Costanza Bruno, un’infermiera al fronte

Costanza Bruno aveva 28 anni quando, in seguito a delle gravi ferite riportate durante un bombardamento, perse la vita a Nicosia, un paese in provincia di Caltanissetta. La sua è una storia particolare che ci ricorda da vicino il sacrificio di medici/che e infermieri/e durante la pandemia del Covid-19.
La giovane siciliana, per una di quelle sfortunate coincidenze storiche, era nata a Siracusa il 31 gennaio del 1915 e morì 22 luglio del 1943 in seguito allo sbarco degli Alleati sull’isola durante l’operazione Husky. Il padre era un Generale dell’esercito, dunque, per ragioni sia familiari che cronologiche, la sua breve vita è stata sempre segnata dalla presenza della guerra. Nei mesi che abbiamo trascorso in casa per impedire la diffusione del coronavirus, molto spesso, a torto o a ragione, si è ricorsi a metafore belliche per spiegare alla gente qualcosa che non aveva alcun precedente storico in relazione alla velocità del suo contagio e del coinvolgimento di tutta la popolazione del pianeta. Di fatto, cosa lega l’esperienza di infermiera di Costanza Bruno e delle moderne infermiere che hanno prestato servizio negli ospedali? Non so dire con certezza se il ricorso alla parola “Guerra” sia il paragone più esatto ma è indubbio che i conflitti mondiali e la pandemia hanno cambiato definitivamente il mondo che abbiamo vissuto e conosciuto, ieri come oggi. Per questo motivo proviamo a guardare più da vicino l’infermiera Costanza. Quando pensiamo a un camice bianco, nella nostra mente, scatta una certa idea di ospedale, di camere per la degenza, la divisa degli operatori sanitari. Tranne nelle parti più povere del pianeta, gli ospedali hanno degli standard riconoscibili. Le immagini che abbiamo visto in televisione e che riguardavano i malati di Covid 19, ci rimandavano ad ambienti asettici e puliti, a strumentazioni sofisticate, alla disponibilità di medicine. Peccato che le cose non siano state sempre così!
Per chi è appassionato di lettura o di cinema, voglio ricordare due episodi. Uno riguarda il principe Andréi Bolkonsky, uno dei protagonisti del romanzo di Tolstoj Guerra e pace. Siamo durante la campagna di Russia e Napoleone, nel suo ambizioso quanto utopistico sogno di onnipotenza, decide di invadere la patria dello zar Alessandro. A Borodino infuriano i combattimenti: colpi di cannone, fucili, granate, combattimenti corpo a corpo. Intorno gli ospedali da campo, tendoni con dei tavolacci di legno per lettini. Andréi è ferito gravemente dal lancio di una granata alle gambe e all’addome: «il dottore si chinò sulla ferita, la tastò e sospirò profondamente. Il dolore al ventre fece perdere i sensi al principe Andréi e quando tornò in sé, i frammenti d’osso della coscia erano stati tolti, dei lembi di carne tagliati e la ferita fasciata. Gli spruzzarono dell’acqua in viso.» Accanto a lui Andréi vede un uomo infelice e singhiozzante: «mostrarono al ferito la gamba amputata entro lo stivale, col sangue raggrumato». Si trattava del suo rivale in amore, Anatole Kuraghin, che lo aveva separato dalla sua promessa sposa Nataša. Di fronte all’assurdità del dolore e della guerra il principe Andrei «pianse lacrime di tenerezza e di amore sugli uomini, su se stesso e sugli errori altrui e suoi.»
L’altro riferimento è il bellissimo film sulla Grande guerra 1917 per la regia di Sam Mendes. Anche in questo caso le scene che riguardano il recupero dei feriti dai campi di battaglia non sono molto diverse da quelle già descritte: cadaveri da una parte, feriti sui  tavolacci e dottori a mani nude che tentano di strappare alla morte qualche soldato.
In uno scenario non dissimile operava Costanza Bruno. A vent’anni entrò come infermiera volontaria nella Cri ed iniziò a prestare la sua opera negli ospedali di Palermo, Catania e Siracusa. Dall’unica foto reperibile su Internet si vede una giovane infermiera dagli occhi scuri, sguardo dolce e tenace. Il suo volto incorniciato dal copricapo delle crocerossine ci restituisce la storia di una personale vocazione per il prossimo, specie se più debole o indigente. Infatti, Costanza aiutava con i suoi soldi chi non poteva permettersi di pagare le cure. La missione delle crocerossine non era solo la cura delle ferite ma soprattutto il conforto morale e la vicinanza ai malati in fin di vita. Costanza non si sottrasse mai a questo compito.                                                                           