Carissime lettrici e carissimi lettori,
il tempo delle coincidenze e dei richiami è questo nostro di oggi. Secondo il calendario cristiano è, infatti, sabato santo, il giorno sospeso per eccellenza, tra il venerdì della crocifissione e morte e la domenica di resurrezione del Cristo. Momento fermo tra la sofferenza e la gloria. Tempo del martirio e della restrizione, del buio e del silenzio teso al ritorno alla luce. La realizzazione del destino segnato di colui che viene considerato dai/dalle credenti come il figlio di Dio.
Domani, dunque, si celebra la Pasqua, quando dal silenzio della tomba il Nazareno ritorna alla vita: “dopo tre giorni resuscitò da morte”, come recitano le Sacre Scritture. È uno tra i più grandi passaggi di stato raccontati nella storia dell’umanità: “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro….Non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti”.
Questo tempo che stiamo vivendo, come conseguenza del Covid-19, è il tempo per eccellenza della sospensione. È l’attesa del passaggio, non più simbolico ma reale, dallo strazio della malattia o del rischio di essa, dal buio e dal dolore della morte, all’aspettativa della vita, al provare la gioia per la fine di tutto questo. Che avvenga, dunque, quanto prima, una laica collettiva resurrezione alla luce della vita attiva, ora ancora solo una speranza, ce lo auguriamo di cuore!
Tutto oggi è incerto e rimandato a come si piegherà la sorte raccontata dall’aritmetica dei numeri e dai grafici dei calcoli matematici (troverete qui un interessante articolo che ne parla). Dobbiamo aspettare ancora, in questo sabato dilatato della sospensione. Dobbiamo attendere per compiere il nostro passaggio di liberazione verso una nuova Terra Promessa.
Quest’anno la Pasqua cristiana si sovrappone a quella ebraica, dalla quale liturgicamente deriva. La Pèsach o Pesah (ebraico פסח), dura otto giorni (soltanto in Israele ne dura sette) e celebra la liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto e il passaggio del mar Rosso con Mosè alla guida. La Pesah è iniziata quest’anno, nel 5780 del calendario ebraico, giovedì 9 aprile e si concluderà esattamente dopo una settimana, giovedì 16 aprile. Durante questo periodo è vietato alle/agli osservanti mangiare qualsiasi cosa sia lievitata, e le donne sono tenute a pulirne la casa, dal pane soprattutto, che viene sostituito d’obbligo con quello azimo, in ricordo del pane mangiato durante la fuga dall’Egitto. Anche da qui, da queste origini lontane arrivano tante similitudini e agganci al nostro attuale momento laico che ci accomuna in tutto il pianeta.
Anche noi scontiamo l’arrivo a questa nuova Pasqua/Pesah secolare con la comune quarantena, la quaresima che ci reclude negli interni ci “guarirà” e in qualche modo ci purificherà, ma sicuramente ci regala, nel tempo ritrovato, la riflessione sul nostro rapporto col mondo e con i viventi, non solo della nostra specie. L’infinitamente piccolo del virus inconsapevolmente ci porta a pensare a largo spettro, a rivedere la vita in senso ampio, totale.
Ci voleva silenzio, per cominciare a capire il valore del suono. Lo sanno bene i filosofi, gli scrittori, i pittori, i musicisti. John Cage dirige e ci fa sentire il silenzio nel suo famosissimo 4’33’’ in cui le note del maestro si impongono taciturne a noi con la forza parimenti sinestetica del famosissimo Urlo pittorico di Edvard Munch o dell’enigmatico sguardo e le labbra semiaperte della Gioconda. E il silenzio era certamente quello che sapeva ascoltare Beethoven mentre componeva nella sua sordità.
La filosofia ci spiega che il silenzio è indispensabile perché esista il dialogo, l’incontro, il traismo, una sorta di terra di mezzo tra due persone. Wittgenstein nell’introduzione al suo Tractatus è lapidario: “Se non si ha nulla da dire, meglio tacere”. La letteratura, da Omero a Dante, ad Ariosto a Manzoni, a Svevo, a Levi parla del silenzio: “Non hai fatto caso al rumore del silenzio?” chiede Pitagora a Umberto Eco nel suo immaginario dialogo con il filosofo di Crotone.
Tra le mie letture il ricordo, per tanti motivi carissimo, va a un racconto di Dostoevskij, La Mite, nel quale la protagonista, sofferente e delusa, con un’icona tra le braccia, sceglie in silenzio, come aveva fatto nella vita così nella morte. Forse, chissà, potrebbe essere proprio lei la ragazza senza volto rappresentata come “l’estrema ferita della solitudine”, in Silenzio, l’opera di Johann Heinrich Füssli, il pittore visionario morto il 16 aprile di quasi duecento anni fa. E non a caso questo virus dal nome astronomico, come fosse uno dei satelliti del Piccolo Principe, è stato soprannominato il virus della solitudine, similitudine quanto meno straziante di un’umanità che celebra, al di là di qualsiasi fede, il suo allegorico venerdì di passione invocando il personale:” Perché mi hai abbandonato?”
Il silenzio del sepolcro del Cristo che domani, assurto a nuova vita, si festeggia, ci riporta alla sospensione di questo sabato anch’esso intermedio. Non è il silenzio della pace, ricercato, per ritrovare il proprio equilibrio interiore, per dedicarsi serenamente ad un compito, ad una piacevole lettura. Non è un momento di riflessione, cercato e trovato in riva al mare, nell’infinito della montagna, nella natura del bosco.
