Didattica online. Gli elaborati dalla P alla T

Continuiamo, ormai nell’estate matura, a vedere le immagini che le mie classi del Liceo scientifico Primo Levi di Roma hanno prodotto durante l’esperienza della didattica a distanza per illustrare l’abbecedario di Vitaminevaganti scritto da Graziella Priulla e illustrato da Marika Banci. Le cinque lettere di questo mese sono: P come Peli, Q come Q.I., R come Romanticismo, S come Scooter, T come Tette.

P come Peli

Cominciamo con un enunciato: i peli sono peli. Sono considerati, oggi, elementi del nostro corpo di cui volentieri faremmo a meno e per la cui eliminazione spendiamo soldi ed energia. La pubblicità ci inonda di tecnologia meccanica e chimica atta – ci assicurano – a fare di noi statue di cera perfettamente glabre, e molte persone sono disposte a pratiche dolorose pur di rendere la propria pelle simile a quella di poppanti. Incuriosito, ho sondato siti e forum in cui la questione dei peli è dibattuta da ambo le parti e in cui, in estrema sintesi, si scontrano gli (raramente le) amanti del liscio totale con le (raramente gli) fan della naturalezza. Molti uomini dichiarano di non tollerare le pelli ruvide, quasi discorressero di pelletteria, e molte donne chiedono di essere lasciate in pace. Quella contro i peli sembra essere una guerra impari, quasi come la lotta ai virus: sconcerta che cose tanto piccole possano essere così temute e che da tante parti si invochi una qualche soluzione finale. Il corpo, nell’adolescenza, entra in scena prepotente e i peli cominciano a diventare un problema: le ragazze iniziano a volerne celare la presenza, i ragazzi desidererebbero sfoggiare l’onor del mento, magari solo per vantarsi di rasature difficili. Nemmeno questo, come nessun tema dell’abbecedario, è neutro e la voce Peli, nonostante la sua apparente vanità, è problematica. Ragazzi e ragazze hanno affrontato la cosa con atteggiamenti diversi.

Foto1_P_AndreaE_3G

 Andrea, terza G, prende il compito alla lettera e compone un’immagine disarmante nella sua semplicità. Non stiamo parlando di peli di animale o sulla lingua, stiamo parlando di peli umani e – come da mie indicazioni precise – quando vogliamo comunicare dobbiamo farlo con parsimonia (che è un pelo sotto la taccagneria): comporre a ruota libera, ficcare dentro tutte le idee e poi togliere: come nella scultura, in cui la statua è già compresa nel blocco di marmo e si deve solo liberarla dall’eccesso. Così la ridondanza, possibile fonte di ambiguità, lascia spazio alla chiarezza. I peli più evidenti, specie d’estate, sono sulle gambe; la gamba e il piede hanno forma di L; usiamo quella L e risparmiamo. Una sintesi grafica notevole e perfino umoristica, benché un pochino acritica.

Foto2_P_MartinaP_2C

Anche Martina, seconda C, è sintetica, ma in lei prevale sempre la ricerca estetica, stavolta impegnata nella valorizzazione del cosiddetto antiestetismo. Un’immagine bella di qualcosa considerata brutta è una bella (scusate il bisticcio) scommessa, con cui Martina ama confrontarsi e divertirsi. Un capolettera perfetto per il nostro abbecedario: vistoso, ironico, elegante e senza peli sulla matita. Un elaborato esteticamente accattivante, ma che graffia.

Q come Q.I.

Il quoziente di intelligenza sembra essere stato messo lì apposta per fungere da contraltare al pelo: volgare questo e da evitare o camuffare, nobile e agognato il primo. Ha davvero peso il q. i.? L’intelligenza è davvero misurabile in modo oggettivo? Sono più intelligenti gli uomini o le donne? È vero che ci sono razze più intelligenti di altre? Se le donne sono intelligenti come o magari più degli uomini, perché vincono pochi premi Nobel? Perché nei nostri libri di testo le figure femminili non ci sono? Discussioni del genere, se appena le si voglia avviare in classe, scatenano gli stereotipi, tutti interessantissimi perché raramente palesi: già a quattordici anni, se appena stimolati/e, è tutto un fiorire di «io non sono maschilista (o femminista) ma», «io non sono razzista ma» e simili. La sintesi grafica (un’immagine quadrata, una lettera, una figura e una o poche parole) ci fa uscire allo scoperto, talvolta in modo scontato, spesso – a leggere bene – eloquente.

Foto3_Q_Elisa_3G

 Elisa, terza G, è la sintesi personificata. La simmetria è usata qui proprio come dichiarazione di intenti: non c’è differenza nella sostanza, lei lo afferma nero su bianco. È così. C’è poco da discutere. Punto

Foto4_Q_FrancescoD_3C

 Mi piace molto il lavoro manuale di Francesco, terza C, che non vuole rinunciare alla fisicità della matita e della carta. La razionalizzazione appare subito dall’uso dei simboli maschile/femminile, di quelli matematici “uguale” e “minore di”, e dello stereotipo cromatico rosa/celeste. Anche qui la simmetria, evidentissima, è usata per denunciare ironicamente (e drammaticamente) il suo contrario: il femminile è rappresentato dapprima con verbi oppressivi (“non può”; “deve”), mentre il maschile con aggettivi positivi; al centro, però, l’equazione (e come sono belle le equazioni, che ci dicono senza tanti fronzoli che due concetti sono uguali) e, sotto, il commento che scioglie gli enigmi.

