Editoriale. Io sono eterna

Carissime lettrici e carissimi lettori,
«non è un fatto di cronaca nera». E poi: «Non è l’inasprimento delle pene che può risolvere la questione». I femminicidi si commettono e si subiscono in un’età sempre più giovane. Un decreto che diventa improvvisamente (e subdolamente?!) una Legge dello Stato, non potrà risolvere nulla, così come è sempre stato in questo mondo. É solo un’illusione, peraltro liberticida, che l’inasprimento delle pene per un gran numero di reati, e l’aggiunta di altri ex novo (14, per la precisione) possa riuscire a evitarli. Le svolte cosiddette securitarie non aprono alla pace e alla tranquillità sociali. Non è mai successo. Semmai, come si è detto, tolgono in termini di libertà di espressione, diminuiscono e mettono in pericolo la possibilità di cittadini e cittadine di esprimere la propria opinione, come la libertà di dimostrare il dissenso, di mantenere la stampa libera dal consenso ad ogni costo.
Secondo il filosofo Massimo Cacciari la causa della morte, dell’uccisione di Martina Carbonaro, la quattordicenne di Afragola colpita a morte, a sassate, (e forse lasciata in agonia) da un quasi diciannovenne, è nella trasformazione antropologica in corso e solo una cultura del cambiamento, una presa di coscienza di ciò in cui si è immersi può operare un mutamento.

«Non è cronaca nera — ha detto Cacciari commentando il femminicidio di Martina — sono i sintomi di una trasformazione culturale in senso antropologico che dura almeno da un secolo. Ha comportato una trasformazione completa nel rapporto tra sessi. Ciò provoca riflessi violenti nei soggetti più deboli culturalmente, non preparati ad affrontare il cambiamento d’epoca in questo campo come in altri, non potendo con la parola, col discorso, col ragionamento, affrontare, come dire, digerire, assimilare queste trasformazioni. Questi soggetti più fragili di cui si parla finiscono per opporsi a queste trasformazioni, a questi mutamenti di rapporti gerarchici. Finiscono per opporvisi con la violenza. Non sopportano la loro condizione di parità o di inferiorità. È un fatto culturale nel senso antropologico del termine — continua il filosofo veneziano — che si affronta non certo con l’inasprimento delle pene, che è una cosa ridicola. Pensare che siano le pene a dissuadere dal commettere un femminicidio è ridicolo. Le pene possono servire, sì e no, per il codice della strada! È stato scientificamente dimostrato ormai cento volte da tutto il diritto penale. In più, per i giovani oggi esistono tanti fattori: il disagio, la disoccupazione, il lavoro precario, le frustrazioni. Ciò comporta che chiunque, come il sottoscritto, abbia passato la vita con i giovani deve sapere perfettamente che negli ultimi anni sono drammaticamente peggiorate tutte queste condizioni. Ma poi di cosa ci stupiamo noi adulti? — si chiede Cacciari —. C’è nella nostra società odierna un linguaggio di violenza diffuso. Stiamo assistendo al crollo di ogni forma di diritto internazionale. Impera il diritto del più forte, un diritto distorto. Noi adulti stiamo seminando tempeste dalla mattina alla sera, tempeste che neanche diventano tempeste con il tempo. No, sono direttamente tempeste. Dunque, di cosa ci stupiamo?».

