Peggy Guggenheim, la dogaressa dell’arte contemporanea. A quarant’anni dalla sua scomparsa

Se volessi inserire il racconto della persona e della vicenda di Marguerite Guggenheim, nota come Peggy, in un libro, sceglierei sicuramente quello di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri intitolato Morgana. Storie di ragazze che tua madre non approverebbe, un volume nato per raccogliere le storie raccontate nella trasmissione storielibere.fm, un progetto – come si legge nel sito – «di narrazione e intrattenimento che si propone di ridare centralità alla parola. Una piattaforma di podcast audio affidati a narratori militanti». Le storie contenute in questo consigliatissimo libro sono al limite di ogni perbenismo e concetto preconfezionato di cosa sia una donna brava e giusta: si parla di Moana Pozzi, Vivienne Westwood, Grace Jones, Marina Abramovic, Santa Caterina da Siena, Zaha Hadid e tante altre. Peggy Guggenheim tra tutte queste figure non convenzionali ci starebbe benissimo, con i suoi occhi azzurri, i capelli castani, le gambe lunghe e un naso pronunciato che ha tentato di modificare con una rinoplastica tanto malriuscita da deformarle i lineamenti.
Nata a New York nel 1898, in un finale di secolo effervescente e complesso, in un mondo che sta cambiando a velocità abbastanza sostenuta e si sta avviando all’incendio della Grande Guerra. È una nata con la camicia, si direbbe: suo nonno Solomon R. Guggenheim aveva fondato l’omonima fondazione per la creazione di musei in giro per il mondo, suo padre, Benjamin Guggenheim, si era arricchito con l’estrazione del rame, dell’argento e con l’acciaio, invece sua madre, Florette Seligman, apparteneva ad una delle più importanti famiglie di banchieri americani. Il padre muore sul transatlantico più tristemente famoso della storia, il Titanic, in modo eroico a discapito della sua presenza, abbastanza clandestina, sulla nave, in compagnia dell’ennesima amante: dopo aver ceduto il suo posto in scialuppa a donne e bambini, ritorna a bordo e attende la fine del naufragio bevendo champagne in smoking, scena ricostruita fedelmente anche nel film Titanic di James Cameron. Lei ha tredici anni ed è destinataria di un’eredità di 2,5 milioni di dollari. Un futuro brillante e ricco già praticamente spianato per Peggy. Ma alla ragazza non interessava la vita dorata che la sua appartenenza familiare le avrebbe garantito e compie, nel 1922, il primo atto di ribellione: sposa un artista squattrinato, un dadaista di nome Laurence Vail. È l’epoca delle avanguardie storiche e artistiche, Peggy è attratta moltissimo da questo mondo: durante gli anni del matrimonio con Vail conosce personalità come Man Ray, per cui poserà, Jean Cocteau, Kiki de Montparnasse, Ezra Pound, con cui giocava a tennis, Gertrude Stein e James Joyce, Constantin Brâncu
și e Marcel Duchamp. Il matrimonio con Vail fallisce nel 1928 e lei si trasferisce in Europa vagando tra Londra e Parigi con i suoi due figli, Sinbad e Pegeen. Nello stesso anno conosce a Saint Tropez uno scrittore raffinato ma alcolizzato, John Holms, che diventa uno dei suoi grandi amori, morto nel 1934 a soli trentasei anni per una banale operazione al polso. Nel gennaio del 1938 è a Londra e insieme a Jean Cocteau inaugura la galleria Guggenheim Jeune: è il suo battesimo da mecenate dell’arte, la prima di una lunga serie di collezioni che la consacrano a più importante sostenitrice dell’arte contemporanea. Nella galleria espone opere di Picasso, Jean Arp, Max Ernst, Tanguy (con il quale nel frattempo ha intrecciato una relazione), Kandinskij, Brâncuși, Braque, un tripudio di artisti di avanguardia, corrente artistica a cui l’avevano avvicinata in particolare gli amici Samuel Beckett e Marcel Duchamp. L’anno successivo Peggy decide di far diventare la galleria un vero e proprio museo, ma sopraggiunge la guerra e nel 1941 è costretta a lasciare l’Europa (anche per le sue origini ebree) e ritornare negli Stati Uniti, dove però non si arrende nemmeno di fronte alle crescenti difficoltà generali dovute allo scoppio del conflitto mondiale: nel 1942, infatti, inaugura la galleria Art of this century. Probabilmente senza il mecenatismo lungimirante e istintivo di Peggy Guggenheim, non avremmo conosciuto e apprezzato Jackson Pollock, che finanzia sopportandone i capricci e l’alcolismo e che per prima considera il più grande artista del secolo dopo Picasso. Intanto ha sposato Max Ernst, da lei amatissimo ma non ricambiata. Grazie alle sue collezioni avviene l’incontro tra gli artisti d’oltreoceano e quelli delle avanguardie europee: gli uni hanno la possibilità di conoscere gli altri, il collante è Peggy e il suo incessante entusiasmo per l’arte e la sua diffusione. Nel 1943 divorzia anche da Ernst: Peggy soffre molto, è il secondo matrimonio a naufragare, nonostante il suo totale trasporto nell’amare senza riserve gli uomini che ha avuto. L’arte rappresenta per lei un’ancora di salvezza, la via per non soccombere alle tristezze, i dolori e le delusioni della vita, che non l’hanno risparmiata sin da ragazzina: la morte del padre, delle sorelle, di Vail, i divorzi, gli amori non ricambiati, non si è fatta mancare nulla, Peggy Guggenheim.
Comincia, dunque, dopo l’America un altro capitolo importante della sua avventurosa vita: il ritorno in Europa nel 1947. Con l’audacia, l’intraprendenza e la sua fede totale nell’arte della contemporaneità, Peggy sceglie di stabilirsi in un luogo che la rapirà e stregherà letteralmente: Venezia, la città in queste ultime settimane ferita dalle inondazioni che hanno messo a durissima prova i suoi abitanti e il suo straordinario e ricchissimo patrimonio artistico. Di essa ha una stima e un apprezzamento tali da affermare: «Si è sempre dato per scontato che Venezia è la città ideale per una luna di miele, ma è un grave errore. Vivere a Venezia, o semplicemente visitarla, significa innamorarsene e nel cuore non resta più posto per altro» (in Anton Gill, Peggy Guggenheim, 2004). Nel 1948 acquista Palazzo Venier dei Leoni sul Canal Grande, uno scenario mozzafiato dove trasferisce la sua enorme collezione, consistente in più di trecento opere d’arte, che espone lo stesso anno alla Biennale.