Quando le truppe anglo-americane sbarcano in Sicilia tutta la famiglia Bruno si trasferisce in un luogo più sicuro rispetto a Siracusa, ritornando in provincia di Caltanissetta, nel paese di origine della madre di Costanza. A Nicosia sorgeva un piccolo ospedale da campo, poco attrezzato e con molte persone ferite che arrivavano in seguito ai bombardamenti. La giovane infermiera non volle lasciare i/le malati/e e mettersi al sicuro in un rifugio assieme ai suoi genitori. Rimase in prima linea con la sua collega Maria Cirino. In seguito ad una incursione aerea Costanza veniva colpita gravemente alla mano e alla tempia, con schegge in varie parti del corpo. L’altra infermiera perse la vita sul colpo. Tuttavia, pur in quelle condizioni estreme cercava di minimizzare le sue ferite, sollecitando il medico ad occuparsi dei ricoverati. Presto le sue condizioni apparvero molto gravi, tanto da dover subire l’amputazione di tre dita della mano sinistra. Purtroppo nel raggio di 40 kilometri non si riuscì a trovare un chirurgo in grado di operare il resto delle ferite più gravi e, nonostante un tentativo fatto nella città di Mistretta, non fu possibile salvarle la vita. Costanza Bruno muore senza un lamento, senza rabbia, con la mente rivolta ai soldati e perfettamente consapevole di aver portato fino in fondo il suo compito: amare il  prossimo.
Pensando allo spirito di sacrificio di questa giovane donna, non ho potuto non associare a lei i volti di tanti/e medici/che e infermieri/e con i volti segnati dalle mascherine per assistere malati/e Covid. Il simbolo di tutti loro è diventata Elena Pagliarini, l’infermiera ritratta in una foto, scattata da una sua collega, addormentata sul pc con mascherina e guanti. A lei il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha conferito l’onorificenza di Cavaliere al merito.
Allo  spirito di abnegazione di Costanza Bruno sono state assegnate: dalla Croce Rossa Internazionale il 12 maggio 1947 la medaglia Florence Nightingale, la più alta distinzione internazionale della Croce Rossa, la medaglia d’oro della Croce Rossa Italiana e la Medaglia di bronzo al valor militare. Le sue spoglie sono tumulate in una grande croce rossa all’interno della chiesa dedicata ai caduti a Siracusa, il Pantheon.
Cosa resta, dunque, delle guerre del passato? Di quelle odierne? Della pandemia? Intanto, una considerazione generale: che sia l’ambizione di un essere umano a scatenare conflitti o un virus, ci sono sempre delle persone di buona volontà, amanti del proprio lavoro che in nessun caso lasciano la loro trincea. Varrebbe la pena di ricordare che l’umanità si trova nei giusti che lavorano in silenzio e non nei pochi che se ne vanno in giro a disseminare morte. Traumi come le guerre e la pandemia cambiano il corso della storia e della vita di molte persone e non solo di quelle che  muoiono ingiustamente: questo non dobbiamo dimenticarlo mai.
Cos’è e cosa è stata, dunque, la guerra che affrontò da giovane infermiera Costanza Bruno? Ce lo dice il principe Andréi: «non è una piacevolezza ma la cosa più ripugnante della vita, e bisogna capirlo e non giocare alla guerra. Tutto sta in questo: ripudiare la menzogna che la guerra sia la guerra e non un trastullo. Si scontrano per uccidersi a vicenda, storpiano decine di migliaia di uomini, massacrano, e poi faranno ufficiare Tedeum di ringraziamento perché hanno ammazzato molta gente e si proclamerà la vittoria, supponendo che, quanta più gente si è ammazzata, tanto più grande è il merito. Come Dio di lassù li può guardare e ascoltare?»

Fonti
L.Tolstoj, Guerra e pace
https://www.antoniorandazzo.it/siracusani/bruno-costanza.html
http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/costanza-bruno/
https://www.ilgiorno.it/cremona/cronaca/cavaliere-merito-infermiera-simbolo-coronavirud-1.5185160

 

 

Articolo di Giovanna Nastasi

NJJtnokr.jpegGiovanna Nastasi è nata a Carlentini, vive a Catania. Si è laureata in Pedagogia e Storia contemporanea e insegna Lettere negli istituti secondari di II grado. La sua passione è la scrittura. Ha pubblicato un romanzo, Le stanze del piacere (Algra editore). 

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