Quando la Sicilia parlava anche greco

La Sicilia è un’isola del Mediterraneo facilmente raggiungibile e accessibile per mare da ogni lato; la sua posizione non ha confronti, è un punto d’ingresso, un crocevia: da una parte divide il Mediterraneo orientale da quello occidentale, dall’altra congiunge come una testa di ponte l’Europa e l’Africa.
L’isola, unita ad altre regioni del bacino del Mediterraneo con legami culturali, divenne punto d’incontro e a volte campo di battaglia; l’estensione e la fertilità attraevano popoli, coloni e conquistatori: popoli preistorici, e poi Sicani, Fenici, Elimi, Siculi, Greci, Romani, Saraceni, Normanni, Spagnoli e altri ancora. Alcuni rimasero a lungo e contribuirono a un processo di fusione biologica, culturale e ancora oggi nelle costruzioni delle città risaltano lussuosi elementi architettonici di ogni epoca e stile.
I contatti con il mondo greco risalgono all’età preistorica, nel III millennio a.C. la ricerca di materie prime spinse le popolazioni dell’Egeo a creare e intrattenere una rete di relazioni commerciali con tutto il bacino del Mediterraneo. Nel corso dei secoli, i Greci iniziarono a stanziare abitanti in quei luoghi già frequentati dai loro antenati, l’emigrazione verso occidente fu un movimento organizzato e pianificato da varie «città madri». Dalla metà del secolo VIII a.C., in Sicilia approdarono navi guidate da uomini convinti di iniziare una nuova vita provenienti da varie città del Nord della Grecia e dalle isole dell’Egeo. Le città che hanno dato il via alla cosiddetta colonizzazione incoraggiavano gli uomini a trasferirsi in nuove e indipendenti comunità politicamente autonome, rimanendo legati alla madrepatria dalla legislazione, da vincoli di stirpe, alfabeto, dialetto, culti e tradizioni religiose. A guidare la spedizione era l’ecista (dal greco oikistès, cioè fondatore), di estrazione aristocratica appartenente alla città incaricata dell’iniziativa, e dopo la sua morte diveniva oggetto di culto religioso. Ben presto acquisirono il controllo di buona parte della Sicilia, in meno di un secolo fondarono dodici città che divennero tra le più importanti del mondo mediterraneo e la Sicilia divenne un’isola di lingua e cultura greca: nessuna storia ha inciso più di quella delle poleis greche, infatti l’influsso della grecità va oltre il mondo antico.
Un ruolo di «agenzia di viaggi» è stato rivestito dal grande oracolo di Delfi: i Greci ponevano domande al dio Apollo tramite la Pizia, un sacerdotessa selezionata fra le donne vergini e di buona famiglia: la cerimonia si svolgeva all’interno del tempio di Apollo in una cella sotterranea, quando la Pizia era ispirata dalla divinità; i sacerdoti interpretavano le sue parole e i suoi gesti scrivendo le risposte in versi o in prosa, in verità pare si trattasse di frasi ambigue, interpretabili in modo equivocabile, insomma un bell’espediente per non sbagliare!
In generale, le informazioni a disposizione dei coloni spesso erano confuse, la
scelta del sito avveniva in luoghi diversi per evitare sovrapposizioni, contrasti in base alle condizioni facilitate di attracco, di difesa dagli attacchi degli indigeni, dalla presenza di acqua, di risorse naturali e, soprattutto, dalla disponibilità di un ampio territorio fertile che garantisse la sussistenza e l’autonomia della comunità anche nel futuro. Trovato il luogo sbarcavano e per prima cosa ringraziavano le divinità. L’altare di Apollo Archegétes, cioè fondatore, innalzato dai primi coloni di Naxos, divenne nei secoli successivi il luogo dove deporre le offerte per ogni nuovo arrivato in Sicilia.
La costa orientale della Sicilia fu la prima a essere frequentata perché la più accessibile in quanto le navi preferivano evitare i pericoli della lunga traversata. I nomi delle città greche di Sicilia corrispondono in parte alle città di oggi, le date della loro fondazione sono ricavate dallo storico ateniese Tucidide e confermate in gran parte dagli scavi archeologici che hanno incrementato le nostre conoscenze.
La prima colonia fu Naxos, fondata nel 734 a.C. dai coloni provenienti da Calcide, nell’Eubea; quattro secoli dopo i suoi abitanti fondarono Tauromenio (Taormina). Gli stessi coloni provenienti da Calcide nel corso di una generazione fondarono Leontini (Lentini), Catane (Catania) e Zancle (Messina). Da Zancle partirono coloni per fondare sulla costa settentrionale: Mile (Milazzo) e Himera (Termini Imerese).

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Dal museo Salinas, Gronda Leonina, Tempio Vittoria, Himera. Foto di Iole Carollo

Appena un anno dopo la fondazione di Naxos, i coloni della dorica Corinto fondarono sulla costa orientale Siracusa che fondò a sua volta altre città: Acre (Palazzolo Acreide), Casmene (Monte Casale) e Camarina. Nel 728 a.C. coloni giunti dalla dorica Megara, non lontano da Siracusa fondarono Megara Iblea, ben presto però i Megaresi di Sicilia fondarono un’altra città, nella parte più occidentale dell’isola: Selinunte.

