Carissime lettrici e carissimi lettori,
per un errore? Una beffa. Dunque, uomini donne, bambini e bambine sono morti e morte per una beffa, per un dannato calcolo sbagliato. Nessuno e nessuna di noi accetterebbe di buon grado, nonostante tutti e tutte, senza eccezioni, nasciamo “condannati/e a morte”. Non si sa di quale morte, seppure si spera sia il più “normale” possibile.
Assurdo oltre che terribile. Anzi, raccapricciante nell’epoca delle cosiddette “bombe intelligenti”. La guerra è guerra, brutta sempre, ma non sapevamo che poteva essere ancora più brutta. La gente di Sumi, una città dell’Ucraina settentrionale, domenica scorsa si apprestava a festeggiare l’inizio di una settimana, questa, “santa”, che conduce per i e le credenti di quel Dio, alla Pasqua della resurrezione di Cristo, figlio divino.
Invece un bombardamento inaspettato ha lasciato a terra e sui mezzi pubblici, diretti verso le chiese, probabilmente, almeno 34 persone e oltre 119 feriti, cifre che si dice siano ancora stimate al ribasso. La Domenica delle Palme, con tutte le contraddizioni intrinseche a se stessa, con il Cristo celebrato e poi scelto per la morte, ha visto il metaforico sepolcro serrato dalle bombe nemiche che non si è aperto per la salvezza. I russi hanno detto che è stato un errore. Ancora più raccapricciante in tempi che si annunciavano di pace. E così la Pasqua in Ucraina diventa una Pasqua di dolore che si ferma al Venerdì Santo, al silenzio di oggi, un tempo privo di parole e di suoni. Come faremo noi qui con la nostra lettura/ascolto finale.
Precisa e dura in proposito la vicepresidente della Commissione dell’Unione europea Kaja Kallas che ha commentato in risposta alle parole del neopresidente Usa Donald Trump sul possibilità riguardo all’“errore” commesso dalla Russia sulla città di Sumi :«Penso che sia nell’interesse di tutti — ha detto Kallas — che la Russia si renda conto di aver commesso un errore, ma ha commesso un errore attaccando l’Ucraina e non può vincere in Ucraina perché la volontà del popolo ucraino non è stata spezzata».
Giusto, andiamo negli States dove il Presidente nel giorno del suo (secondo) giuramento per la sua nuova entrata alla Casa Bianca ha detto chiaro che esistono solo due sessi: maschio e femmina, una decisa divisione e concezione del mondo visto solo in bianco/nero: «Donald Trump nel discorso in Campidoglio nel giorno dell’insediamento ha detto subito che i generi sono due — ha osservato una giornalista di un quotidiano — e lo ha ripetuto ancora e ancora. Non verranno ammesse atlete trans nelle competizioni sportive femminili ecco allora un mondo in bianco e nero scolpito con l’accetta dove le differenze non possono disturbare, mettere in disordine il sistema, dove il dialogo è il tentativo di guardarsi, comprendersi, dove i corpi si controllano mi spaventa».
Ora in Gran Bretagna, quella della Brexit, il discorso si fa identico. In questi giorni la Corte britannica ha stabilito che le donne trans non possono essere considerate donne e reclamare gli stessi diritti, usufruire degli stessi privilegi. Insomma, non possono essere considerate tali dal punto di vista legale e di conseguenza non possono godere delle tutele previste per il sesso femminile. Laura Pertici in un podcast si chiede: «Cosa significa essere donna, chi può dirsi tale? Reclamando quali diritti? Soprattutto si può diventare donna se si è nati biologicamente uomini?». Purtroppo, la Corte Suprema britannica non l’ha pensata così. Alla fine, chi nasce donna è donna e chi nasce uomo rimane per la legge un maschio, secondo il concetto di bianco o nero. Se ci si sente diversamente, secondo l’attuale legge, per il Regno Unito non conta e si azzerano tanti diritti. È la risposta a un ricorso fatto da un gruppo femminista, For women Scotland, che aveva impugnato un atto del governo scozzese del 2018 per cui si riconosceva la definizione di donne anche alle persone trans che avessero chiesto e ottenuto il gender recognition certificate con cui si ufficializza concretamente il cambio di genere. Un provvedimento che inizialmente era destinato a incrementare le quote rosa nella pubblica amministrazione.
