Jane Austen (16 dicembre 1775 – 18 luglio 1817)
In quegli anni Novanta che tentarono, soprattutto attraverso il cinema hollywoodiano, di riproporre i grandi classici della letteratura internazionale puntando più sul sensazionalismo che non sulla qualità e fedeltà all’originale, su “Vanity Fair” fu scritto : «Lo scrittore più alla moda nello show business non è John Grisham o Michael Crichton, ma Jane Austen». Lo scrittore non è proprio il termine corretto per definire con uno sguardo di genere chi inizialmente firmava i suoi romanzi con la formula “by a Lady” e che, con una spiccata sensibilità femminile e un approccio attento e dissacrante, descrisse la società inglese del suo tempo offrendone uno spaccato che va oltre la sola esperienza letteraria per spaziare nel campo della sociologia, della psicologia, dell’economia. Per questo forse aveva ragione Virginia Woolf quando, parlando di Jane Austen, sosteneva fosse «l’artista più perfetta fra le donne».
Era nata in un piccolo villaggio dello Hampshire il 16 dicembre del 1775, aveva otto tra fratelli e sorelle e un padre, pastore anglicano, molto attento all’educazione dei figli. Fu lui a trasmetterle l’amore per la letteratura mettendole a disposizione una biblioteca di oltre 500 volumi e ad insistere affinché leggesse i grandi autori dell’epoca in lingua: la giovane Austen finì per conoscere perfettamente sia il francese che l’italiano. I soggiorni a Oxford e Southampton così come la frequenza della Abbey School of Reading furono occasioni per affinare un’intelligenza e una capacità di osservazione fuori dal comune. Furono quelli gli anni in cui Jane Austen cominciò ad affidare alla scrittura le sue riflessioni mostrando già nella prima raccolta di poesie e racconti, Juvenilia, una vena artistica molto personale caratterizzata da una sottile parodia dei temi cari alla letteratura romantica e da una descrizione tutta al femminile del sentimento amoroso, ma senza il filtro del decoro e del buon senso.
All’età di vent’anni, il talento letterario di Jane Austen era già evidente e fu allora che la giovane donna diede inizio alla stesura di quei romanzi che l’avrebbero resa celebre, in particolare i famosissimi Orgoglio e pregiudizio e Ragione e sentimento. Una prima pubblicazione fu tentata dal padre, molto sensibile alle capacità letterarie della figlia, ma senza successo. Fu solo dopo la sua morte che Jane Austen riuscì a far uscire prima Orgoglio e pregiudizio nel 1813 e poi Mansfield Park nel 1814 che esaurì in soli sei mesi tutte le copie stampate. Del 1815 è il romanzo Emma che fu l’ultimo libro pubblicato in vita perché L’Abbazia di Northanger e Persuasione furono editi postumi dal fratello.
Jane Austen non si sposò mai e visse un’infelice storia d’amore con Thomas Langlois Lefroy, figlio di una famiglia originaria della cittadina natale della donna, Stevenson. Il sentimento era reciproco, ma la famiglia del giovane ritenne la figlia del reverendo inadeguata socialmente e si oppose al matrimonio. Questa triste vicenda segnò profondamente Jane e divenne uno dei temi ricorrenti dei suoi romanzi in cui al centro troviamo un’analisi dissacrante dell’universo delle donne tanto da renderla una pioniera della questione femminile. Nonostante i grandi eventi storici facciano da sfondo ai suoi romanzi, in realtà è il ristretto ambiente di provincia ad essere prediletto e i personaggi della campagna inglese che vengono presentati senza ricorrere a lunghe dissertazioni sulla loro natura, ma utilizzando poche e significative battute che hanno il pregio di conferire a ciascuno di loro vizi e virtù presentati con ironia ed arguzia. Nessuno viene risparmiato dallo sguardo implacabile della scrittrice neppure le protagoniste dei romanzi che tutte concludono la loro esistenza contraendo un matrimonio più o meno felice per raggiungere il quale devono padroneggiare virtù come moderazione, capacità di giudizio e controllo di sé. Ciò è ben evidente in Ragione e sentimento dove sono presenti due diversi modi di essere donna: quello di Elinor, riflessiva, moderata e mite e quello della sorella Marianne, spontanea, appassionata ed eccessivamente schietta. Nel loro rapporto si ripropongono probabilmente le stesse dinamiche relazionali che unirono Jane alla sorella Cassandra con la quale condivise buona parte della sua esistenza, ma anche della malattia che fu causa della morte e cioè la sindrome di Addison. Un’efficace sintesi di questo si può trovare in questa citazione tratta proprio da Ragione e sentimento: «Le nostre situazioni sono identiche, nessuna di noi due ha niente da dire: tu perché non comunichi mai nulla, io perché non nascondo mai nulla».