FOTO 1 Peggy Guggenheim_“Arco di petali” di Alexander Calder_Biennale di Venezia_1948
Peggy Guggenheim con Arco di petali di Alexander Calder. Biennale di Venezia, 1948

A partire dal 1949 Palazzo Venier apre al pubblico come vero e proprio museo, “Collezione Peggy Guggenheim”: è il sogno di una vita, realizzato grazie alla caparbietà e grande intraprendenza di questa donna anticonformista e per nulla allineata alle regole, che negli anni della sua esistenza volevano le donne sottomesse, nell’ombra, succube del maschilismo della Storia, anche, forse soprattutto, nelle arti.
Nonostante l’eccezionale e improvvisa ondata di acqua alta che nel 1966 allaga completamente Palazzo Venier, le opere della collezione restano illese perché pochi giorni prima erano state imballate per essere trasportate a Stoccolma per un’esposizione.

FOTO 2.Peggy Guggenheim nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’50
Peggy Guggenheim nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’50

Fondamentale è stato il contributo della signora assoluta dell’arte contemporanea all’emancipazione artistica e affermazione delle donne. L’anno scorso proprio la nipote di Peggy, Karole Vail, è stata nominata direttrice del museo veneziano, uno dei più visitati fra quelli privati in Italia, dopo i trentasette anni di dirigenza di Philip Rylands. In un’intervista sulla vita e l’attività professionale della nonna, Karole dichiara: «Durante una conversazione con Marcel Duchamp, Peggy manifestò all’amico la sua opposizione alla tendenza surrealista di vedere la donna come pura e semplice musa e/o modella. In tutta risposta, Duchamp propose a Peggy di dedicare una mostra interamente a donne artiste, da cui nel 1943 nacque la mostra “Exhibition by 31 Women”. Credo si possa dire che Peggy cercasse di riappropriarsi di un’identità femminile da tempo negata, di dare alle donne un ruolo nuovo. Libera da qualunque ottuso moralismo, tentò di riscattare la donna dalla castrazione a cui era soggetta da secoli, sia supportando la creatività di tante donne che esprimendo la propria libertà e vitalità nei suoi rapporti umani. Negli Anni ’40 a New York nel mondo dell’arte la donna era concepita meramente come amante o modella, mai come artista. Il pensiero dominante ed ormai radicato era che le donne potessero tutt’al più avere delle intuizioni in tema di decorazione. E Guggenheim, attraverso “31 Women” volle testimoniare che la creatività delle donne non era affatto da circoscrivere a tale ambito. Nel contesto di una scena artistica in cui regnava un Espressionismo astratto esclusivamente maschile, che annullava rigidamente l’identità femminile, “31 Women” creò le condizioni per un’inversione di rotta» (https://www.letteradonna.it/it/articoli/fatti/2019/).
La mostra
(Exhibition by 31 Women), ospitata dal 5 gennaio al 6 febbraio 1943 nella galleria newyorkese Art of This Century, fu dedicata a 31 donne artiste, tra cui Frida Kahlo, Meret Oppenheim, Dorothea Tanning e Virginia Admiral, madre di Robert De Niro.
Dal 21 settembre 2019 al 27 gennaio 2020, per celebrare il periodo veneziano e i quarant’anni dalla scomparsa, è allestita un’esposizione dal titolo “Peggy Guggenheim. L’ultima Dogaressa”, incentrata sulle tappe e sugli eventi che hanno segnato i trent’anni trascorsi in laguna da Peggy, dal 1948 al 1979, anni cruciali per la storia dell’arte del XX secolo. Sono esposte una sessantina di opere della sua collezione, in particolare artisti e artiste da lei scoperti e patrocinati, come Grace Hartigan, espressionista americana del gruppo di Pollock, Kenzo Okada, un artista giapponese americano mai esposto, le opere di Manfredo Massironi e Martha Boto, Marina Apollonio e Alberto Biasi, i veneziani Vedova, Bacci e Tancredi e tanti/e altri.