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Dal museo Salinas, Tempio Selinunte, Perseo uccide Gorgone con Atena. Foto di Iole Carollo

 Infine, coloni provenienti dalle isole di Creta e Rodi fondarono nel 688 Gela, sulla costa meridionale; circa un secolo dopo i coloni di Gela fondarono sempre sulla costa meridionale Akragas (Agrigento).
I coloni portarono e conservarono i loro dialetti e la scrittura, la loro tecnologia, gli dei, i miti, i culti, le usanze sepolcrali, il calendario, la terminologia politica e sociale. Un greco di Atene o di Corinto avrebbe trovato familiare qualsiasi città greca della Sicilia, perché tutte avevano la stessa impostazione urbanistica.
L’atto fondamentale della costituzione risiedeva, oltre che nelle pratiche religiose con le quali si cercava di ottenere il favore degli dei, nella suddivisione del territorio in lotti tutti uguali, ciò richiedeva precise nozioni matematiche utilizzate in Oriente e per la prima volta applicate su vasta scala in Occidente (la geometria nasce appunto con la misurazione della terra, come dice anche la sua etimologia). Il problema fondamentale era quello di riservare lo stesso trattamento e di conservare l’armonia fra tutti, ciascuno dei coloni riceveva due lotti di terreno: uno vicino al centro della polis e l’altro ai confini per evitare che sorgessero discriminazioni fra quelli che possedevano i lotti migliori e quelli a cui erano stati assegnati quelli più disagiati.
Le strutture urbane erano costituite dall’agorà e dall’acropoli.
L’agorà era la piazza principale della città, lo spazio destinato al centro economico e sociale della comunità; lo schema del tracciato urbano, l’orientamento e la posizione delle case si adattavano alla conformazione naturale del sito. Le strade principali (platéiai) erano tagliate perpendicolarmente a intervalli regolari da quelle più strette (stenopoi).
L’acropoli, la cui posizione era quasi sempre nella parte più alta e isolata dal resto della città, era uno spazio dedicato soprattutto agli edifici pubblici sacri. Un esempio di città con l’Acropoli era Siracusa con Ortigia-Acradina risalente al secolo VIII a.C.: l’isola di Ortigia, sede del primo stanziamento, era occupata dai santuari di Artemide-Atena e di Apollo.
All’esterno delle città, erano le città dei morti, le necropoli, fuori appunto dalle zone riservate ai vivi e lungo le vie che portavano dalla città al territorio intorno. Nell’arco di un paio di secoli, i centri urbani acquistarono un carattere monumentale, infatti furono realizzati molti grandi edifici come il teatro di Siracusa, l’ekklesiasterion (in cui si riunivano in assemblea i cittadini con diritto di voto per varare leggi riguardanti la politica della città) di Agrigento capace di contenere 4.000 uomini.
In Sicilia tuttavia le testimonianze più interessanti della presenza greca nell’isola sono i templi: il più antico è quello di Apollo a Siracusa risalente al VI secolo a.C., a seguire i templi della zona archeologica di Selinunte e quelli di Agrigento.

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Valle dei Templi, Agrigento. Foto di Iole Carollo

 Fra quelli di Agrigento ricordiamo il tempio di Zeus Olimpio (Olympieion) che con i suoi 112,70 m di lunghezza e 56,30 di larghezza costituiva uno dei più grandi del mondo greco, e poi il tempio della Concordia, più piccolo ma in magnifico stato di conservazione grazie al fatto che fu trasformato in chiesa cristiana dal VI secolo d.C..
Altro aspetto interessante di queste città è l’approvvigionamento idrico che non era affidato solo alle sorgenti e ai pozzi, ma anche alla raccolta delle acque piovane in cisterne; furono realizzate opere idriche in muratura e opere di bonifica per controllare le acque impetuose e malsane. Sembra che Agrigento fosse la più attrezzata nel periodo del tiranno Terone, tra gli anni 488 e 472 a.C., cui è attribuita la costruzione degli acquedotti cosiddetti «feaci», dal nome di un certo Feace indicato come responsabile dei lavori: canali idrici sotterranei scavati nella roccia, in gran parte ancora attivi. Dello stesso periodo è la Kolymbéthra, un’imponente opera idrica consistente in un lago artificiale, utilizzato per l’allevamento dei pesci, che si serviva dell’acqua del fiume Hypsas e di quella proveniente dagli acquedotti feaci.
La Sicilia, dunque, è un’isola dai molti volti dove nello scenario urbano delle città convivono palazzi in cemento armato, resti greci e romani, edifici arabo-normanni, in una consapevolezza inquieta, ma viva, del passato.

In copertina: Valle dei Templi, Tempio Concordia, Agrigento. Foto di Iole Carollo

 

 

Articolo di Giovanna Martorana

PXFiheftVive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo. 

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