È ormai assodato che per combattere il fenomeno si devono scegliere soluzioni politiche. Il che significa che invece di penalizzare, alzare le pene pensando così di far desistere chi è immerso nel patriarcato, bisogna prevenire, educare. Lo si fa solo attraverso una buona politica e una buona Scuola. É palese che la famiglia, impastata e coinvolta essa stessa da principi patriarcali non ce la fa. Dal rumore si deve passare all’educazione sentimentale che insegna la differenza che c’è tra amore e possesso, tra rispetto e controllo.
Purtroppo, i dati parlano chiaro e dovrebbero mettere in allarme chi educa le nuove generazioni. Secondo le indagini annualmente svolte dalla Fondazione Libellula il 30% delle giovanissime si vantano anzi, esigono ed esibiscono come una prova di affetto, la gelosia del proprio ragazzo e si compiacciono, non inorridendo come dovrebbe, che lui controlli il loro cellulare e dica loro addirittura cosa indossare o impedisca di uscire, di andare a ballare, se non in sua compagnia. Il cinquanta per cento addirittura pensa non sia assolutamente grave se ogni tanto tra i due della coppia voli uno schiaffo: non lo giudicano, né maschi e né femmine, un atto di violenza, ma una cosa normale se non, addirittura, un atto d’amore. Quasi nessuno, tra loro, è a conoscenza dell’età sotto la quale il sesso è ritenuto sempre un atto di violenza, vale a dire prima dei quattordici anni.

Il governo aveva stanziato una cifra decisamente ridicola (circa 500 mila euro!) per l’insegnamento a scuola dell’Educazione sentimentale, tanto per ricordare il titolo di un famoso classico della letteratura. Ma in poco tempo i soldi, già pochi, sono stati dirottati su un improbabile programma di Educazione alla fertilità che si rifà, sinceramente, agli slogan di “più figli alla Patria” caro al Ventennio! Obbligatorio altrove, l’insegnamento a capire e governare il proprio sentire, la personale affettività è diventata una “materia facoltativa” attuabile, scuola per scuola, solo con il consenso dei genitori. Mi viene spontaneo pensare che questo sia un tassello in più per rendere la nostra Scuola sempre meno laica e sempre meno inclusiva di tutti e tutte.
L’insegnante di Martina Carbonaro ha scritto sui suoi social che si sente «tradita da un sistema che ancora oggi tollera, minimizza e giustifica la violenza». Questi ultimi avvenimenti indicano un bisogno, un’urgenza di un cambio della politica educativa. Non si può scherzare, prendere con leggerezza questo abbassamento dell’età dei carnefici e delle vittime dei femminicidi. In questo modo abbiamo sentito il grido venire proprio dalla Scuola, dalla scuola e da un’insegnante di una ragazzina uccisa a sassate, lasciata, probabilmente, agonizzante, nascosta dentro un armadio, proprio perché sentiva un rapporto ormai concluso e voleva chiuderlo. Come altre ragazze uccise in questi ultimi mesi, dai loro altrettanto giovani compagni, addirittura fatte a pezzi, buttate via in una valigia, come si fa con oggetti in disuso. Più di una volta, lo abbiamo detto già qui, con la collaborazione delle madri che proteggono questi maschi non educati al rispetto.