FOTO 3. Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60 copia
Peggy Guggenheim seduta sul trono nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, anni ’60

Il mecenatismo è una forma antichissima di diffusione e di divulgazione della cultura. Molti mecenati sono stati donne, meno note e vittime del consueto oblio nel quale vengono inghiottite nella narrazione sempre prevalentemente al maschile della storia dell’umanità. Peggy ha smentito questa narrazione, facendo di sé stessa guida e protezione per molti artisti e artiste di talento e conciliando tutte le sfumature delle avanguardie in collezioni ed esibizioni uniche: «L’arte moderna mi ha conquistata non appena l’ho conosciuta, ne ero diventata dipendente, non era mai abbastanza» (dal libro autobiografico Una vita per l’arte).
Per anni si è raccontato di lei solo sotto l’egida del gossip e del pettegolezzo, incentrati unicamente sui suoi tanti amanti e sul suo essere stata sessualmente legata a molti degli artisti che frequentava e patrocinava, per sua stessa ammissione tramite un’intervista rilasciata alla biografa Jacqueline Bograd e nell’autobiografia Out of This Century, tradotta in italiano con il titolo Una vita per l’arte. In essa si racconta con spregiudicatezza e disarmante schiettezza, dichiarando che per lei il sesso era il modo per creare connessioni umane, era stata una specie di ninfomane con molti uomini perché si sentiva sola, perché sesso e arte erano indivisibili nella sua mente.

Peggy Guggenheim - The Last Dogaressa
Peggy Guggenheim a Venezia, anni 70

Ma questo non è l’unico capitolo della vita di Peggy: oggi  “Collezione Peggy Guggenheim” è uno dei più importanti musei in Italia per l’arte europea ed americana del XX secolo, con artisti straordinari come René Magritte, Pablo Picasso, Vasilij Kandinskij, Marcel Duchamp, Max Ernst, Umberto Boccioni, Marc Chagall, Salvador Dalí, Jackson Pollock, che la sua tenacia e maestria hanno saputo tenere insieme anche in tempo di guerra, quando acquistava un’opera d’arte al giorno rimanendo comodamente distesa sul suo letto (posa che assunse per un quadro di Dalí), quando era nello studio di Fernand Léger per comprare un quadro, uno dei tanti che riuscì a salvare portandoli con sé in America, mentre Hitler invadeva la Norvegia.

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Peggy posa  tra i primi dipinti di Pollock, 1979

Peggy è morta il 23 dicembre 1979, all’età di 81 anni. Le sue ceneri si trovano nel giardino di Palazzo Venier dei Leoni, dove aveva seppellito anche i suoi numerosi e amati cani. In Peggy Guggenheim: Art Addict, un docu-film della regista Lisa Immordino Vreeland del 2015, la mecenate dell’arte contemporanea afferma: «La vecchiaia è la cosa più terribile che possa capitare, ma ho ottenuto quello che volevo ed è stato un successo e ne sono fiera, però, lasciatemelo dire, un tempo tutto era più divertente». Di sicuro Peggy Guggenheim ha saputo divertirsi con passione e dedizione verso l’arte, con il coraggio e l’intraprendenza che spesso solo le donne sanno mettere in campo in modo radicale, viscerale, unico, salvifico, come salvifica è stata l’opera di questa immensa, eccentrica, straordinaria dogaressa dell’arte contemporanea.

In copertina. Peggy Guggenheim alla Biennale di Venezia, 1948

 

Articolo di Valeria Pilone

Pilone 400x400.jpgGià collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.

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