«Questa sentenza attuale vale per l’Inghilterra e il Galles oltre che per la Scozia — chiarisce Pertici —. Donna è chi nasce donna e va definita in base al sesso biologico. Il concetto di sesso è binario, le persone transgender non possono accedere a quote e servizi riservati alle donne anche se questo non significa che non vadano protette dalle discriminazioni. Il verdetto soddisfa una parte del mondo femminista quello no gender non certo l’intersezione che ritiene che le battaglie delle donne non possano separarsi da quelle contro il razzismo e l’omotransfobia, ma soddisfa anche una parte di associazioni omosessuali contrarie alla divisione fra uomini e donne in base ad un’autocertificazione. Esulta JK Rowling, l’autrice di Harry Potter, che da anni è oggetto di polemiche stradali da parte del mondo trans. «La sentenza protegge i diritti delle donne e delle ragazze in tutto il Regno Unito» sostiene la scrittrice. Insorgono, invece, altre organizzazioni come Lgbtq+. È una soluzione incredibilmente preoccupante per la comunità transgender. Come si possono avere certezze granitiche da una parte e dall’altra? Come è possibile ritenere che non ci siano limiti dovuti al semplice rispetto degli altri? Tutta questa vicenda è legata anche ad un caso specifico, quello di uno stupratore seriale che in Gran Bretagna aveva cambiato sesso e poi avrebbe dovuto essere rinchiusa in cella con altre donne. Sarebbero state sicure le compagne detenute? Questo era il dilemma… Nel 2022 il Parlamento scozzese aveva approvato una ulteriore riforma dell’esecutivo per semplificare le procedure di cambio legale di sesso eliminando l’obbligo di una diagnosi metrica di disforia di genere e abbassando l’età minima da 18 a 16 anni. L’idea di fondo era che sarebbe bastata un’autocertificazione per decidere come stare al mondo, ma il governo britannico di Westminster ha bloccato la legge e in seguito quello scozzese ha rinunciato a impugnare la decisione.
Orribile, proprio in questo senso, di chiara matrice transomofobica, è la morte di Sara. Era una trans picchiata, ridotta all’immobilità, perché le hanno rotto le gambe e le braccia, e gettata in un ruscello. Sara Millerey Gonzales aveva solo 32 anni e per lei non c’è stato scampo, nessuno l’ha aiutata mentre chiedeva aiuto, tanti guardavano e trovavano il coraggio di filmare la sua agonia quel 7 aprile, una decina di giorni fa, ad Antioquia, a nord di Meddelin, in Colombia: «C’erano alcuni ragazzi lì, anche loro con i cellulari che registravano quello che le stava succedendo, e dicevano di non aiutarla. C’era la paura di intervenire da parte della gente. Era necessario l’intervento della polizia», ha commentato un parente della trans a El Colombiano durante il funerale. «Vola alto, ragazza mia», ha scritto la madre su un nastro attaccato alla bara bianca della figlia. «Chiedo giustizia. Dio non perdona chi l’ha uccisa», ha detto poi ai media locali. Noi ci chiediamo come sia possibile che accada, da qualsiasi parte del mondo.
Eppure, si è ripetuta anche qui da noi. È cronaca tornata a galla in questi giorni dall’anno passato. Una storia di emarginazione e abbandono. La storia della fragile Marta Maria, di origini ucraine, è di quelle che mettono i brividi. Compagna di un russo è morta sfinita e abbandonata dopo essere precipitata in un dirupo a Ischia, l’isola davanti a Napoli. La giovane aveva pregato per ore con messaggi il suo compagno che era in una roulotte poco lontano, di venire a salvarla, ma ogni suo sforzo è stato inutile. Una vita di insulti e violenze da parte dell’uomo. Abuso di alcol, aggressioni, maltrattamenti, minacce (non solo nei suoi confronti), pugni, schiaffi e bruciature. Violenze, solo in parte denunciate, che andavano avanti da un paio di anni. E quando ha preso il coraggio a due mani per presentare denuncia, alla fine si è fermata, proteggendo il compagno russo che verosimilmente odiava la nazione della compagna («ucraini di m… che devono morire»). Oggi, in questa settimana, il fermo di lui.
Domani per i e le credenti del Cristo è Pasqua, la celebrazione della resurrezione del “Figlio di Dio” dalla morte e dal buio del sepolcro che oggi è ancora chiuso. Si potrebbe dire che sia il perché, la spiegazione del Natale, della nascita di Gesù, la vera realizzazione del suo venire al mondo. Ma oggi noi, come la tradizione detta, non sentiamo il richiamo delle campane, che non si scioglieranno, finché l’idea di pace e il ripudio della guerra, come detta la Costituzione, non si impone.
