Anna Seghers, voce marxista della letteratura tedesca del Novecento

Netty Reiling nasce da una famiglia ebraica a Magonza il 19 novembre 1900, figlia di commercianti di arte e antiquariato, studia alle Università di Colonia e di Heidelberg e si laurea nel 1924 in Storia dell’arte con una tesi dedicata a Rembrandt e ai suoi rapporti con l’ebraismo, che in seguito viene pubblicata e tradotta anche in italiano nel 2008.

L’anno successivo sposa un ungherese, lo scrittore di origini ebraiche Laszlo Radvanyi (1900-78), collega all’università, da cui ha il figlio Peter e la figlia Ruth. Il marito in seguito assume il nome tedesco Jahann Lorenz Schmidt. Nel medesimo periodo esce la sua opera Jans deve morire, giunta nel nostro Paese solo in tempi recenti (2003).

Si iscrive al Partito comunista nel 1928 e da allora utilizza lo pseudonimo con cui è nota, preso da un incisore olandese del Seicento, firmando il primo importante romanzo: La rivolta dei pescatori di Santa Barbara, imperniato sugli scioperi dei lavoratori del Mare del Nord, edito da Einaudi nel 1949. Pubblicato insieme a Grubetsch, altro dramma sociale, ottiene il prestigioso premio Kleist.

Entra a far parte della Lega degli scrittori proletari e rivoluzionari del Partito comunista; grazie alla fama acquisita, partecipa come delegata al primo convegno internazionale sulla letteratura del proletariato a Charkov in Urss, dove rimane positivamente impressionata dalle riforme economiche promosse da Stalin.

All’avvento del regime nazista viene arrestata ma riesce a fuggire prima in Svizzera, poi in Francia, dove fa sentire la sua voce al congresso antifascista all’Aear per la difesa della cultura dalle ingerenze di certa politica illiberale e partecipa a varie conferenze e convegni. Nel 1935 scrive La via di febbraio (tradotto nel 1956), segue I sette della miniera (tradotto nel 1950). Nel 1937 si sposta in Spagna dove è in corso la guerra civile e a Madrid tiene un comizio antifranchista, intanto, allo scoppio della guerra mondiale, il marito viene internato in un campo di concentramento nel sud della Francia. Al momento dell’occupazione tedesca, Anna lascia Parigi e nel 1941 riesce a ottenere un foglio di espatrio per tutta la famiglia che può raggiungere il Messico. Il marito insegna all’università e Anna si occupa attivamente di politica e di propaganda antinazista e antifascista, pubblica saggi, aiuta esuli e scrive le tre opere più significative della sua carriera: La settima croce, Transit (Transito o Visto di transito) (1944), e il racconto lungo La gita delle ragazze morte (1946). Non si può dimenticare la tragedia personale avvenuta nel frattempo: la morte improvvisa del padre nel 1940, quando aveva dovuto abbandonare forzatamente le sue attività commerciali, mentre la madre fu deportata ad Auschwitz da cui non fece mai ritorno; la figlia aveva tentato di tutto per salvarli e per ottenere un visto, ma non ci era riuscita. Solo una volta ha affrontato in un racconto questi eventi terribili, nel 1943, scrivendo Der Ausflug der toten Mädchen.

Finita la guerra, mentre il marito rimane in Messico ancora qualche tempo, Anna ritorna a Parigi con Peter e Ruth che si iscrivono all’università, ma nel 1947 rientra in Germania, riceve il premio Büchner e si reca una seconda volta in Urss insieme a una delegazione di artisti/e. Dall’anno seguente sceglie di risiedere nella parte orientale di Berlino, mentre si impegna attivamente contro gli armamenti nucleari e a favore della pace internazionale, tanto che nel 1949 partecipa al congresso per la pace nel mondo a Parigi. Pubblica altri due romanzi: Nozze a Haiti (da noi nel 2007) e I morti non invecchiano (I morti restano giovani, secondo una successiva traduzione). Nel 1951 le viene assegnato il premio Lenin per la pace.

