Il senso del pudore, una questione di stile

Vi confesserò che scrivere questo articolo si è rivelato più insidioso del previsto, a tratti mi è sembrato di inseguire una piuma al vento. Di solito, quando penso di aver finito, faccio leggere la stesura definitiva a tre o quattro persone; tuttavia, per me, il parere decisivo è quello di mio figlio sedicenne. Stavolta, lui era rimasto un pochino perplesso, allora mi sono posta due quesiti:            a- ho scritto un articolo troppo pretenzioso? b- non mi sono accorta, fino a quale punto e senza la supponenza di chi guarda dall’alto, che la sua generazione ha maturato un concetto del pudore molto diverso dal mio? Manifestandogli questo mio pensiero, lui mi ha risposto: -Mamma, tu fammi le domande giuste ed io ti darò le risposte che cerchi. Il mio primo incipit era più o meno così: cosa rappresenta oggi il pudore? Ha senso parlarne? Soprattutto, ci serve ancora? Se dovessi chiedere ad un ipotetico pubblico cosa significa questa parola, la maggior parte, probabilmente, riderebbe con sarcasmo  dicendo che non esiste più, tuttavia in tanti/e non saprebbero argomentare. Dopo le osservazioni di mio figlio S. ho deciso di cancellare tutto e di ricominciare da capo, trascrivendo il nostro dialogo. In fondo quello che avevo scritto era un buon testo e nulla di più, ma io non scrivo con quella motivazione.

G. -Se su una spiaggia vedi camminare una donna con un bikini succinto con  le natiche in bella mostra, a cosa pensi?             

S. -Chiamo il mio amico e gli dico: frà, guarda da quella parte. Non sai cosa ti stai perdendo…         G. -Inutile, sempre maschio sei! Non credi che camminare sulla spiaggia offrendo il proprio corpo alla vista di tutti sia un pochino sminuire sé stesse?

S. -E tu sei sempre la solita femminista. È diventato un reato guardare il corpo di una bella ragazza? Io lo trovo piuttosto naturale. Tu non credi, al contrario, mamma, che nelle parole delle persone ci sia una intrinseca invidia che poi sfocia nel pregiudizio?

G. -Certo, se hai il fisico di Elodie magari è un peccato non godere di quella bellezza, non voglio essere né ipocrita né bacchettona ma una donna non avrebbe più stile salvaguardando sé stessa con maggiore sobrietà?

S. -Sì, sì. Per alcune può essere così, per altre no. Non bisogna avere vergogna del proprio corpo. G. -Mi stai dicendo che può essere un fatto naturale mostrarsi, senza che ci sia una volontà di ostentazione?

S. -Voglio dire che potrebbe essere entrambe le cose e andrebbe bene lo stesso. In fondo che male c’è? Mica spacciano o si drogano. Si stanno godendo quello che di bello hanno in quel momento. Guarda che vale anche per gli uomini.

G. -Mi fai un esempio? S. -Se un maschio ha una bella tartaruga palestrata, secondo te, non la vorrebbe mettere in mostra? A questo punto cosa me ne faccio della definizione di “Pudore” del dizionario Treccani? «Senso di riserbo, vergogna e disagio nei confronti di parole, allusioni, atti, comportamenti che riguardano la sfera sessuale: avere, non avere pudore.» Non appena gliela leggo, mio figlio, ridendo, mi incalza: – E va bene… e dopo? Che significa? A me questo pudore mi sa di qualcosa di costruito ad arte nel posto in cui viviamo e che riguarda solo le persone. Il nostro cane o Dio, per chi ci crede, non ce l’hanno.

G. -Su questo aspetto hai perfettamente ragione. In fondo è una sovrastruttura. Le popolazioni dell’Amazzonia non lo possiedono, se ne vanno praticamente nude senza che questo provochi turbamento.        

S. -Come me quando ero bambino, come Adamo ed Eva prima di mangiare la mela. 

G. -Eh già. Da qualche anno ti copri anche tu come Adamo ed Eva, non ti fai più vedere quando ti fai la doccia!   

S. -È vero. Ad un certo punto ho provato vergogna. Non so nemmeno io perché. Mi sa che questo pudore è una specie di scudo usato per proteggersi. Forse è innato?

