La scuola è finita (solo nel senso del calendario, spero), quindi si può cominciare a fare un bilancio. La prudenza suggerirebbe di far decantare l’esperienza per vederla nella sua complessità: di storicizzare. Ma, mentre noi storicizziamo, una generazione di bambine/i e di adolescenti ha passato i mesi peggiori della propria vita costretta a casa nel periodo in cui non solo morde di più la fame di libertà ma, della libertà, si forma l’idea stessa. Quindi un bilancio lo propongo adesso. Questo anno scolastico è stato un disastro. È apparso chiarissimo, fin dall’inizio della clausura, che la didattica a distanza (la famigerata dad) non era che un debole palliativo, uno strumento arrugginito che i/le dirigenti e noi insegnanti, senza alcuna guida né adeguate sperimentazioni preventive, abbiamo inflitto a una massa enorme di studenti, come ho premesso, già sofferenti. Le indicazioni di massima, provenienti da ministero e dirigenti, sono cambiate a ritmo sostenuto, perfino più delle autocertificazioni di polizia che, quanto meno, da un po’ sono state ritirate. Ed erano, si badi bene, appunto di massima, ovvero vuote di contenuto reale: nessun/a docente ha mai ricevuto uno straccio di formazione alla dad. E che la dad stessa sia scuola è tutt’altro che dimostrato. Gli incontri con le classi sono avvenuti su piattaforme spesso traballanti sul piano sia tecnico che della privatezza, con strumentazione lasciata alla possibilità dei singoli e delle singole, che spesso non la utilizzavano opportunamente, o per nulla affatto, per carenza di mezzi o per comprensibilissima angoscia, ovvero per inconsapevole protesta: uno sciopero prepolitico, certo, e anche culturalmente sottoproletario, perché no?, ma pur sempre sciopero. (Spartaco e soci non chiesero mai, per fare ciò che fecero, l’autorizzazione al Senato romano). I contatti tra docenti sono avvenuti quasi solo con sistemi di messaggistica pensati per comunicazioni telegrafiche e, quando superavo il senso di noia e di fastidio, in essi ho potuto spesso constatare la virulenza della frustrazione di colleghi e colleghe che, con scarsissimo senso critico, se la sono presa con le vittime, quasi attribuissero a loro il proprio malessere recluso e impotente. Ma è un classico: la frustrazione dell’élite (o di chi tale vorrebbe essere) si è sempre sfogata con la gente debole, schiava, povera, diversa. Se trovo perfettamente logico un tale atteggiamento da parte di simpatizzanti del sovranismo e delle teorie complottiste, l’attacco diffuso agli e alle studenti, e la mancanza di autocritica da parte di persone colte e ragionevoli, mi preoccupa. La lamentela più espressa nelle chat di insegnanti è stata la scomparsa o l’infingardaggine degli e delle studenti nell’adempiere i compiti assegnati, come leggere le risposte su Wikipedia, farsi suggerire da persone non inquadrate dalla telecamera, staccare il microfono lamentandone il malfunzionamento o la rottura. Che, mutatis mutandis, è quello che hanno sempre fatto, con l’unica differenza che ora hanno usato il mezzo virtuale: si sono, cioè, perfettamente adeguati a una modalità nuova, comprendendola molto meglio di noi. E non è una competenza, questa? Mentre scrivo mi vengono in mente commenti e opinioni più autorevoli delle mie. Il bellissimo racconto di J. D. Salinger Il periodo blu di De Daumier-Smith, per esempio, che parla di un simpatico imbroglione che s’improvvisa insegnante a distanza in una scuola per corrispondenza; o, sulla scuola in generale, l’articolo di Hans Magnus Enzensberger “In difesa del precettore”, pubblicato su un vecchio numero della gloriosa Illustrazione italiana, di cui vale la pena ricordare qualche passo: «La scuola pubblica è sempre stata, fin dagli inizi, territorio sovrano di un’amministrazione lontana, un luogo di oppressione (…). I suoi edifici erano e sono architettura autoritaria (…). Lo si vede a prima vista che, come i manicomi e gli istituti di rieducazione, sono stati costruiti per custodire uomini e imporre loro una disciplina. Quei locali da tecnocrati, fusi in cemento armato, sono assolutamente inadatti per lo studio. Il vandalismo dei bambini, che rivela una sorprendente forza di resistenza, non è altro che un imprescindibile tentativo di sbarazzarsi di questi ambienti che costituiscono un pericolo pubblico. (…) Ben raramente capita di sentire di bambini che imbrattano la loro abitazione, o vi appiccano il fuoco (…). Evidentemente (…) non pensano affatto a fracassare il frigorifero o a gettare dalla finestra il televisore. (…) Le costruzioni scolastiche migliori potrebbero forse essere utilizzate come case di riposo per anziani o come asili per i senzatetto. La stragrande maggioranza si dovrà invece farli saltare in aria». Come ho già scritto qui, ho sentito la necessità di affidare, alle mie classi del liceo scientifico Primo Levi di Roma, lavori che richiedessero un certo margine di libertà, inventandomi temi e argomenti nuovi anche a costo di affrontarne di diversi da quelli che, fino alla pandemia, avevo spiegato in classe. Nonostante l’opinione divergente di colleghi e colleghe della mia materia (disegno e storia dell’arte), ho ritenuto opportuno dare indicazioni di tecnica investigativa per la ricerca in proprio di notizie storico-artistiche – in seguito documentate egregiamente – e ho affidato compiti grafici che esulavano del tutto dai cosiddetti “programmi”: niente riga squadra e compasso, niente carta, niente esattezza: niente “disegno”, solo comunicazione su temi dati (l’abbecedario di Vitaminevaganti) da eseguire con i mezzi ritenuti migliori. La maggior parte delle/gli studenti ha operato con smartphone e varie applicazioni (a me sconosciute), altre/i hanno preferito tecniche più tradizionali e successiva ripresa fotografica o acquisizione con scanner, il tutto (a volte) documentato in brevi schede tecniche. Le immagini sono state rubate da internet e poi incollate, elaborate, scontornate, ricalcate, copiate, spezzettate, oppure disegnate ex novo. Avvertenza: fatto salvo il diritto di critica, invito comunque a tentare di raggiungere gli stessi risultati con gli stessi mezzi senza averne avuta adeguata formazione. Io non ne sarei capace. Stavolta è il turno delle lettere F, G, H, I, J. Qui di seguito si trovano dieci immagini scelte, fra tantissime di alto livello, non perché belle né tantomeno artistiche, ma perché rivelano un pensiero critico. Che, oggi, mi pare il massimo che si possa desiderare dalla scuola.