Contribuisce a fondare l’Accademia tedesca delle arti e dal 1952 al 1978 Seghers ha il ruolo di presidente dell’Unione degli scrittori della Repubblica democratica; è pure membro del Pen-club, di importanti centri di studio e di giurie di premi letterari.

Conosce e diviene amica di colleghi illustri come Pablo Neruda e Jorge Amado, impegnati come lei nel pacifismo. Dal 1955 si trasferisce nell’appartamento berlinese dove rimarrà tutto il resto della vita, nella via che oggi le è stata intitolata; nell’edificio ora ha sede il Centro studi Anna Seghers.

L’anno successivo è a Mosca per partecipare a quel celebre XX congresso del Pcus in cui per la prima volta si fecero i conti con l’oppressione staliniana e sulla sua pesante eredità, a livello politico, sociale, culturale ed economico e si denunciò il culto della personalità del dittatore. Nel 1963 è fra i promotori a Liblice (Cecoslovacchia) di un convegno sulla figura e l’opera di Franz Kafka, in cui tuttavia non tiene alcuna relazione. Continua a pubblicare romanzi, fra cui si segnalano Il vero azzurro del 1967, La figlia della delegata del 1970 e due anni dopo Incontro a Praga.

Nel 1975 riceve il premio del Consiglio per la pace nel mondo e la cittadinanza onoraria di Berlino Est. Nel 1976 assume il ruolo di accusatrice del poeta e cantautore tedesco dissidente Wolf Biermann a cui viene negato di rientrare nella Ddr a causa delle sue posizioni intransigenti verso quel regime. Muore il 1° giugno 1983, ricorre dunque il quarantesimo anniversario.

Trattandosi di una delle voci della letteratura in lingua tedesca più autorevoli del Novecento, è bene soffermarsi soprattutto su una parte significativa della sua produzione che, come abbiamo visto, è stata tradotta, diffusa a più riprese in Italia e ancora disponibile.

Su di lei ha pesato a lungo il pregiudizio della scelta politica che è opportuno invece abbandonare, di fronte al suo sguardo lucido e spietato sugli eventi, ma anche intriso di originalità e fantasia; a tal proposito si segnala un articolo assai interessante di Roberta Ascarelli comparso sul Manifesto il 4 settembre scorso, dal titolo emblematico: Anna Seghers, un eretico incontro fra i vivi e i morti, la fantasia e la storia, per la pubblicazione di suoi otto racconti inediti: I morti dell’isola di Djal e altre leggende. Dall’articolo prendiamo la seguente citazione: «Cosa è la verità? – scrive nel 1973 – non solo quello che si può afferrare e gustare; anche la fantasia e i sogni appartengono alla verità. La nostra vita odierna, vera e presente era una volta un mondo sognato. Penso che i sogni possano essere parte della verità. Ben usati possono ampliare la letteratura, la letteratura socialista».

Iniziamo conil romanzo giovanile La rivolta dei pescatori di Santa Barbara che racconta il risveglio di questi lavoratori sfruttati e affamati, in una società dominata da antiche superstizioni, ignoranza, paura, sullo sfondo della natura selvaggia e inospitale; fa loro da guida quasi messianica Hull, un uomo enigmatico e inquieto. La vicenda comprende le vite private dei singoli pescatori, ma anche il loro mondo, quello delle osterie, dei miseri ritrovi, del porto, delle modeste abitazioni che offrono un quadro desolato della situazione, difficile da cambiare.

