videogiochi: dal suo prodotto più famoso, la saga di Dark Souls, arrivando fino al recente Elden Ring, i boss che il giocatore o la giocatrice si trova ad affrontare sono diversi tra loro per stile di combattimento e strategie da adottare, nonché per la loro storia misteriosa da ricostruire attraverso missioni secondarie. In questa lunga lista di nomi risalta quello di una boss opzionale, Malenia. Blade of Miquella, “la spada di Miquella”, è l’epiteto che accompagna colei che è stata definita come l’avversaria più difficile da sconfiggere tra tutti i prodotti FromSoftware, e forse della storia dei videogiochi. Una donna altissima, dai lunghi capelli rossi, il volto nascosto da un elmo alato e il corpo lentamente consumato dalla malattia conosciuta come scarlet rot che le ha portato via un braccio e parte di entrambe le gambe, Malenia è una guerriera formidabile che mai è stata battuta. La incontriamo in una radura, seduta accanto a un albero appena risvegliata da un sonno durato anni.

Malenia poco prima dell’inizio dello scontro

Questo, tuttavia, non è un ostacolo per lei: armata di una lunga lama attaccata alla sua protesi che le permette di colpire anche da lunga distanza, i suoi movimenti sono veloci e fluidi; il suo attacco più famoso, Waterfoul dance, è una serie di numerosi fendenti che sono in grado di rubare l’energia vitale del personaggio che gioca, portando velocemente a un game over a meno che non si riesca a schivare questa potente combo – impresa difficile di per sé. Come se ciò non bastasse, il combattimento prevede una seconda fase: Malenia risorge diventando a tutti gli effetti una dea – Goddess of rot, “Dea della rovina” – con il potere di porre fine al mondo intero diffondendo la scarlet rot. Il suo nuovo attacco è costituito da un fiore dai lunghi petali che cresce dalla sua schiena per poi sbocciare al contatto col terreno, rendendo impossibile toccare Malenia finché essi non scompaiono. La lotta è ancora più ardua e frenetica ma alla fine, perseverando, possiamo prevalere e assaporare la vittoria su una avversaria così potente dopo una nutrita scia di sconfitte.

Malenia è uno dei personaggi preferiti della fanbase di Elden Ring soprattutto dal lato femminile, che adora la sua eleganza, il suo aspetto sublime e il fatto che sia l’avversaria più difficile da sconfiggere del gioco. Elden Ring ha avuto un grande successo durante il lockdown causato dalla pandemia: essendo online e openworld (ci sono molteplici località in cui si può andare e l’ordine con cui le si raggiunge non cambia la storia) molte persone hanno trovato compagnia e conforto nella community, potendo intervenire nei combattimenti altrui e scambiando messaggi tramite il sistema di messaggistica del gioco. L’atmosfera decadente e una trama misteriosa e intrigante hanno portato Elden Ring a vincere il premio come gioco dell’anno ai Games Awards del 2022. Tra il tripudio di lodi si sono ovviamente levate delle voci critiche, come è normale che sia; tuttavia, alcune di queste sono emblematiche di un problema di lungo corso tra il mondo dei videogiochi e come esso viene raccontato dal giornalismo, specie quello di stampo attivistico.

Torniamo a Malenia: personaggio femminile complesso e intrigante, lodata in egual modo da uomini e donne, con un design che fa emergere tutto il sublime intrinseco di una nascente dea della rovina. Il 3 ottobre del 2022 sulla rivista online Polygon esce un articolo firmato da Nico Deyo “Elden Ring’s Malenia embodies FromSoftware’s problems with women” (Malenia di Elden Ring incarna i problemi che FromSoftware ha con le donne). La critica mossa alla casa di produzione e a tutti i suoi giochi è di rappresentare le donne sempre nello stesso modo: afflitte da malformazioni o mutilazioni, abbandonate a sé stesse in un mondo decadente, senza alcuna motivazione a tenerle in vita se non l’essere un ostacolo per il completamento del gioco o un punto di ristoro, niente più che delle belle bamboline che allietano la vista di chi gioca. L’articolo non è una critica che nasce dal nulla: è risaputo che il mondo videoludico soffre di un grave problema di misoginia, a partire da come le giocatrici sono discriminate al punto da rinunciare alle gare competitive per non essere coperte di insulti fino alla questione dell’eccessiva sessualizzazione dei personaggi femminili e della mancanza di un arco narrativo adatto a loro. I videogiochi sono stati per lungo tempo pensati come un’attività prettamente maschile; quando è emerso che non solo le donne erano presenti come giocatrici ma che erano in numero quasi pari rispetto agli uomini la reazione è stata di totale rifiuto e di tentativi attivi di cacciarle dalle comunità online dedicate. Se le dure parole di Polygon nascono quindi da un preciso contesto e dalla volontà di denunciare gli effetti nefasti della lunga storia di discriminazione di genere nel mondo videoludico, dall’altro quello che manca all’analisi è, ironicamente, il contesto di Elden Ring e dei videogiochi FromSoftware in generale.