La sindaca di una città piccola come Perugia, Vittoria Ferdinandi, proprio dopo il femminicidio di Martina ha detto: «Questi sono stati giorni duri. Finché anche solo una donna sarà uccisa perché donna, perché di questo si tratta, nonostante la fatica, le resistenze che fanno i nostri organi di stampa e che fa la nostra società, si tratta di uomini che uccidono donne in quanto donne. Finché ci sarà anche solo una donna che continuerà ad essere uccisa perché donna non ci daremo pace. Non ci daremo pace come istituzioni, non ci daremo pace in quanto donne se nessuno è pronto a confrontarsi seriamente con quello che sta accadendo. Perché non si tratta più di una donna uccisa ogni tre giorni. Ci stanno ammazzando come le mosche, ci fanno a pezzi, ci chiudono nelle valigie, ci ammazzano come si ammazza un oggetto. Non è una tragedia, non è una sciagura, non possiamo come istituzione, come ogni società, di fronte a un fenomeno così pervasivo e ricorrente ogni volta in maniera vigliacca improntarsi a ciò che succede con lo stupore della prima volta. Pensando che era tanto un bravo ragazzo, che non ce lo saremmo mai aspettato. Una tragedia impensabile, scioccati i vicini, scioccata la famiglia. Non c’è niente più di cui scioccarsi. Non è una tragedia, non accade casualmente. Queste sono tutte forme di resistenza in cui la nostra società cerca di rimandare il dolore di questo fenomeno che non è relegato a fenomeni di marginalità. Non sono i tossicodipendenti, non sono i matti, non sono gli immigrati. Il femminicidio non appartiene alla devianza e con questo ci dobbiamo fare i conti e smetterla di difenderci da questa cosa. Il 90% dei femminicidi succede nell’ambito sentimentale, familiare. Il 78% delle donne italiane vengono uccise da italiani. Quindi almeno su questo, se vogliamo metterci le mani per provare ad intervenire, dobbiamo mettere a fuoco la causa e non ricercare anche il nemico esterno. Il nemico è dentro le nostre case, è dentro le nostre famiglie che molto spesso sono i primi paradigmi dove si insegna la violenza e dove si fa l’esperienza della violenza di genere. Il femminicidio è figlio di una cultura, di un modello culturale e sociale che si chiama patriarcato e non è possibile che il nostro paese sia più spaventato dal femminismo che dal femminicidio! È un modello culturale che va destrutturato, pezzo dopo pezzo. Allora è giusto che con molta rabbia e con molta determinazione questa società ricominci a scegliere. D’altra parte, la colpa non può più essere dalla nostra parte. Ci vuole una resistenza. Questo non è più il tempo della resilienza, che è un termine che io odio, ma è quello della resistenza, che significa una forza che rimanda indietro quello che deve essere rimandato indietro. Noi dobbiamo cominciare a rimandarlo indietro con forza, opponendoci ad ogni forma di sopraffazione e di potere che è la radice su cui poi nasce la violenza di genere. Per farlo dobbiamo prima di tutto entrare nelle scuole perché le famiglie non possono essere l’unico soggetto deputato. Hanno uno spazio educativo limitatissimo in questo momento. C’è bisogno della scuola. Anche lì ci sono delle resistenze enormi fatte anche da una politica che spesso è irresponsabile. Bisogna entrare a parlarne, farne prendere consapevolezza, educare alla cultura del consenso perché altrimenti poi si esce nel mondo e quando si dice no, quando non si governano le emozioni quando non si governano le proprie pulsioni non è una sciagura, è qualche cosa che bisogna governare politicamente».

Questo fine settimana è anche il tempo dei referendum e il tempo delle manifestazioni. La gravità e il silenzio dei governi, il primo è il nostro, sulle sofferenze di Gaza e sulla brutale distruzione dei suoi e delle sue abitanti.
Il referendum di domani e lunedì, anzi, le cinque schede del referendum che chi andrà alle urne avrà in mano, è stato ostacolato dalle più alte cariche dello Stato. Per raggiungere il cosiddetto quorum c’è il solito “tetto” dei 50% più 1 voto. C’è chi raccomanda di andare alle urne domenica di prima mattina, una sorta di escamotage per non scoraggiare, con i numeri dell’afflusso, chi è indeciso/a. È vero è un diritto anche non andare a votare, per un referendum o altro. Ma, secondo noi è anche un dovere democratico (dovere civico secondo la nostra Costituzione) perché possiamo solo così esprimere le nostre scelte.
Il referendum comprende 5 schede: quattro sul lavoro e una sulla possibilità di chiedere anticipatamente, rispetto ad oggi, la cittadinanza per gli stranieri (da 10 a 5 anni). E’ chiaro che poi l’ottenimento della cittadinanza richiederà l’accertamento della sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge. Questo quinto referendum riguarda gli e le immigrate regolari, ma soprattutto faciliterebbe tanto la vita, soprattutto scolastica. di tante ragazze e ragazzi ancora non italiani, per cui peraltro è ammessa la possibilità di richiedere la cittadinanza, entro un anno dal compimento del diciottesimo anno di età.