Ma noi rimaniamo al Venerdì Santo, alla sofferenza metaforica e umana della Via Crucis e alla “sottomissione” volontaria di un Dio alla legge ferrea della morte, umana. Speriamo in una resurrezione di conciliazione delle attese, per capire profondamente la pace. Ma non riusciamo a spostarci da questi giorni di sofferenza alla vittoria e al trionfo della domenica, di domani. Allora ho desiderio di sentire (e forse ri-sentire) con voi Il Testamento di Tito, uno dei ladroni che ha fatto compagnia al Cristo umano, che muore, sulla croce. Fa parte delle canzoni ispirate ai Vangeli apocrifi, più veri, più umani. Forse ci fanno sperare in una Pasqua del cuore. La pace!
«Avevo urgenza di salvare il cristianesimo dal cattolicesimo. — dichiarò a suo tempo De André — I vangeli apocrifi sono una lettura bellissima con molti punti di contatto con l’ideologia anarchica». De André definisce meglio il suo lavoro «È, insieme ad Amico fragile, la mia miglior canzone. Dà un’idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l’ha. È un altro di quei pezzi scritti col cuore, senza paura di apparire retorici, che riesco a cantare ancora oggi, senza stancarmene».
Durante il concerto del 14 febbraio del 1998, tenuto al Teatro Brancaccio di Roma, sempre Fabrizio De André commenta riguardo alle proteste di allora da parte di chi contestava nelle università: « Non avevano capito che in effetti La Buona Novella voleva essere un’allegoria — era una allegoria — che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del ’68 e istanze, da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate ma da un punto di vista etico sociale direi molto simili, che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell’autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazareth e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Non ho voluto inoltrarmi in percorsi, in sentieri, per me difficilmente percorribili, come la metafisica o addirittura la teologia, prima di tutto perché non ci capisco niente; in secondo luogo perché ho sempre pensato che se Dio non esistesse bisognerebbe inventarselo. Il che è esattamente quello che ha fatto l’uomo da quando ha messo i piedi sulla terra. Ho quindi preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell’accostarsi all’argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant’è vero che ancora oggi proprio il mondo dell’Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto che va a favore dell’Islam. L’Islam quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate» (Dal concerto al teatro Brancaccio, 14 febbraio 1998).
Non avrai altro Dio all’infuori di me
Spesso mi ha fatto pensare
Genti diverse venute dall’est
Dicevan che in fondo era uguale
Credevano a un altro diverso da te
E non mi hanno fatto del male
Credevano a un altro diverso da te
E non mi hanno fatto del male
Non nominare il nome di Dio
Non nominarlo invano
Con un coltello piantato nel fianco
Gridai la mia pena e il suo nome
Ma forse era stanco, forse troppo occupato
E non ascoltò il mio dolore
Ma forse era stanco, forse troppo lontano
Davvero lo nominai invano
Onora il padre, onora la madre
E onora anche il loro bastone
Bacia la mano che ruppe il tuo naso
Perché le chiedevi un boccone
Quando a mio padre si fermò il cuore
Non ho provato dolore
Quanto a mio padre si fermò il cuore
Non ho provato dolore
Ricorda di santificare le feste
Facile per noi ladroni
Entrare nei templi che rigurgitan salmi
Di schiavi e dei loro padroni
Senza finire legati agli altari
Sgozzati come animali
Senza finire legati agli altari
Sgozzati come animali
Il quinto dice non devi rubare
E forse io l’ho rispettato
Vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
Di quelli che avevan rubato
Ma io, senza legge, rubai in nome mio
Quegli altri nel nome di Dio
Ma io, senza legge, rubai in nome mio
Quegli altri nel nome di Dio
Non commettere atti che non siano puri
Cioè non disperdere il seme
Feconda una donna ogni volta che l’ami
Così sarai uomo di fede
Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
E tanti ne uccide la fame
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore
Ma non ho creato dolore
Il settimo dice non ammazzare
Se del cielo vuoi essere degno
Guardatela oggi, questa legge di Dio
Tre volte inchiodata nel legno
Guardate la fine di quel nazzareno
E un ladro non muore di meno
Guardate la fine di quel nazzareno
E un ladro non muore di meno
Non dire falsa testimonianza
E aiutali a uccidere un uomo
Lo sanno a memoria il diritto divino
E scordano sempre il perdono
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
E no, non ne provo dolore
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
E no, non ne provo dolore
Non desiderare la roba degli altri
Non desiderarne la sposa
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
Che hanno una donna e qualcosa
Nei letti degli altri già caldi d’amore
Non ho provato dolore
L’invidia di ieri non è già finita
Stasera vi invidio la vita
Ma adesso che viene la sera ed il buio
Mi toglie il dolore dagli occhi
E scivola il sole al di là delle dune
A violentare altre notti
Io nel vedere quest’uomo che muore
Madre, io provo dolore
Nella pietà che non cede al rancore
Madre, ho imparato l’amore
Fabrizio de André, in La Buona Novella
Buona Pasqua e buona speranza di Resurrezione metaforica e laica a tutte e a tutti con impressa nel cuore e negli occhi la foto dell’anno 2025, World press Photo, pubblicata dal New York Times: un commovente scatto di una donna, la fotografa palestinese Samar Abu Elouf. Quel bambino dalle braccia mutilate ci traghetterà alla Pasqua dell’umanità.
