15 marzo 1924, ore 17.10: un terribile incendio devastò la fabbrica di fiammiferi Phos Italiana a Rocca Canavese, in provincia di Torino.
Morirono diciotto giovanissime operaie tra i 12 e i 19 anni e tre operai, e ci furono pure un numero imprecisato di feriti.
La fabbrica era molto vicina alla piazza principale del paese per cui alcune abitazioni crollarono e altre furono seriamente danneggiate.
15 marzo 1924, 23.30: dopo l’intervento dei pompieri, si iniziarono ad estrarre i corpi delle vittime e questa terribile incombenza andò avanti fino al giorno 17. Una volta identificati i corpi si scoprì che la più giovane aveva solo 12 anni.
16 e 17 marzo 1924: Maddalena, Margherita, Giovanna, Clotilde, Maria, questi sono alcuni dei nomi delle giovani vittime, ricordate dalle principali testate locali e nazionali nei giorni immediatamente successivi alla tragedia; per commemorarle furono stampate delle cartoline illustrate con le immagini dei funerali e dei resti della fabbrica, secondo l’uso del periodo. Ma dal mese di aprile in avanti calò il silenzio sulla vicenda, fino agli anni ‘80.
Ci furono naturalmente i processi e gli indennizzi: il Sindacato Subalpino di Assicurazione Mutua pagò un indennizzo pari a 5 annualità di salario alle famiglie delle decedute, a cui si aggiunsero altre 52.249 lire provenienti da una sottoscrizione i cui fondi arrivarono pure dall’America. Alla fine, ai familiari arrivarono circa 8 mila lire, soldi che per qualcuno significarono la salvezza dalla miseria più nera.
Nel 1924 le elezioni del 6 aprile che segnarono la vittoria del Partito fascista e successivamente, a giugno, il delitto Matteotti. distolsero l’attenzione dei media dal piccolo paesino del Canavese.
La vicenda fu semplicemente rimossa non solo dalla stampa, dalle autorità, ma pure dalla comunità locale. Perché? Lo studioso Carlo Boccazzi Varotto, nel saggio dal titolo “Le piccole fiammiferaie. Una tragedia del lavoro dimenticata”, oltre a ricostruire il dramma, è andato anche a ricercare il perché del silenzio su una strage sul lavoro tra le più grandi del Paese.
Tragedia dimenticata, sostiene Boccazzi Varotto, ma anche annunciata. Infatti, già dalle indagini preliminari agli indennizzi erano emerse purtroppo le responsabilità della proprietà: l’inosservanza delle minime misure di sicurezza previste dalle leggi vigenti, l’inadeguatezza della struttura della fabbrica, denunciate dall’allora direttore tecnico alla proprietà e rimaste inascoltate. Inoltre le giovani lavoravano chiuse all’interno della fabbrica e questo aveva reso loro impossibile la fuga allo scoppio dell’incendio. Una di loro, più fortunata, Brasiliana Molinar Min che all’epoca aveva19 anni, per sfuggire alle fiamme si era lanciata da una finestra rompendosi “solo” una gamba.
All’epoca dell’incidente l’Italia era un Paese scarsamente industrializzato e le poche fabbriche avevano spesso strutture e tipologie di lavorazione assai arretrate. Emblematico è proprio il caso delle fabbriche di fiammiferi: negli anni della tragedia della Phos esse continuavano a utilizzare il fosforo bianco, nonostante da alcune decine di anni fosse stata scoperta la nocività di quel materiale. Ma non solo: nel 1906 la Convenzione di Berna ne aveva proibito l’utilizzo. Naturalmente il prezzo più alto lo pagavano in primo luogo i lavoratori, specie quelli che lavoravano a contatto con sostanze pericolose e privi di alcuna tutela sul posto di lavoro.
A quei tempi la Phos (costituita con capitali russi, italiani, svedesi) costituiva l’unica realtà industriale locale in grado di occupare manodopera femminile, in cambio di un salario molto basso, pari a circa 4 lire giornaliere, ma pur sempre un contributo ad economie familiari assai modeste. L’apertura della fabbrica, all’epoca, fu vista quindi come una benedizione dalla comunità e forse per questo la memoria della tragedia è stata più cancellata che tramandata.
Buona parte della ricostruzione della vicenda, data la scarsità di fonti, si deve alla memoria di una sopravvissuta all’incendio, Margherita Data, che dovette convivere per tutta la vita con i segni delle ustioni riportate e con l’amputazione di un braccio. Morì nel 2003, a 96 anni.
“Quelle giovani le conoscevo tutte, avevano cominciato a lavorare con me l’anno prima quando erano stati aperti i cancelli della fabbrica”, raccontò la pensionata, addetta al pennellaggio della carta smerigliata, la superficie dove si sfregano i fiammiferi, “la Phos aveva portato lavoro, noi guadagnavamo quattro o cinque lire al giorno, eravamo contente».
1984: ci vollero sessant’anni per sollevare la pesante coltre di silenzio sulla tragedia grazie all’allora parroco di Rocca, don Mecca. Il suo interessamento e le sue pressioni sull’amministrazione comunale fecero sì che alle vittime della Phos – Italiana fosse intitolata una via nelle vicinanze della ex fabbrica.
2014: il Comune di Rocca Canavese decise di dedicare un’intera giornata a quella tragedia “che non ricorda quasi più nessuno”, dichiarò il sindaco Fabrizio Bertetto, “noi invece vogliamo che le generazioni giovani conoscano questo dramma perché la memoria non deve essere perduta”. Anche la stampa locale iniziò a ricordare quella giornata, in occasione delle celebrazione per la festa della donna. Fu ritrovato pure il testo di una canzone popolare dell’epoca, una delle poche testimonianze contemporanee ai fatti che racconta il drammatico incidente:
A Rocca Canavese ha distrutto ogni cosa
un incendio che orror,
eran giovani sul fior degli anni
lavoravano con grande ardor.
Ivi presso il torrente Malone,
era sorta un’azienda industrial
di fiammiferi nuova invenzione
col lavoro assai forte e normal.
Un giorno del 15 marzo
uno scoppio tremendo si sente,
affannosa tutta la gente
corre presso il torrente Malon.
Vi eran donne del Canavesano
nel fior della lor gioventù,
che l’incendio terribile e strano
ha distrutto e non vivono più.
Ventitré sono i corpi incendiati
stritolati, schiacciati, chissà.
Quanti restan tuttor sotterrati
che ancor chiedon salvezza e pietà.
Sulla tomba di questi infelici
una lacrima e un fiore posiam.
E Tu, Sommo Fattor, benedici
le lor anime, oh Dio, ti preghiam.
Per saperne di più:
Rocca Canavese. La strage dimenticata delle piccole fiammiferaie in DIRITTI DISTORTI http://www.dirittidistorti.it/
G. Giacomino in La Stampa, Torino 15 marzo 2014;
J. Sinopoli, in La Voce, 4 novembre 2014;
C. Boccazzi Varotto, Le piccole fiammiferaie. Una tragedia del lavoro dimenticata, ed. Dell’Orso s.r.l., Alessandria, 1999.
Articolo di Marina Antonelli
Laureata in Lettere, appassionata di ricerca storica, satira politica e tematiche di genere ma anche letteratura e questioni linguistiche e sociali, da anni si dedica al volontariato a favore di persone in difficoltà ed è profondamente convinta dell’utilità dell’associarsi per sostenere i propri ideali e cercare, per quanto possibile, di trasformarli in realtà. È autrice del volume Satira politica e Risorgimento. I giornali italiani 1848-1849.