R come romanticismo

Come può accadere che la società a tutt’oggi non si accorga di condizionare le donne a tollerare gli abusi, o addirittura a vederli come prova di attaccamento romantico?
Alla base della remissività, della pazienza, dell’oblatività, della rinuncia, ritenute caratteri tipici del femminile, ci sono secoli di educazione al ruolo, a convincerci che prima dei nostri bisogni vengono quelli degli altri, che vanno non solo compresi ma addirittura prevenuti. Non siamo domestiche, siamo addomesticate. È difficile affrancarsi da modelli che per millenni hanno trasmesso alle donne il bisogno di un uomo e della sua approvazione per sentirsi, finalmente, complete.
“Rendersi indispensabili, ‘far trovare buona la vita all’altro’, è stato a lungo il modo alienante con cui le donne hanno cercato di riempire il vuoto apertosi all’origine nell’amore di sé”, dice Lea Melandri.
Povere e analfabete, ricche e colte: la dipendenza emotiva non fa distinzioni tra classi sociali, etnie, religioni, età. Sono tante le donne cresciute nel mito dell’unione fusionale e intrappolate in relazioni abusanti: si sottomettono alla tirannia della sopportazione per amore mentre la loro autostima si dissolve nella continua, compulsiva ricerca di riconoscimenti affettivi.
“Darei qualsiasi cosa per te”. “Senza di te non sono nulla”. “L’amore tutto può, tutto perdona”. “Cerco la mia anima gemella”. I topici che idealizzano l’amore e lo mettono sopra ogni altra cosa sono facili da trovare nei film e nelle canzoni, anche le più recenti.
Se l’ammaestramento consiste nel rendere la fanciulla una creatura malleabile, l’800, il secolo della borghesia e del Romanticismo, si produsse al massimo in questo intento.
“Amore romantico” è un’espressione riferita all’atteggiamento nato da un mito che si pretende universale e che la norma collega al “coronamento” nel matrimonio eterosessuale. Si pensi che perfino dopo un divorzio il sogno dell’amore ideale su cui basare la propria vita rimane inalterato, pur se ammaccato dalle delusioni.
L’età romantica teorizza le sfere separate e la coppia come nucleo chiuso, costruisce lo spazio fisico e simbolico del privato e vede nascere una nuova tipologia familiare. Colloca le donne sul piedistallo del sentimentalismo mentre le chiude nei muri delle case e nelle gabbie della doppia morale e dei sogni tossici. L’eroina romantica dallo svenimento facile, passiva, fragile, esangue, serve per contrasto a enfatizzare le volitive qualità virili. L’altra faccia del femminile, la femminilità eccentrica da esorcizzare e condannare è la maliarda, temuta e desiderata, quella che Hollywood chiamerà vamp, il vampiro che succhia il sangue degli uomini: la femme fatale, la belle dame sans merci di cui è ricca la letteratura a cavallo tra ‘800 e ‘900.
Nell’immaginario poetico dell’epoca, con l’emergere del romanzo moderno, i desideri prendevano una veste nuova (l’amore fusionale, l’onnipotenza dell’amore, l’indispensabilità reciproca), che in pratica manteneva solide le basi dell’antica struttura patriarcale, dirottando altrove la progressiva affermazione di rivendicazioni femminili. Lo spirito di indipendenza e di iniziativa della donna venne percepito come tendenza alla mascolinità e fu tanto temuto quanto la simmetrica femminilizzazione dell’uomo: quella che da secoli turbava i sonni.
Tutto questo rappresenta un momento cruciale per l’affermarsi delle immagini del maschile e del femminile che ancor oggi spesso definiscono i rapporti e i ruoli che gli uomini e le donne assumono.
Molti dei romanzi ottocenteschi che ci hanno appassionate descrivono il terrore di restare zitella, la paura della solitudine, la tendenza a sentirsi valide solo se validate da un altro. Quante esortazioni materne? Quanti matrimoni sbagliati? Quanto dolore?

La sindrome di Stoccolma
“Mi fa del male ma lo amo”. L’amore della vittima per il suo carnefice. Fare qualsiasi cosa pur di compiacerlo, giustificandolo anche quando ti massacra.

La sindrome della crocerossina
Quante donne si legano a uomini problematici e dissipano tempo ed energie nella convinzione di poterli salvare? Che un rospo si trasformi in principe accade solo nelle favole.

La sindrome di Eco
Le dipendenti affettive, come la ninfa del mito, elemosinano continuamente maggior amore, ottenendo il risultato opposto. Si accontentano delle briciole. Si legano a partner che sanno non adatti a loro ma, nonostante ciò le renda infelici, non riescono a lasciarli.

La sindrome di Wendy
Ho tenuto in serbo la tua ombra, spero non si sia sgualcita. Va cucita, lo faccio io, è un lavoro da donna: con queste parole Wendy si rivolge a Peter Pan la prima volta che lo incontra.
Esistono uomini-Peter Pan che rimangono per sempre bambini, rifiutando sistematicamente le proprie responsabilità; riescono a farlo perché esistono donne che con loro si comportano da madri anziché da compagne. I piccoli della specie vanno accuditi, gli adulti no.

 

Articolo di Graziella Priulla

RfjZEjI7Graziella Priulla, già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.

 

Illustrazione di Marika Banci

1--BExhxDopo la laurea in Lettere moderne, Marika si iscrive al corso triennale di Progettazione grafica e comunicazione visiva presso l’ISIA di Urbino. Si diploma nel 2019 con una tesi di ricerca sulle riviste femministe italiane dagli anni ’70 ad oggi e la creazione di una rivista d’arte in ottica di genere dal nome “Biebuk”. Designer e illustratrice, ha dedicato alle tematiche femministe molti dei suoi ultimi progetti.

 

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