Non è neppure il silenzio obbrobrioso che esige la malavita, più o meno organizzata, il silenzio che combatte Libera, l’associazione “contro tutte le mafie” della quale abbiamo parlato qui poco tempo fa. Non è il silenzio che azzittisce ciò che si è visto e sentito, che coincide con l’omertà, per assecondare la quale si azzerano tutti i sensi. Non è neppure il silenzio di chi non vuole commentare, che si tiene da parte e sceglie di non dire.
Questo di oggi, invece, è il silenzio imposto da una sofferenza, per ridurne al massimo le conseguenze funeste causate dalla forza straordinaria di un virus miliardi di volte più piccolo di noi. Per questo la sua presenza per le strade, che eravamo abituate/i a vivere rumorosamente, ci turba e non ci appare esclusivamente come un silenzio rigeneratore e sereno. Sappiamo però che dovrà impartirci severe lezioni da mettere in atto quando avverrà la nostra collettiva resurrezione alla vita sociale. L’esperienza fatta nel suo corpo trasformatosi in liturgia della sofferenza, ci cambierà sulle scelte da fare per la vita futura, nostra e del pianeta, che troppo poco abbiamo amato.
Questo sabato la rivista esce per la seconda volta vestita di blu. Vuol dire che oggi diamo spazio (il numero di oggi ve lo presenterà un editoriale preposto), come la gioia dei doni inseriti nelle uova pasquali da aprire domani, all’inserto di Vitamineperleggere, che ci farà compagnia, come abbiamo detto, per ben 15 mesi, dedicato alla scuola e con la partecipazione diretta dei ragazzi e delle ragazze attraverso i racconti scritti da loro dagli incipit del Premio Calvino.
Studentesse e studenti, in questo periodo degli interni, hanno continuato ad andare a scuola. Hanno permesso che proseguisse la sua vita attiva lavorando insieme alle e ai loro insegnanti. Ma non è tutto così semplice. La scuola, come ci suggerisce un articolo qui pubblicato (ma ne leggeremo più di uno tra la rivista e il suo inserto) non era preparata a questa emergenza. I docenti e le docenti, insieme alle e agli allievi, non avevano fatto, e dunque non erano abituati su come comportarsi, un’esercitazione di quarantena e giustamente, con ironia, lo sottolinea l’autore dell’articolo che conosce, essendo insegnante, il problema dall’interno e sulla sua pelle.
Delle ragazze e dei ragazzi è urgente parlare, qui e subito, come si dice per indicare perentorietà. Per problemi, secondo noi (ma non se ne può neppure dubitare) di gravissima importanza. È scoppiata, infatti, come un ordigno ad orologeria, in questi primi giorni di aprile e ha affiancato la storia del virus principale, ma non ne ha pareggiato la presenza, la cosiddetta Revenge Porn, la pornovendetta. Migliaia di fotografie e filmini porno o pedopornografici raccolti tramite Dropbox e Telegram e condivisi con centinaia di migliaia di utenti. Si pubblica, e ci si scambia materiale rubato anche da Instagram. Si postano immagini di forte segno pornografico (persino truccate con una app!) di ragazze, anche molto giovani. Se ne trovano tante, messe chiaramente senza permesso, che riguardano le proprie ex, postate in pose intime da fidanzati, mariti, compagni, tutti uomini pieni di rabbia per essere stati lasciati, e pronti alla vendetta. Anche in questo modo si ha il potere orribile di rovinare la vita di chi ne è oggetto, inconsapevole.
Oggi, al tempo del coronavirus assurto, seppure a ragione, a notizia unica su qualsiasi mezzo di informazione, non dobbiamo dimenticarci che si sta abusando del corpo, oltre che della privacy, di queste giovani vite. Che si sta offendendo di nuovo e ancora la donna. Ritornano ricordi di qualche anno fa (la morte per suicidio di una ragazza a Napoli), ma “rinfrescati” da situazioni scabrose attualissime, forse (o sicuramente) rinfervorate dalla segregazione dovuta al dilagare del Covid-19.
Noi nei prossimi numeri di Vitaminevaganti.com torneremo e approfondiremo questo terribile argomento. Ora vi rimando alla pagina facebook di Toponomastica femminile. Troverete una call a cui aderire per far sentire la nostra solidarietà alle vittime e un articolo/appunto di Livia Fabiani che, come tante ragazze della sua età, si trova a vivere a fianco dei colleghi maschi questa realtà e si sofferma ad ascoltare…
Vogliamo però, come ci prefiggiamo sempre, chiudere con la speranza e uno sguardo positivo sul mondo. Un video, che possiamo tranquillamente definire “bello”, per i tempi che corrono, che è diventato virale. È il video di Mirko, un infermiere dell’ospedale di Rivoli, vicino Torino, mentre si veste per entrare in sala operatorie e accompagna il lungo e non facile rito per proteggersi dal contagio con le note di Un senso di Vasco Rossi. Con Mirko e con il Blasco inneschiamo, contro tutto questo, la speranza: “Voglio trovare un senso a questa situazione / Anche se questa situazione un senso non ce l’ha / Voglio trovare un senso a questa condizione / Anche se questa condizione un senso non ce l’ha / Sai che cosa penso / Che se non ha un senso / Domani arriverà / Domani arriverà lo stesso / Senti che bel vento / Non basta mai il tempo / Domani è un altro giorno, arriverà / Domani è un altro giorno, ormai è qua”.
Buona lettura a tutte e a tutti
Buona Pasqua e buona Pesah
Editoriale di Giusi Sammartino
Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.