La protagonista dell’omonimo romanzo Emma invece è un’eroina che, come dice la stessa scrittrice, «non potrà mai piacere a nessuno, fuorché a me stessa» questo perché presenta caratteristiche diverse dalle altre: non ha problemi familiari ed economici tali da rendere fondamentale un matrimonio, che comunque verrà celebrato alla fine per volontà della stessa Emma allo scopo di mantenere il suo status quo; non prova nessun tipo di trasporto amoroso e passionale e conduce una vita estremamente noiosa a cui tenta di porre rimedio sfruttando la sua intelligenza e brillantezza per combinare matrimoni anticipando una professione che oggi riscuote ancora molto successo.
Nel secolo delle grandi speranze generate dalla Rivoluzione francese, Jane Austen non si limita a parlare di sentimenti e relazioni, ma va oltre percependo i cambiamenti di una realtà, come quella inglese, nella quale la disuguaglianza sociale si fondava su due pilastri fondamentali: la rendita – in genere fondiaria o derivante da titoli del debito pubblico – e un buon matrimonio. Quindi non solo scrittrice dotata di uno stile molto personale e originale in grado di penetrare nell’animo dei suoi personaggi attraverso il discorso indiretto libero che conferisce loro una carica aggiuntiva a volte di ironia, altre di drammaticità, e mediante il ricorso a battute secche ed incisive nei dialoghi, ma anche un’economista ante litteram. Avendo ricevuto un’istruzione duttile e versatile, non è difficile ipotizzare, a ragion veduta, che avesse letto La teoria dei sentimenti di Adam Smith e sviluppato un’acuta sensibilità nei confronti del fenomeni sociali dell’epoca, ponendosi anche quesiti di carattere etico-morale in merito all’affermazione dei nuovi valori della società industrializzata e al culto del guadagno di cui essa è portatrice. È opportuno precisare che il suo è un punto di vista domestico, femminile e individuale, ma assolutamente geniale nell’attribuire al matrimonio una funzione fondamentale di ascesa sociale e nell’individuare quei meccanismi di difesa messi in atto da un individuo per proteggersi dagli stigmi sociali della classe di appartenenza. Il caso più emblematico è quello di Elizabeth Bennet e del suo orgoglio che diventa pregiudizio nei confronti di Darcy in Orgoglio e pregiudizio .
Persuasione è l’ultimo libro di Austen, quello che io personalmente ho più amato, sinceramente non per una storia d’amore che si conclude felicemente dopo essere stata ostacolata da stereotipi socio-economici molto radicati, quanto per la maggiore consapevolezza con cui viene trattata la condizione femminile mettendone in risalto soprattutto quelle ombre che portano alla lucida analisi finale della protagonista del romanzo: «Lentamente non vi dimentichiamo così in fretta come voi dimenticate noi. Forse è il nostro destino più che un nostro merito. Trascorriamo il tempo relegate in casa, quietamente, a tormentarci per i nostri sentimenti».
Articolo di Alice Vergnaghi
Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.