Una gioia particolare per la strada romana (nel parco della Resistenza nel quartiere san Saba) appena intitolata a Maria Luisa (Marisa) Cinciari Rodano, una donna importantissima e coraggiosa, partigiana e politica, fondatrice dell’Udi, l’Unione donne italiane che ci ha salutato a 102 anni nel 2023. L’intitolazione del viale fortemente voluta dall’associazione Noi rete donna, fondata insieme a Daniela Carlà, dalla stessa Rodano a cui l’associazione spera di moltiplicare intitolazioni a suo nome di strade in tutta Italia.

Con leggerezza guardiamo alle poesie di oggi. Vorrei trasmettere speranza e una gran voglia per tutti e tutte di esercitare il diritto al voto con la famosissima canzone di Georges Mustaki (nato ad Alessandria d’Egitto, vissuto a Corfù, di religione ebraica e origini italiane). Uno straniero, un Métèque, (dal greco antico μέτοικος, métoikos, «designava uno stato civile, quello dello straniero che si spostava spesso e ovunque si stabilisse non aveva i diritti dei cittadini che lì erano nati”). E oggi è significativo. La tradusse il grande Bruno Lauzi.
Dal titolo significativo, Io sono eterna, la poesia scritta da Maram-al-Masri (1962) è un omaggio a tutte le donne che noi dedichiamo a quelle sedie vuote in attesa di chi, vittima di femminicidio, non verrà più. Ma anche a tutte le donne mediorientali, siriane, palestinesi, israeliane, colpite tutte dall’ingiustizia di una guerra che guerra non è, ma inutile terribile vendetta.

Ringrazio Isa Maggi per avermela proposta.

Le métèque
Lo straniero

Con questa faccia da straniero
Sono soltanto un uomo vero, anche se a voi non sembrerà
Ho gli occhi chiari come il mare
Capaci solo di sognare, mentre ormai non sogno più
Metà pirata, metà artista
Un vagabondo, un musicista che ruba quasi quanto dà
Con questa bocca che berrà
A ogni fontana che vedrà e forse mai si fermerà

Con questa faccia da straniero
Ho attraversato la mia vita senza sapere dove andar
È stato il sole dell’estate
E mille donne innamorate a maturare la mia età
Ho fatto male a viso aperto
E qualche volta ho anche sofferto senza però piangere mai
E la mia anima si sa, in purgatorio finirà salvo un miracolo oramai

Con questa faccia da straniero
Sopra una nave abbandonata, sono arrivato fino a te
Adesso tu sei prigioniera
Di questa splendida chimera, di questo amore senza età
Sarai regina e regnerai, le cose che tu sognerai diventeranno realtà
Il nostro amore durerà per una breve eternità finché la morte non verrà
Il nostro amore durerà per una breve eternità finché la morte non verrà.

(1969, traduzione di Bruno Lauzi)

Io sono eterna

Non sono giovane, e non sarò mai vecchia.
Appartengo ad una tribù di donne che possiedono il riso delle bambine e il ghigno insolente delle vecchie,
capelli lunghi e liberi, e occhi antichi come la Terra,
dove la bellezza interiore non finisce.
Sorelle di uomini che hanno lo spirito del lupo e dell’aquila,
gioiosi folletti che non hanno mai smesso di giocare.
Esseri che attraversano il tempo, in costante movimento,
ardenti di curiosità.
Non ho e non avrò mai l’età che indicano i documenti,
perché non sono giovane e non sarò mai vecchia.

Io Sono Eterna.

(Poesia della scrittrice e poeta siriana Maram al-Masri)

Il nuovo numero di Vitamine vaganti si apre con la protagonista di Calendaria della settimana: Varvara Stepanova grafica, fotografa e designer che «lottò tutta la vita per avvicinare l’arte alle persone con la ferma convinzione che in questo modo la loro vita potesse essere migliorata». Si rimane nel filone dell’arte con L’avanguardia sovversiva di Marcel Moore, articolo biografico su un’artista straordinaria riscoperta grazie agli studi femministi e queer.

