«L’uccisione tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 da parte di reparti tedeschi, appartenenti essenzialmente alla 16a divisione granatieri “Reichsführer-SS”, di quasi 800 persone, per la massima parte donne e bambini, nel quadro di un’operazione antipartigiana di “bonifica” del territorio immediatamente a ridosso della prima linea del fronte, è nota come “strage di Marzabotto”. Si tratta in realtà della sommatoria di una serie di singoli episodi di violenza assassina contro civili inermi che si consumarono in 115 luoghi diversi, secondo le verifiche compiute dal Comitato Regionale per le onoranze ai Caduti di Marzabotto. Questi luoghi sono distribuiti nel territorio di tre comuni a sud di Bologna (Marzabotto, Grizzana, Monzuno) e disseminati in una zona delimitata dalle valli del Setta ad est, del Reno ad ovest, e sovrastata dalle alture di Monte Sole a nord e Monte Salvaro a sud».
Così l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia (la scheda è redatta dallo studioso Paolo Pezzino) a proposito dell’eccidio numericamente più grande (770 vittime civili) e forse più drammatico – se è legittima una contabilità dell’orrore – compiuto dalle truppe tedesche di occupazione tra il settembre 1943 e il maggio 1945, risalendo la penisola italiana. Una strage successiva di qualche settimana a quelle di Sant’Anna di Stazzema, di Bardine San Terenzo e Vinca, località tutte dell’Appennino tosco-emiliano, la più grande strage di civili dell’intera Europa Occidentale.
I nomi delle località non rinviano a centri abitati coesi e di una qualche consistenza, ma a case coloniche, poderi, edifici rurali ubicati in territori comunali di ampie dimensioni, percorsi da sentieri, viottoli, carrabili: Cadotto, Aravecchia, Steccola, Casa Palazzo, Ca’ Serra, San Martino, San Giovanni, Casaglia, Cerpiano, Caprara, Ca’ di Bavellino, Ca’ Belvedere, Ca’ Beguzzi, Pioppe di Salvaro, Roncadelli, Gardelletta, La Quercia, Pian del Prete, Ca’ di Piede, Creda di Salvaro, Prunaro di Sopra, Prunaro di Sotto, Ca’ di Zermino, Ca’ Termine, Abelle, Colulla di Sopra, Colulla di Sotto, Ca’ Le Scope, Ca’ Dorino. Ecco le località menzionate nel processo per le stragi di Marzabotto-Monte Sole, celebrato dal Tribunale Militare di La Spezia, che, con sentenza n. 1 del 13 gennaio 2007, condanna alla pena dell’ergastolo dieci imputati su venti, ne assolve sette, dichiara il non luogo a procedere per tre, in quanto deceduti; giudizio sostanzialmente confermato in secondo grado dalla Corte Militare di Appello di Roma, con sentenza n. 25 del 7 maggio 2008. Anche in questo caso, tuttavia, come avviene per altre stragi, nessuno dei militari colpevoli sconta la pena: la Germania rifiuta l’estradizione e gli stessi assassini non accettano di riconoscersi come tali.
Albert Meier è comandante di squadra della 2a Compagnia del 16° Reparto Esplorante della 16a Divisione “Reichsführer SS” impiegato nell’azione di Monte Sole (composto da quattro compagnie); ogni compagnia è formata da circa 90 uomini e si compone di 4 plotoni, ognuno dei quali conta a sua volta circa 20-25 uomini; ogni plotone si divide infine in 4 squadre di circa 7-10 uomini: il caporale Meier – identificato nel corso delle indagini al pari dei suoi camerati – è il graduato che dirige la strage di Cerpiano, località nel territorio di Monte Sole, di efferatezza esemplare.
La mattina del 29 settembre, la squadra guidata da Albert Meier giunge a Cerpiano, minuscolo borgo contadino ove sono sfollate diverse famiglie dalle valli vicine e ove si trova un oratorio consacrato agli Angeli Custodi; qui sono rinchiuse le 49 persone rastrellate nell’abitato: 27 donne, 20 bambini, 2 uomini (uno paralitico e uno anziano). All’interno dell’oratorio, attraverso porte e finestre, le SS lanciano bombe a mano, provocando una strage che tuttavia non uccide tutti i prigionieri: secondo il racconto dell’unica adulta scampata all’eccidio, la maestra Antonietta Benni, circa venti persone sopravvivono al primo lancio di bombe; Meier, poi, «piazzò delle sentinelle alle porte, dove furono praticati dei fori perché potessero sorvegliare e deridere i superstiti che si raccomandavano loro, e con gli altri suoi uomini andò a fare baldoria nel palazzo accanto. – scrive Paolo Pezzino – Solo nel pomeriggio del giorno successivo, sabato 30 settembre, i tedeschi rientrarono nell’oratorio e annunziarono che dopo venti minuti sarebbero tutti morti. Quindi si sentirono i fucili che venivano ricaricati e cominciò una breve sparatoria, dopo la quale i soldati passarono a depredare i morti degli oggetti di un qualche valore; dopo avere depredato le loro vittime, se ne andarono».