L’Interregno, il mondo dove Elden Ring è ambientato, è in rovina a causa di un conflitto fra semidei, chiamato la Disgregazione, talmente feroce che la Volontà superiore, la divinità che lo ha creato, ha deciso di abbandonarlo. Noi abbiamo il compito di recuperare i frammenti dell’Anello ancestrale ambìti però anche dai semidei e dalle semidee sopravvissuti/e alla Disgregazione, disposti a uccidere per raggiungere il loro obiettivo. La corruzione del potere è la tematica principale che regge l’intera trama del gioco, al punto che uno dei finali lo mostra chiaramente: per la sete di potere e conquista i personaggi distruggono, tradiscono, uccidono, impazziscono; la colpa della loro rovina è solo loro e di nessun altro, una verità compresa ma non accettata sia dai personaggi maschili che da quelli femminili. Per questo le mutilazioni e malformazioni affliggono tutti quanti, non solo le donne: nello stesso gioco Godrick l’Innestato è un semidio con addosso arti di soldati e la testa di un drago che si è cucito addosso da solo; Radhan, il Flagello celeste, è un semidio che a seguito del combattimento con Malenia, finito in parità, è diventato zoppo e caduto preda di una follia cieca che lo ha portato a cannibalizzare i suoi stessi seguaci. Da queste poche descrizioni risalta l’atmosfera cupa presente in Elden Ring, una caratteristica comune a tutti i giochi FromSoftware.

A sinistra, Ranni la Strega di Elden Ring; in centro, Lady Maria di Bloodborne; a destra, sorella Friede di Dark Souls 3,
tra i personaggi femminili

Ed è qui che la critica di Polygon perde di validità: Malenia e tutti i personaggi femminili sono perfettamente integrati nel gioco, nulla nel loro design o storia stona con le tematiche affrontate; perfino quando Malenia si rivela nuda nella seconda fase del suo combattimento, mettendo in mostra la malattia che le sta distruggendo il corpo, essa è presentata in modo da non essere sessualizzata: colei che si ha davanti è una dea nascente, la scintilla che ha portato l’Interregno alla rovina, le lunghe ali fatte di farfalle – insetto che si ciba di carcasse, legato alla morte in molte culture – e la musica, un coro che annuncia la sua venuta con sottofondo di percussioni e strumenti a corda – una versione decadente della musica che accompagna l’arrivo di un/una sovrano/a – restituiscono l’idea del sublime, di un orrore tale che attrae nonostante ci sia consapevolezza del pericolo.

La critica sulla mancanza di un vero arco narrativo, inoltre, non ha motivo di esistere a meno che non la si estenda anche ai personaggi maschili: è una scelta stilistica di FromSoftware quella di rivelare la trama attraverso dialoghi e piccoli indizi sparsi per tutto il gioco senza che li si possa incontrare in ordine cronologico, di modo che chi gioca abbia la completa libertà su come interpretare la storia. Ciò è vero per Malenia come è vero per Godrick l’Innestato e Radhan il Flagello Celeste, ed è vero per tutti i personaggi degli altri giochi FromSofware, da Dark Souls a Bloodborne. Non basta un corpo nudo per poter parlare di sessualizzazione eccessiva o paventare la mancanza di uno sviluppo narrativo ignorando come si è scelto di raccontare la vicenda.

Elden Ring non è certo un gioco esente da difetti; tuttavia, l’articolo di Polygon è sintomo di una problematica molto più grande, l’ultimo atto in ordine di tempo di una lunga serie di analisi fatte senza realmente conoscere il materiale che si sta descrivendo. È infatti solo di recente che siano giocatori e giocatrici a scrivere di videogiochi a cui hanno giocato: per lungo tempo “esperti” ed “esperte” – che neanche volevano farsi chiamare giocatori o giocatrici, come se ciò potesse sminuire la loro reputazione – hanno scritto di giochi che spesso neanche avevano tra le mani.

Anita Sarkeesian. Sul suo canale Youtube Feminist Frequency recensisce videogiochi adottando una prospettiva femminista

Da questa tendenza non è esente neanche il giornalismo più impegnato: solo pochi anni fa Anita Sarkeesian, giornalista femminista, muoveva critiche aspre al mondo videoludico sottolineando il sessismo imperante, che si manifestava contro le giocatrici e nel character design dei personaggi; nonostante queste osservazioni abbiano fatto nascere discussioni interessanti e proficue, fu presto dolorosamente ovvio che Sarkeesian non avesse mai giocato a più della metà dei videogiochi analizzati, fatto che portò molte persone a screditare le sue argomentazioni e a ignorare quelle di altre/i, se di contenuti simili a quelli portati da Sarkeesian. Il perché di tale scarsa professionalità risiede nella reputazione del mondo videoludico, per lungo tempo considerato un passatempo per persone con fin troppo tempo tra le mani e solo di recente rivalutato come l’ottava arte. Semplicemente, prevaleva l’idea che non valesse la pena sforzarsi di essere accurati ed equilibrati, preferendo parlare di quanto fossero pervertiti i giocatori e gli sviluppatori – sempre declinati al maschile perché era impensabile che una “vera donna” avesse interessi così “rozzi” – e arrivando perfino a inventare problemi che non c’erano. Fortunatamente, grazie alla maggiore visibilità data alle giocatrici e all’interesse di molte di queste a scrivere della loro passione le vere criticità sulla rappresentanza femminile stanno venendo a galla. Tuttavia, articoli come quello di Polygon rischiano di farci fare un passo indietro, dando un assist a chi proclama che la questione femminile nel mondo videoludico sia un problema inventato dal femminismo e che elementi come l’eccessiva sessualizzazione o gli insulti rivolti alle giocatrici facciano “parte del gioco”.

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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