Con Dialetti e diritti umani entriamo nel mondo della scuola e riflettiamo su come far capire oggi la sua funzione fondamentale: «dare il segno alle nuove generazioni che c’è ancora un mondo adulto che crede che qualcosa di migliore e di più alto sia possibile raggiungere per questa umanità».
Si passa al mondo delle scienze con due articoli: Parità di genere e medicina. Le protagoniste. Paesi extraeuropei. Parte terza continua la rassegna dei più importanti nomi di scienziate al mondo; si va poi alla scoperta della storia di Dorothy Johnson Vaughan, uno dei “computer umani” della Nasa il cui contributo fu fondamentale nella corsa allo spazio contro l’Unione sovietica.
A scuola di vita raccoglie la testimonianza dell’insegnante di sostegno di Andrea, un ragazzo che non si è mai arreso di fronte alle difficoltà e che è chiamato a convincere una ragazza a non mollare la scuola.
Due mamme discute la recente sentenza della Corte costituzionale in merito ai figli e figlie di madri lesbiche generati con procreazione assistita con un’intervista all’attivista lesbica Franca Chiarello.
Nella Sezione dedicata al XIII Convegno di Toponomastica femminile a Francavilla Fontana e Mesagne si riporta l’intervento di Antonietta Angelica Zucconi che presenta il numero XXII della rivista “Genesis” della Società Italiana delle Storiche intitolato Viaggi; lo si può leggere in Il genere femminile in viaggio. Si rimane in tema con l’itinerario simbolico del Viaggio sulle tracce di Virginia Woolf e Michela Murgia, il progetto dell’Istituto di istruzione Superiore “Matteo Raeli” di Noto. Si va in provincia di Pisa con Pontedera delle donne 2025 per celebrare l’intitolazione di 10 piste ciclabili a figure femminili, evento clou di una serie di manifestazioni avvenute a marzo.
Si entra poi nel mondo della letteratura. La Tesi vagante di questo mese è Il personaggio di Bertha Mason. Da Jane Eyre a Wide Sargasso Sea, che si ripropone di rileggere il famoso personaggio di Jane Eyre «attraverso una lente femminista intersezionale, attingendo a teorie postcoloniali e di genere per recuperare la voce e l’agire di un personaggio troppo a lungo ridotto a simbolo della follia o del peccato». La recensione della settimana è dedicata al libro di Maria Cinquepalmi Breve atlante delle (altri) madri e dei (nostri) figli; la si trova in Fragilità e segreti delle famiglie. In Tre settimane a Genova viene raccontato difficile primo mese di vita del piccolo Leo e di come sua madre Elena abbia affrontato questa situazione.

Il numero si chiude con la consueta ricetta: La cucina vegana. Guacamole, salsa messicana gustosa e perfetta per l’estate.
A tutte e a tutti auguriamo buon appetito!

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

Un commento

  1. Che bello! Ho ricordi antichi legati a “Lo straniero”, legati a un tempo giovane in cui sognavamo, credo, ed era normale e vero; ricordi di un’ora di musica e sogni in gruppo, chitarre e canto a piazza San Marco – interrotti dalla Polizia che ci ha “cortesemente” invitato a sloggiare, irritando e deludendo molti spettatori incuriositi e interessati.

    Abbiamo sloggiato continuando a suonare e cantare, a lungo, per le calli, … ci siamo lasciati senza parere, dovevamo pur tornare a casa.

    La rivoluzione aveva, per molti di noi, orari ben stabiliti, dalla mamma, temo.

    Neppure ci conoscevamo, per la verità – una chitarra aveva incontrato un’altra chitarra di calle in calle, altre voci, straniere. Non era stato necessario parlare lingue diverse. Le canzoni erano le stesse. Unica nuova “Lo straniero”, ancora sconosciuta in Italia, cantata da una ragazzo francese tutto barba e capelli sporchi per non dir del resto, e subito riprodotta dalle chitarre. Me ne ha lasciato il testo, scritto su una pagina di quaderno… un testo bellissimo, cui la versione italiana, uscita poco tempo dopo, non rende ragione, o molto poco, pure se è bella.

    Grazie

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