Editoriale. E se per natale il mondo ci regalasse Patrick Zaky?

Carissime lettrici e carissimi lettori,

è comunque il momento di farci gli auguri! Nonostante tutto, senza mai dimenticare la gravità della situazione attuale. Dal latino: augurium, augur, augure. «Era la cerimonia con cui gli àuguri ricavavano presagi dall’osservazione del volo degli uccelli o da altri fenomeni; anche, il presagio stesso, come l’arte divinatoria degli àuguri. Presagio in genere, indizio, previsione di eventi buoni o cattivi. Desiderio che accada qualcosa di bene, e l’espressione stessa di questo desiderio». (enciclopedia Treccani).

Perciò sicuramente da noi a voi tutte e tutti i più sinceri, sentiti auguri, perché oggi ne abbiamo bisogno più che mai, al di là degli incontri mancati, oltre il numero di commensali da poter far sedere a tavola con noi.

Questo è il secondo Natale che passiamo insieme e dunque vi rimando al primo editoriale di allora (n. 41 di Vitaminevaganti, 21 dicembre 2019) per tante riflessioni sull’origine e sulle tradizioni legate a questo evento. Rileggendo ora ci spieghiamo ancora di più come non sia a causa dell’anticipazione temporale di un rito (come la messa di mezzanotte) o di una cena e un pranzo anche essi anticipati o persino annullati che si possa azzardare (perché è un illogico azzardo) la negazione di questa nascita nella data stabilita dal calendario dove altre nascite e eventi sono state riportate nel passato, anche molto lontano.  Per le/i credenti, la mezzanotte del 24 dicembre è una replica dell’avvenimento antico, per celebrare questo sacro evento ricordato metaforicamente ogni anno, così come succede ogni domenica, quando universalmente le cristiane e i cristiani partecipano e ripetono l’atto dell’Ultima cena celebrato nella magnificenza di tanta arte: da quella più nota di Leonardo da Vinci, nell’affresco milanese, a quella del Ghirlandaio, del Refettorio fiorentino di Ognissanti, al Tintoretto, a Rubens fino alle tele di Emil Nodle, Salvator Dalì e Andy Warhol che si è cimentato con una rivisitazione leonardesca, in più opere, della Cena milanese.

Che facciamo a Natale? Questa volta la richiesta non ha il sapore di una fastidiosa domanda retorica, ma ha tutto l’amaro dell’incertezza, come se ogni cosa fluttuasse sul dubbio della paura e si temesse l’affanno di non sapere affrontare critiche dure. Ripiegare poi sul numero degli ospiti o sulle mascherine da indossare anche a casa (ma non ci si incontra soprattutto per mettersi a tavola e mangiare insieme?), francamente mi appare un po’ grottesco. Inquietano invece le immagini di centri cittadini pieni di gente, ci turba, seppure è comprensibile, questo ulteriore dovere verso la solita corsa al regalo, oggi pericolosa. Certo l’economia è importante, e piange il cuore e si invoca la speranza che la politica sappia porre rimedio a una catastrofe simile. Al contempo assistiamo al secondo assalto di un virus che ha saputo uccidere più di quanto abbia fatto in Italia la seconda guerra mondiale. Un bollettino che deve non spaventarci, ma renderci lucide/i sulle decisioni da prendere e su come evitare una terza ondata, quando arriveranno anche i vaccini per salvarci e far smettere prima possibile questo male per poter finalmente dirigerci verso la ripresa sanitaria ed economica. Ci si domanda, poi, a chi e soprattutto come recapitare i doni quando aleggiano proibizioni da zona unica rossa per il periodo tra il giorno di Natale e il Capodanno.

Si diceva che questo virus ci avrebbe cambiati/e. Non credo che il Covid-19 possa farci diventare più buoni e più buone, ma potrebbe darci una nuova visione del mondo. Una nuova concezione della gestione delle nostre vite e di quella del pianeta che abitiamo (non servirebbe fuggire verso altri spazi se non ne cambiamo il modo di interpretarli) per risultare vincente deve abbandonare l’aggressione maschile della guerra per aggiudicarsi lo sguardo femminile della cura. Questo il nucleo vincente del discorso alla nazione della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha messo il punto sul concetto di cura, più volte ribadito come necessario per uscire da questa pandemia. Gli uomini e le donne hanno bisogno di cura per stare bene e per guarire. La terra ha bisogno di essere curata per esserci amica e per vivere in armonia con tutto il cosiddetto creato. Il termine cura sottende e annuncia altre due parole, di infinito splendore: la consolazione e la compassione, stimolo alle migliori laiche azioni del vivere, parole tanto amate da una grande amica, attrice poliedrica, che dal suo vivere e con la sua arte me le ha insegnate.