G. -La psicologia dice di no perché distingue le emozioni primarie, come la paura, che nascono con noi, da quelle secondarie come il pudore, che appunto sono più complesse perché si riferiscono alla percezione che l’individuo ha di sé quando si confronta con i modelli comportamentali del contesto in cui è inserito. Ti faccio un esempio. Se tu andassi a studiare un popolo dell’Amazzonia e ci andassi vestito di tutto punto, ti sentiresti a disagio e loro ti guarderebbero come un alieno.

S. -A quel punto, dovrei spogliarmi io?

G. -Penso proprio di sì!

S. -Allora, vedi che ho ragione ? Il pudore è una sorta di limitazione. Stavolta ti faccio io un esempio. Se una ragazza è in sovrappeso e volesse mettersi qualcosa di scollato, il pudore glielo impedirebbe. Sai perché?

G. -Sono tutta orecchi. 

S. -Nella sua testa inizierebbe a sentire frasi del tipo: fai schifo, non stai bene, non hai un bel fisico, fai ridere, insomma tutta una serie di insulti che poi sono le cose che direbbero gli altri se la vedessero, sul serio. Io chiamo “pudore estetico”  tutte le paranoie che fanno su sé stesse, specialmente le ragazze. Le mie compagne di classe e a volte anche tu, mamma, mi fate sempre la stessa domanda: ma sono ingrassata?

G. -Sul serio te lo chiedo?

S. -Ogni volta che ti metti un vestito nuovo. 

G. -Ma tu mi consideri grassa?

S. -Sei un grissino, va bene? Finiamo con il ridere di cuore.

G. -Cambiamo discorso, è meglio. Che idea ti sei fatto di quei reality show in cui il pudore sembra essere svanito? In tono serio avevo scritto questa frase: «Nessuno si scandalizza di trasmissioni come il Grande Fratello e Temptation Island, nelle quali dare in pasto i propri sentimenti e il proprio corpo rendendoli oggetto di un pubblico dibattito non provoca alcun turbamento.»

S. mi guarda con la sua aria sorniona: -Mamma!, in quei programmi c’è un fine più grande che permette di scavalcare il pudore e si chiama Fama. Tutti sono disposti a tutto pur di arrivare e la cosa meno rilevante è mostrare il corpo che diventa, in quel caso, lo strumento più importante. 

G. -Non ti mette al disagio il fatto che la gente parli anche della propria intimità come se fosse pesce in mostra al mercato?

S. -Quello lo chiamo  “pudore psichico” e dipende dallo stile di una persona. Si capisce subito con chi puoi parlare di certe cose, a chi puoi rivelare te stesso. Ma non c’entra nulla con quello di cui abbiamo parlato. Avevo tenuto in serbo un pensiero di Claudio Magris (https://www.avvenire.it/agora/pagine/magris-il-pudore-ai-tempi-di-internet ) in cui parla di  “ossessione per la trasparenza incondizionata” che consiste nel mettere tutto sulla pubblica piazza di Internet, della televisione e dei giornali scandalistici. «Siamo in preda alla febbre della confessione pubblica. Tutto deve essere detto, tutti devono sapere, non c’è nulla che vada trattato con discrezione.» In tutta onestà, mi è piaciuto di più chiacchierare con mio figlio e ascoltare il suo punto di vista. È vero, il pudore definisce lo stile di una persona sia nei suoi gesti che nelle sue parole. È probabilmente il frutto di una maturazione esistenziale e personale che riguarda la cura di sé stessi e una certa discrezione nel mostrare il proprio corpo e i propri sentimenti. Il pudore, dunque, non è un sentimento esclusivamente sessuale come non è esclusivamente sociale, bensì comporta una sintesi tra questi due elementi. Lo scrittore e filosofo francese François Mauriac sostiene: «Unire l’estrema audacia all’estremo pudore è una questione di stile.» Nel condividere questa tesi, ringrazio mio figlio che ha reso, ora sì, divertente scrivere questo articolo.

Articolo di Giovanna Nastasi

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Giovanna Nastasi è nata a Carlentini, vive a Catania. Si è laureata in Pedagogia e Storia contemporanea e insegna Lettere negli istituti secondari di II grado. La sua passione è la scrittura. Ha pubblicato un romanzo, Le stanze del piacere (Algra editore). 

Un commento

  1. Che piacere leggere questo articolo! Bellissimo il dialogo con tuo figlio! Ma che spettacolo, che maturità! Conserverò questo testo.

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