Il numero di oggi di Vitamine vaganti comprende 18 articoli come numero speciale dedicato al Concorso Sulle vie della parità, arrivato alla sua XII edizione, di cui è illustrata in Condividere percorsi, progetti ed emozioni la premiazione nazionale, che si è tenuta a Roma l’11 aprile presso l’Università Roma Tre; mentre in Dare forma alle storie. Sulle vie della parità nelle Marche, la premiazione della sezione regionale delle Marche, giunta alla sua VIII edizione e celebrata il 10 aprile all’Università di Camerino. Sempre da Sulle vie della parità proviene il racconto proposto: Il guscio, vincitore a pari merito della Sezione C – Narrazioni dal tema “Le donne e le arti”.
La protagonista di Calendaria della settimana è Jessie Marion King, illustratrice che ha incantato il mondo con i suoi disegni ispirati alle fate. Arte e politica si mischiano nel lavoro e nella storia di Faith Ringgold, il potere dell’arte nell’attivismo, una delle artiste più eclettiche e politicamente impegnate degli Stati Uniti.
Diversi contributi portano a visitare differenti parti del mondo: si va in montagna con Lo scioglimento dei ghiacciai: un destino inevitabile?, un grido di allarme sugli effetti del cambiamento climatico che invita a salvaguardare la nostra Terra; A Bologna “tú y todos”, una mostra dedicata a Che Guevara, dove è possibile ammirare un vasto repertorio fotografico e documentaristico sul famoso generale; si va poi nel capoluogo della Lombardia per Partigiane a Milano per non dimenticare, dove in occasione dell’80° Anniversario della Liberazione sono state inaugurate intitolazioni a nove spazi pubblici dedicati a partigiani e partigiane; si scende in Puglia, a Mesagne e Francavilla Fontana, con Intitolare vie alle donne si può e si deve, una riflessione sull’importanza delle dediche femminili dei luoghi pubblici; ci si sposta un po’ più ad ovest, in Calabria, per riscoprire Alba Florio. La poeta dimenticata, una delle ultime esponenti del decadentismo italiano; in Toscana, a Pistoia e dintorni, marzo è stato un mese particolarmente impegnato: Marzo al femminile in Valdinievole e dintorni riassume tutte queste lodevoli attività; si vola infine in Australia e la Via dei Canti, il resoconto di una vacanza in un Paese lontano e affascinante che è anche occasione per ricordare quanto l’emigrazione abbia segnato noi, popolo italiano.
Donne e potere è il tema dell’ultimo numero di Bibliografia vagante, come è stato usato da loro e come ne sono divenute vittime.
Quei giorni è un’analisi della percezione sociale delle mestruazioni, dei tanti miti che circondano un fenomeno normalissimo e di come sia stato usato per giustificare atteggiamenti paternalistici e l’oppressione femminile.
La recensione di questo numero è sull’ultimo libro di Ester Rizzo,Bertha Benz. Le 100 miglia che cambiarono la storia, romanzo storico sulla famosa pioniera dell’automobile tedesca, mentre continua la rassegna sulle opere di Clara Sereni, incentrata su Il Gioco dei Regni, un mémoir sulla storia familiare dell’autrice.
Questo numero si conclude con Il pak choi, meglio conosciuto come cavolo cinese, che si sta sempre di più diffondendo nelle cucine occidentali e che viene qui proposto in una gustosa ricetta.
A tutte e a tutti auguriamo buon appetito e buona Pasqua!
***
Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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cara Giusi una pagina di giornalismo. E due grazie. Il.primo grazie per aver commentato la sentenza della Giustizia del Regno unito sulla donna. Una sentenza che gran parte dei media hanno ignorato .Andava discussa. Tu l’hai ricordata. Hai messo a confronto le tesi.un invito a riflettere. Hai colmato una lacuna nel dibattito sui temi sociali.
Il secondo grazie per aver denunciato l’insensibilità. Quella emersa in due femminicidi. E che nessuno aveva evidenziato. Ancora una volta la tua sensibilità si è sostituita al silenzio.
E poi quel colpo di magia di riportare le parole di Fabrizio De André proprio alla vigilia di Pasqua. Un invito a riflettere. Complimenti e augurissimi. Orgoglioso di essere tuo amico e voleva.
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