Quando nel 2001 viene intervistato dal giornalista Udo Gümpel, Albert Meier è anziano e gravemente malato: e tuttavia rivendica la strage di Cerpiano, definendo le vittime ‘Linksbazillen’: non ‘bacilli sinistri’, come erroneamente tradotto dal tedesco durante il processo di La Spezia, ma ‘bacilli di sinistra’, come puntualizza Andrea Speranzoni, uno degli avvocati di parte civile, nel bel libro A partire da Monte Sole: «bacilli di sinistra da estirpare dal corpo malato della società, per sanarlo». Nessun dubbio, nessun rimorso, nessun pentimento: «uno di loro, dopo aver massacrato i bambini dentro l’oratorio, si era messo a suonare l’armonium», testimonia Fernando Piretti, uno dei due bimbi scampati all’eccidio.
Bambini, bambine. «Non avevi pietà nemmeno per i bambini?» è la domanda che Helga Schneider rivolge alla madre, che tanti anni prima l’ha abbandonata per arruolarsi come ausiliaria nelle SS, ovvero guardiana nel campo femminile di Ravensbruck e successivamente in quello di Auschwitz-Birkenau. «E perché mai avrei dovuto averne?» – è la pronta risposta di lei – «Un bambino ebreo sarebbe diventato un adulto ebreo, e la Germania doveva liberarsi di quella razza odiosa, quante volte te lo devo ripetere?» (la narrazione dell’ultimo incontro tra Helga e la madre, doloroso e risolutore, dà vita allo straordinario romanzo autobiografico Lasciami andare, madre).
L’inconcepibile – lo scempio di inermi, la volontà di incrudelire, l’indifferenza con cui sono compiute le azioni più sanguinarie – trovano ragione nella deumanizzazione dell’altro, in questo caso del popolo italiano da parte dell’esercito tedesco, SS e Wermacht. È un pregiudizio che viene da lontano, dal risentimento maturato durante e dopo la Grande guerra, che tuttavia si consolida nel corso della Seconda guerra mondiale, quando agli occhi delle gerarchie naziste le sconfitte italiane trasformano il nostro paese nel capro espiatorio della disfatta prossima ventura, e che conosce una accelerazione nelle settimane tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, quando – come sostiene lo storico tedesco Gerhard Schreiber, Berlino concentra il maggior numero di divisioni possibili in Italia, Jugoslavia e Grecia, per disarmare l’esercito italiano nel momento in cui il nostro Paese fosse uscito dal conflitto. «Verso i traditori» – afferma Albert Kesselring, comandante supremo delle forze tedesche in Italia – non può esservi «alcuna indulgenza»: perciò sono emanate direttive in base alle quali i militari italiani sono assassinati durante la resa o dopo la cattura e, in un crescendo di violenza e terrore, bandi che legittimano rappresaglie ai danni di civili e stragi di inermi pianificate a scopo terroristico. Come l’eccidio di Monte Sole, il più grande per numero di vittime. Lo stesso Kesselring, scarcerato dopo appena cinque anni di prigionia, con inaudita arroganza affermò che gli italiani avrebbero dovuto erigergli un monumento per la correttezza del proprio comportamento durante l’occupazione. Come noto, gli risponde Piero Calamandrei, con una lapide «ad ignominia», ricordando al feldmaresciallo «i sassi affumicati dei borghi inermi straziati» e «il silenzio dei torturati più duro d’ogni macigno», riscattati «per dignità e non per odio» dalla Resistenza. La dignità di donne e uomini liberi che La vendetta tedesca (è il titolo dell’illuminante opera di Gerhard Schreiber) nega alla ‘razza inferiore’ italiana: bambini, donne, uomini, trasformati in nude vite, da eliminare senza alcun dubbio, rimorso, pentimento.
«L’operazione di Marzabotto – si legge nella sentenza della Corte Militare di Appello di Roma – aveva la finalità, da un lato di contrastare le formazioni partigiane, dall’altro di uccidere un grandissimo numero di persone, senza distinzione di sesso o di età, e per far ciò, considerati i limiti spaziali e temporali dell’intervento militare, il metodo più efficace non era quello di impiegare attenzioni e tempo all’omicidio di ogni civile preso come singolo, ma di colpire soprattutto là dove ci fossero comunità e famiglie numerose che contribuivano al macabro ‘conteggio’ delle vittime»: vittime del tutto disarmate e indifese, che si possono sterminare senza rischio, a differenza dei partigiani.
La «vendetta tedesca» è tuttavia in qualche misura riscattata, dopo cinquantotto anni, dalle parole del Presidente della Repubblica Federale di Germania, Johannes Rau, in visita al Parco Storico di Monte Sole con il Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, il 17 aprile 2002 (foto sottostante): «Quando penso ai bambini e alle madri, alle donne e alle famiglie intere, vittime dello sterminio di quella giornata, mi pervade un profondo senso di dolore e di vergogna. Mi inchino davanti ai morti».
Articolo di Laura Coci
Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Insegna letteratura italiana e storia ed è presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.