«Il termine materno — scrive in proposito Giovanna Badalassi in un articolo sul discorso della Merkel riportato da NoiDonne — in questo caso ha poco a che vedere con lo stereotipo che prospera nel nostro immaginario italico. Non stiamo certo parlando, infatti, della madre Mulino Bianco, o della sofferente madre-colf-badante, tutte chiuse nella sola dimensione privata e alle quali nessuno darebbe in mano le sorti di un paese. La premier tedesca, soprattutto in questa crisi pandemica, ci restituisce invece, applicato alla dimensione politica pubblica, un concetto di materno inteso come potere di procreazione, di vita e di cura in senso lato: l’interpretazione più radicata, simbolica e, se vogliamo anche mitologica, dell’essere donna».

Il coraggio di un’azione simbolica ma carica di forza è stato quello di Corrado Augias che, riconsegnando la sua Légion d’honneur alla Francia, ha aperto la strada a un contagio, questa volta benefico, tanto che in molti e molte hanno pensato di seguirlo, come Giovanna Melandri, Sergio Cofferati, Luciana Castellina e Rossana Rummo, oggi consigliera della Corte dei Conti, ma dal 2008 al 2011 all’Istituto di cultura italiana a Parigi. La storia sicuramente la sapete: Augias ha rifiutato di condividere quella che è la più alta onorificenza delle Francia (fu istituita da Napoleone Bonaparte il 19 maggio del 1802) con il Capo di Stato egiziano Abdl Fattah al-Sisi, insignito da poco dello stesso simbolo da Emmanuel Macron (al quale facciamo i nostri auguri per una pronta e serena guarigione).  Il gesto di Augias è stato a favore e in memoria di Giulio Regeni, torturato e ucciso barbaramente in Egitto, Paese che ancora non ha fatto luce completa sull’assassinio e che più volte ha depistato le indagini. Il gran rifiuto dell’intellettuale italiano (che ha anche origini francesi tanto da considerare la Francia come sua seconda patria) è stato scelto anche per stimolare la scarcerazione di un altro giovane, Patrick Zaky, egiziano, ma in Italia (alla Alma Mater di Bologna) per un master di Studi di genere e delle donne finanziato dal programma Erasmus Mundus dell’Unione europea. Zaky, attivista di Egyptian initiative for human Rights, è stato arrestato il 7 febbraio scorso e sicuramente, come Regeni, torturato e detenuto nelle peggiori condizioni. L’Italia ha preso a cuore le sorti di questo “suo” studente e sta cercando di favorirne la scarcerazione. Anche in questo senso è importante il gesto di Augias.

Un primo regalo di Natale, mentre scriviamo, ci è arrivato dalla Sicilia con il ritorno sull’isola dei diciotto pescatori sequestrati per 108 giorni dalla Libia con i loro due pescherecci. Tutto dovrebbe risolversi domani con il loro arrivo a Mazara del Vallo. Questi sono i bei regali che vogliamo continuare a ricevere e mi permetto di parlare anche a nome vostro!

Tristezza invece viene davanti al calendario proposto dal Codacons con 12 foto di altrettante ragazze (molto omologate per etnia, età e soprattutto peso) scattate dalla fotografa romana Tiziana Luxardo. Non ci scandalizziamo del nudo femminile e, come notate, non critichiamo l’estetica. Ma come indire una votazione sulla più bella foto?! É palese che la foto è la ragazza ripresa, tra l’altro divenuta simbolo della sua città raffigurata in un francobollo. Omaggiare il vincitore con copie dello stesso calendario? Mi sembra di tornare indietro e la speranza la ritrovo (perdonate l’autocitazione!) nella nostra Calendaria 2021, in cui le sessanta donne, mostrate in altrettanti bei disegni fatti a mano, ci raccontano, durante un anno intero, anche nella loro lingua di origine, non solo la loro immagine, ma anche le conquiste nella scienza, nelle arti e nella storia di questa Europa.

Vergognosa e triste è anche l’assoluzione di un uomo che ha ucciso sua moglie finendola a colpi in testa e poi a coltellate, “perdonato” ora dai giudici dopo una prima condanna a trenta anni, ridotta, poi, a sedici e ora annullata per delirio di gelosia. Sembra un triste ritorno, e al peggio, a una sorta di delitto d’onore disciplinato dall’art. 587 del codice penale e abrogato solo il 5 agosto del 1981.