F come Fiori
Lucia, prima G, ha scelto un drammatico bianco e nero. Non ci si faccia fuorviare dal gradevole fiorellino rosa: è uno specchietto per le allodole, che Lucia padroneggia senza esitazione. Il testo sullo sfondo (sì, lo so, un po’ piccolo e non leggibilissimo, ma: v. l’Avvertenza qui sopra) parla chiaro ma non disturba la composizione che, come da mia precisa indicazione, più è semplice e più è efficace.
Martina, seconda C, non si spaventa davanti alle elaborazioni digitali. Benché non azzeccatissimo come capolettera (“bugie” è più appariscente di “fiore”, dunque appare leggermente fuoritema), l’immagine è molto forte e i colori, sanguigni e drammatici, perfetti. Il contrasto fra testo e immagine è potente. Dice tutto anche prima di leggere il testo relativo.
G come Grandezza
Valerio, terza G, che ha doti costruttive fuori dal comune (i suoi modellini in cartone di templi romani, fatti solo per il proprio diletto, mi hanno impressionato, ai vecchi tempi…) sceglie il minimalismo. Una figura filiforme al centro di un bersaglio, in uno stile frequente nei social, palesemente infelice e circondata di stereotipi da cui vorrebbe uscire. C’è tutto in pochissimo.
Giulia, quarta G, è direttissima. Quattro foto incollate a ragione, due x rosse a mo’ di sfregio, due faccine eloquenti e un commento senza mezzi termini. Più di così…
H come Hairstyle
Anche Luca è un tipo diretto. Hairstyle è una parola che si presta a tentazioni estetizzanti e, in effetti, diverse persone hanno ceduto al fascino estetico. Luca però è rigoroso: soggetti attraenti, sì, ma commenti lapidari in un lettering leggibilissimo. E poi quei segni verdi di spunta, così contrastanti, dicono proprio: be’, adesso te l’ho detto!
Silvia, terza C, dimostra un sensibilità all’immagine e una cultura iconografica fuori dal comune. Nella sua composizione accomuna in modo coraggioso ed efficace Botticelli a Disney, il cattolicesimo preconciliare a Blake Edwards, il tutto presentato con un lettering, elaborato ad hoc, che più eloquente non si potrebbe.
I come Isteria
Livia, terza G, compone un’immagine forte con leggerezza artigianale: un disegno semplice ma curato, abile, un’espressione eloquente, commenti lapidari che raggiungono il bersaglio.
Agnese, prima G, ha compiuto un piccolo miracolo. Una foto autoprodotta in pieno stile quarantena: una mano e un limone sulla finestra di casa, e basta. Ma il pensiero dietro le quinte è profondo. Il limone, giallo e acido, è la metafora perfetta dell’isteria; il titolo è filiforme (ma leggibile) e dello stesso colore acido, isterico. Una tale sintesi è rara anche in chi la comunicazione la fa di mestiere. Immagini tanto semplici richiedono attenta riflessione e, insieme, prontezza di riflessi.
J come Jeans
Edoardo risolve la J di Jeans senza cadere nella trappola della moda e dell’estetismo. Il campo è diviso in due metà, ben chiarite dai colori contrastanti. Le foto concedono poco all’oggetto-culto: le frecce, che portano da una parte all’altra e impediscono la stasi, e due frasi provocatorie lo rimettono al suo posto.
Chiara, seconda G, è ancora più netta e la sua tecnica è sicura: si tratta di un montaggio molto accurato di foto prese dalla rete e poste in un confronto che, sulle prime, lascia interdetti. Non servono parole.
I testi citati sono:
D. Salinger, Il periodo blu di De Daumier-Smith, in Nove racconti, Einaudi, Torino, 1962 Hans Magnus Enzensberger, “In difesa del precettore”, L’illustrazione italiana, anno II, numero 7, ottobre-novembre 1982
Articolo di Mauro Zennaro
Mauro Zennaro è grafico e insegnante di Disegno e Storia dell’arte presso un liceo scientifico. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla grafica e sulla calligrafia. Appassionato di musica, suona l’armonica a bocca e la chitarra in una blues band.
Bravissimi e bravissime! Complimenti davvero!
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