R come Romanticismo

Ah, il Romanticismo! A scuola è uno dei grandi protagonisti, dal Bacio di Francesco Hayez (divenuto, in questo tempo così poco romantico, autentica icona pop) ai Promessi sposi, passando per Friedrich Schelling e Ludvig van Beethoven (che però, nel triste panorama didattico italiano, nessuno si fila). E poi ci sarebbe il romanticismo degl’innamoramenti, che a scuola fiorisce e che può, però, celare altro. Su quest’altro si è concentrata l’attenzione delle autrici e degli autori più interessanti. Sul romanticismo che, come un belletto, talvolta copre gli ematomi.

Foto5_R_Irene_2C

Irene ha capito bene lo spirito dell’Abbecedario e l’immagine che ha scelto è romantica solo in apparenza. La sua R maiuscola è iniziale anche di “rendersi indispensabili”. Il capolettera di Irene è la rappresentazione esatta della sindrome di Stoccolma: la violenza subita non genera ribellione. Mi viene in mente Donne che amano troppo, di Robin Norwood: questa sarebbe una copertina perfetta.

Foto6_R_Patrizio_3G

Patrizio inserisce, giustamente, un uomo: un uomo romantico secondo i dettami attuali, o almeno quelli che la cronaca ci riporta. Non solo picchia, ma si sente costretto a farlo, dunque è vittima. Il lettering irregolare, da lettera anonima di sequestratori, enfatizza l’aspetto criminale e non lascia spazio né all’ambiguità né all’ironia. Del resto, di quale ironia vogliamo parlare?

S come Scooter

Ah, sì, lo scooter, che carino! Le e gli adolescenti di oggi non hanno conosciuto quella ruffianissima pubblicità degli anni Sessanta della Piaggio in cui si affermava «Chi Vespa mangia la mela», e giù tutti e tutte a desiderarla perché, si sa, al catechismo ci avevano insegnato di quale mela si trattasse. Basta una rapida ricerca in rete e subito appare la sublime Audrey Hepburn di Vacanze romane (William Wyler, 1953), che la Vespa, a un certo punto, pretende di guidarla ma, per farlo, la deve praticamente rubare. Lo fa con allegria e, se la sua guida non è impeccabile, è solo perché nessuno l’aveva mai autorizzata né tantomeno istruita a condurre una due-ruote. Ma, nonostante l’imperizia, le sue uniche vittime sono solo alcune angurie: benché “pericoli costanti”, difficilmente le donne motorizzate compiono stragi.

Foto7_S_Claudia_4G

Claudia, quarta G, ce la mostra, insieme ad altre foto di scooteriste d’epoca, accanto a una ben più agguerrita biker. Le ragazze degli anni Cinquanta sulle Vespe sono carine, disinvolte ma sempre pudiche; oggi le motocicliste non sono “schiave di nessuno”.

Foto8_S_Tommaso_1G

Tommaso, di prima G, compone un’immagine graziosa che contrasta con le frasi citate, tra cui spicca “La moto è per uomini”. La ragazza rilassata alla guida (non di uno scooter, in realtà, ma di una sontuosa, vecchia Bmw con sidecar!) è la confutazione evidente dello stereotipo. Che c’è di più bello di una gita in moto in campagna in una giornata primaverile? È tutto qui. Forse un po’ troppo semplice e positivo, ma siamo ancora in prima…

T come Tette

Il testo di Graziella Priulla comincia con la frase: «Il corpo che ho, il corpo che sono». Difficile, con tale incipit, che un ragazzo si senta a proprio agio. Le tette sono una realtà piuttosto recente per le ragazze che le hanno (e anche per i ragazzi che invece no, ma da un po’, se appartenenti al novero degli eterosessuali medi, devono farci i conti). Tette è proprio una parola difficile su cui lavorare da adolescenti. I peli, lo scooter, l’intelligenza, perfino il romanticismo sono cose comuni, le tette no. I maschi hanno reagito con nervosismo e un po’ di vergogna, le femmine con coscienza e, talvolta, combattività.

Foto9_T_Benedetta_3C

 Benedetta di terza C è combattiva e, anche se non è ancora uscita dalla scia della N come Nudità della volta scorsa, ricorre senza mezzi termini all’immagine del seno nudo usato come provocazione e strumento di lotta. Il primo significato che sceglie di rappresentare è questo, e bisogna tenerne conto.

 

Foto10_T_Sara_2G 

Sara, seconda G, invece, rappresenta la naturalità. Che non è normalità (la norma è imposta e non si può infrangere), ma lo stato delle cose. Le immagini sono la rappresentazione dell’esistente, senza alcun giudizio; i colori sono chiari e rassicuranti, il lettering equilibrato. È vero che «il corpo femminile (…) è da sempre veicolo, luogo e simbolo, medium e messaggio», ma è anche vero che il corpo è il corpo: è tutto quello che abbiamo, e non ce ne sono due uguali. 

Le lettere dalla A alla E sono consultabili qui; quelle dalla F alla J sono qui; quelle dalla K alla O sono qui.

 

Articolo di Mauro Zennaro

RXPazl9rMauro Zennaro è grafico e insegnante di Disegno e Storia dell’arte presso un liceo scientifico. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla grafica e sulla calligrafia. Appassionato di musica, suona l’armonica a bocca e la chitarra in una blues band.

 

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