In questo triste periodo segnato dalla malattia e dal dolore piace anche ricevere belle notizie. Uno dei settori più martoriati, quello dello spettacolo, ha iniziato a fibrillare di idee e questo è, me lo concederete, una gioia e una felicità per tutti/e noi e per il futuro dei nostri figli e figlie, per cui sarà di sostegno alla loro crescita. Lo Spettacolo ha chiesto aiuto ed è stato accolto dalla televisione entrando nelle nostre case con eventi teatrali, operistici, cinematografici che in questo modo non avranno una dimenticanza assoluta. Il Teatro San Carlo di Napoli è riuscito a vendere su Facebook, grazie all’idea del suo direttore, ben trentamila biglietti per ascoltare e vedere dal bel teatro partenopeo La Cavalleria rusticana. Un piccolo teatro, invece, il Teatro dei Venti di Modena, ha inventato le Favole al citofono (diventate Favole dalla finestra per le scuole primarie) per recitare le splendide storielle rodariane da caseggiato a caseggiato, al citofono! Chiaramente speriamo di ritornare in presenza a teatro e nelle molteplici sale cinematografiche, ma le novità che stiamo sperimentando non sono da deporre nel calderone dell’addio. Probabilmente rappresenteranno, come è stato detto da più parti, un efficace e ulteriore allargamento delle capacità dello spettacolo di giungere a un pubblico più vasto, al quale, per i più svariati motivi, non sarebbe potuto arrivare. Intanto (in questo caso lo sta facendo egregiamente Rai5) non perdiamo l’occasione di omaggiare e festeggiare insieme i 250 anni dalla nascita del più grande tra i musicisti europei: Ludwig van Beethoven, venuto al mondo nel dicembre del 1770.

Questo editoriale natalizio mi ha preso la mano e donato entusiasmo. Come diceva la grande poeta Maria Luisa Spaziani ve lo offro come una Boîte a surprise, una scatola magica che proverete voi a sfogliare/scartare come un regalo di festa, così come sono stati gli articoli, ancora una volta, per me. Ci troverete storie di donne, come quelle di Norma Cossetto e delle sorelle Colonna, e di intitolazioni a donne, di dialoghi con il nostro primo giocattolo della vita, il corpo (Il Senso di rammarico), le maternità avute e mancate o rifiutate. Leggerete di artisti che hanno grandiosamente rappresentato l’erotico femminile e ora hanno usato il segno della loro matita per creare corpi di donne che agiscono in questo tempo del covid (Milo Manara). Leggerete ancora di scrittrici di fantascienza (Catherine Lucille Moore) e visiterete di nuovo città che donne famose hanno abitato (Brescia). Percorrerete le particolari strade di New York, che richiamano il castrum romano. Seguirete il racconto di una città creata per le donne nella città (Milano) e ritroverete l’Europa ai suoi albori di Ventotene. Seguirà il cinema al femminile della 42^ mostra internazionale dedicata, poi la musica e un’esperienza in rete molto interessante per finire con uno splendido e coloratissimo dolce di Natale tra l’oro il verde e rosso del melograno fino ai sapori di olio Evo che, appena uscito dal frantoio, inonda le nostre case rendendole festa!

Ma il Natale deve assaporare, per rendersi universale e simbolico, la pace e la bellezza. Il mio dono a voi tutte e tutti è il frutto della grande sensibilità di un mistico che ci fa abbracciare tra cieli e terre, nato in Afghanistan nel 1207 e morto nel 1273 in Turchia, a Konya dove danzano i suoi roteanti Dervisci.

«Se il Cielo non fosse innamorato/il suo seno non sarebbe dolce. /Se il Sole non fosse innamorato/il suo volto non brillerebbe. /Se la Terra e le montagne/non fossero innamorate/ nessuna pianta germoglierebbe/dal loro cuore. /Se il Mare non conoscesse l’amore/Se ne starebbe immobile/da qualche parte. /Se il cielo, le montagne, i fiumi e/ogni altra cosa nell’universo fossero egoisti e avidi come l’uomo e come/lui cercassero di conquistare e accumulare/cose per sé…/l’universo non funzionerebbe!» (Se il cielo non fosse innamorato, Jalāl al-Dīn Moḥammad Rūmī). Buon Natale! Nonostante tutto!

Buona lettura a tutte e a tutti

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