Scritta in un momento tragico del XX secolo, quando la Seconda guerra mondiale non è ancora terminata ma le sorti del Reich sembrano segnate, La settima croce è un’opera dura, amara, veritiera e torrenziale che anticipa tematiche poi riprese da tanta letteratura successiva. Siamo nel 1936 in un lager, a Westhofen, quindi agli albori del dominio nazista, ma già Ss e Sa rastrellano dissidenti, ribelli, persone deboli di salute o malate di mente e famiglie ebree, mentre la popolazione tedesca è incerta, esprime disagio e inquietudine di fronte alla rapidità degli eventi. Vicino a una baracca il folle comandante del campo fa erigere sette rudimentali croci su cui è deciso a inchiodare sette evasi che hanno osato sfuggire alla sorveglianza, alle torture, alla fame.

I primi sei vengono rintracciati, ma il settimo continua la sua fuga solitaria inseguendo il sogno di rivedere la libertà, gli amici più cari, l’amore perduto; nonostante i rischi tremendi, la debolezza, la fatica, resiste finché trova delle persone rimaste umane e disposte ad aiutarlo. Il romanzo, subito tradotto negli Usa e poi in una trentina di lingue, fu un successo editoriale grandissimo, apprezzato dai massimi intellettuali (da Grass a Lukacs). Fred Zinnemann ne trasse nel 1944 un buon film con Spencer Tracy e Jessica Tandy, tutto girato in studio, che rendeva la trama più lineare e meno affollata di personaggi.

Transit (o Transito) si ambienta nel 1940 a Marsiglia dove la più varia umanità si ritrova, in fuga dall’avanzata del Reich. Qui un operaio dalle idee poco definite ma comunque tenacemente antinazista, disertore in procinto di partire per il Messico, rimane invischiato in una trama oscura a causa di uno scambio di persona, nel bel mezzo di un triangolo amoroso. Per caso trova una valigia contenente il manoscritto di un libro e questo crea equivoci, timori, incontri inaspettati, come quello con la moglie dello scrittore scomparso. Nasce una relazione complicata e appassionata, sullo sfondo del mare, della natura mediterranea, del porto, in continuo transito, appunto, come sono di fatto le sorti umane e questo difficile rapporto in un momento tanto incerto della storia del Novecento.

Il libro, scritto “di furia”, così affermò l’autrice, è stato salutato come un capolavoro da illustri colleghi fra cui Heinrich Böll e Christa Wolf, definito dalla New York Times Book Review «la perfetta anatomia della mente di un profugo».

Tanti anni dopo ne è stato tratto il film La donna dello scrittore (2018) per la regia di Christian Petzold, nato nei Sudeti e figlio di profughi che ha sentito molto vicina a sé la storia narrata; la vicenda è stata spostata al presente, ma non ha perso di significato, alludendo a pericoli e ideologie che possiamo sempre avere di fronte. Assai convincenti i due interpreti nei ruoli principali: Franz Rigowski e Paula Beer.

La gita delle ragazze morte, che si può trovare con il testo originale a fronte, è un racconto bellissimo, fra i più grandi della letteratura in lingua tedesca in cui Seghers concilia l’aspetto realistico con quello onirico, in una sintesi mirabile. Una gita scolastica prima della Grande guerra diventa viaggio nella memoria e nel passato, ma anche presagio di morte, fine di una generazione, analisi della condizione femminile, riflessione sull’ebraismo, contrasto fra speranza e delusione. Un affresco potente di una società che si sta avviando alla propria fine, ma anche messaggio di speranza verso le sorti dell’umanità.

Anna Seghers, che per molta critica si potrebbe affiancare degnamente a Brecht, Grass, Böll, insomma ai grandi scrittori tedeschi del Novecento, merita una seconda occasione e una attenta rilettura anche in Italia, non per nulla a Milano sorge il Centro studi a lei intitolato e a Camagna Monferrato è già previsto per l’anniversario un convegno sulla sua figura e le sue opere, con un intervento dell’esperto Davide Rossi che ne ha pure scritto la biografia. Concludiamo con la bella frase della scrittrice scelta per pubblicizzare l’evento: «Qualcosa di nuovo, di forte, di selvaggio. Senza gioia non si può vivere». Un auspicio, una speranza per chiunque, ieri come oggi.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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